Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6672 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. III, 23/03/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32429/2006 proposto da:

SOPIN S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore Amm.re Unico Rag. G.G., elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZA ADRIANA 8, presso lo studio dell’avvocato BIASOTTI

MOGLIAZZA Giovanni Francesco, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GAMBARDELLA DANIELA giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

UNIVERSITA’ STUDI LA SAPIENZA ROMA (OMISSIS), in persona del

Magnifico Rettore pro tempore Prof. G.R., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MONTEZEBIO 28 SC. A INT. 6, presso lo studio

dell’avvocato BERNARDI Giuseppe, che la rappresenta e difende giusta

delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 11696/2006 del TRIBUNALE di ROMA, Sezione

Quarta Civile, emessa il 22/5/2006, depositata il 22/05/2006 R.G.N.

20655/2005;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato GAMBARDELLA DANIELA;

udito l’Avvocato BERNARDI GIUSEPPE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per la cessazione della materia

del contendere (si riporta per transazione); nel merito

l’inammissibilità o rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22/5/2006 il Tribunale di Roma respingeva l’opposizione agli atti esecutivi dalla società Sopin s.p.a.

spiegata nei confronti dell’Università degli studi “La Sapienza” di Roma avverso l’ordinanza di assegnazione pronunziata nell’ambito della procedura esecutiva n. 2214/04 in data 17/3/2005, asseritamente senza tenere conto della circostanza che per il medesimo titolo era stata emessa altra ordinanza di assegnazione per l’importo di Euro 2.000.434,30, instando per la correzione dell’importo oggetto della (2^) ordinanza di assegnazione per Euro 5.000.139,97, ove ritenuto frutto di errore materiale; ovvero, diversamente, per la revoca della medesima, con conseguente accertamento e declaratoria dell’essere il credito residuo di controparte di ammontare corrispondente alla minor somma di Euro 2.999.705,67.

Avverso la suindicata pronunzia del Tribunale di Roma la società Sopin s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, che ha presentato anche memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente, in accoglimento dell’eccezione della ricorrente, dichiarato inammissibile, per difetto di ius postulandi del difensore, il controricorso dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, nonchè, per l’effetto, la memoria ex art. 378 c.p.c., dalla medesima presentata.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, all’esito della riforma introdotta dalla L. n. 168 del 1989 le Università sono enti pubblici autonomi, non rivestendo più la qualità di organi dello Stato, con la conseguenza che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, non trova applicazione la disciplina del patrocinio obbligatorio R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, ex artt. da 1 a 11, bensì, in virtù del R.D. n. 1592 del 1933, art. 56 (non abrogato dalla L. n. 168 del 1989), quella del patrocinio autorizzato ex art. 43 (come modif. dalla L. n. 103 del 1979, art. 11) e R.D. n. 1611 del 1933, art. 45, con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza: esclusione della necessità del mandato, e facoltà (salvo i casi di conflitto) di non avvalersi dell’Avvocatura con apposita e motivata delibera (v. Cass., Sez. Un., 10/5/2006, n. 10700).

Esclusa la piena equiparazione, sul piano degli effetti processuali, tra patrocinio obbligatorio e patrocinio autorizzato, anche dopo le integrazioni all’art. 43 apportate dalla L. n. 103 del 1979, art. 11, che sarebbe stata determinata dalla espressa qualificazione della rappresentanza dell’Avvocatura come “organica ed esclusiva”, laddove siffatta qualificazione attiene palesemente al rapporto interno tra ente e Avvocatura dello Stato in veste di difensore, ed è caratterizzato da organicità (in ragione della esclusione della necessità del mandato – come del resto, già espressamente previsto dall’art. 45, mediante il rinvio all’art. 1, comma 2, per il patrocinio obbligatorio per le amministrazioni dello Stato) e da esclusività (nel senso che non è possibile per l’ente autorizzato al patrocinio dell’Avvocatura ex art. 43 non avvalersene per far ricorso ad avvocati del libero foro, eccettuati i casi di conflitto con altri enti, come lo Stato e le regioni, difesi anch’essi dall’Avvocatura), se non in casi speciali e mediante apposita delibera motivata (esclusività invero ben più rigorosamente” …, presidiata dall’art. 5 per le Amministrazioni dello Stato): v. Cass., Sez. Un., 10/5/2006, n. 10700, sono pertanto inapplicabili le disposizioni della L. n. 1611 del 1933 sul foro erariale e sulla domiciliazione presso l’Avvocatura dello Stato ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali (v. Cass., 3/9/2009, n. 19128; Cass., 29/07/2008, n. 20582, ove si è fatta peraltro salva l’applicabilità di queste ultime disposizioni, quanto alle notificazioni, alle controversie in materia di lavoro, attesa l’equiparazione alle amministrazioni statali ai fini della rappresentanza e difesa dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 415 c.p.c., comma 7).

Ai sensi del R.D. n. 1592 del 1933, art. 56 (T.U. sull’istruzione superiore) e R.D. n. 1611 del 1933, art. 45 (T.U. sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato), come modificato dalla L. n. 103 del 1979, art. 11, la rappresentanza e difesa in giudizio di una Università degli Studi statale, ove non sussista conflitto con lo Stato o con le Regioni, spetta dunque ope legis all’Avvocatura dello Stato, mentre può essere eccezionalmente affidata ad un difensore del libero foro in forza di apposita e motivata delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, giusta regola non superata invero dal riconoscimento di autonomia finanziaria, contabile e normativa (statutaria e regolamentare) agli Atenei ad opera della L. n. 168 del 1989 (con la quale è stato istituito il Ministero dell’università e della ricerca scientifica), il cui art. 7, comma 11, non ha derogato o implicitamente abrogato i regi decreti sopra richiamati, recando questi ultimi norme speciali, mentre il Regolamento dell’Università può concernere profili organizzativi, finanziari, contabili, didattici e scientifici, ma non anche norme processuali (v. Cass., 22/12/2005, n. 28487; Cass., 26/1/2001, n. 1086; Cass., 10/9/1997, n. 8877).

Ove il ricorso o come nella specie il controricorso risulti sottoscritto da difensore del libero foro, si pone la questione di verificare chi abbia il potere di adottare la suindicata, relativa apposita e motivata delibera.

In un precedente di questa Corte si è ritenuto ammissibile il ricorso proposto dall’Università degli Studi, in persona del Rettore pro tempore, quale legale rappresentante dell’ente, sottoscritto da difensore del libero foro, individuandosi nei prodotti “atti rettorali di conferimento del mandato ai difensori costituiti” gli “estremi della motivata delibera che consente di affidare ad un avvocato del libero foro la rappresentanza e difesa in giudizio dell’Università” (così Cass., 18/3/2005, n. 5909).

Siffatta conclusione non è tuttavia condivisibile.

Diversamente ad esempio dal nuovo ordinamento delle autonomie locali (introdotto con D.Lgs. n. 167 del 2000), che innovando alla precedente disciplina ha attribuito la rappresentanza processuale del Comune al Sindaco, al medesimo riconoscendo la spettanza in via esclusiva del potere di conferire la procura alle liti a difensore del libero foro senza necessità di autorizzazione della Giunta municipale – salvo che una disposizione statutaria la richieda espressamente, incombendo in tal caso alla parte interessata provare la carenza di tale autorizzazione producendo idonea documentazione (v. Cass., 10/6/2010, n. 13968; Cass., 17/5/2007, n. 11516; Cass., 2/5/2007, n. 10099. V. anche Cass., Sez. Un., 16/6/2005, n. 12868), la citata L. n. 168 del 1989 non reca invero una specifica disposizione in tema di rappresentanza processuale dell’Università.

Nè al riguardo soccorre lo Statuto dell’Ateneo odierno controricorrente, dal medesimo prodotto in atti nel tenore ratione temporis applicabile (fermo restando che in ogni caso non possono assumere rilevanza disposizioni eventualmente adottate dalle Università con il Regolamento di ateneo volte ad escludere il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in deroga alla disciplina fissata dal R.D. n. 1592 del 1933, art. 56, R.D. n. 1611 del 1933, art. 43, e segg.: v. Cass., Sez. Un., 10/5/2006, n. 10700).

Nel prevedersi all’art. 2, comma 6, che “L’Università stabilisce autonomamente in base a valutazioni discrezionali di opportunità e convenienza se avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato ovvero di professionisti del libero Foro”, il potere di rappresentanza processuale dell’ente e di conferimento di procura alle liti a difensore del libero foro non risulta infatti ivi specificamente attribuito nè al Rettore (art. 8) nè ad altro organo centrale (art. 9) – e cioè il Senato accademico (art. 11) e il Consiglio di amministrazione (art. 12); come neppure al Collegio dei sindaci (art. 13), o al Collegio dei direttori di dipartimento (art. 14) o al Direttore amministrativo e ai dirigenti (art. 15).

Al Consiglio di amministrazione sono dal detto Statuto peraltro riservati generali poteri di “programmazione, di indirizzo e di controllo delle attività relative alla gestione amministrativa, finanziaria e patrimoniale dell’Università” (art. 12, comma 1), nonchè il potere di approvazione in particolare delle “convenzioni” e dei “contratti” di sua competenza (art. 12, comma 2, lett. f).

Poteri cui, stante l’ampia e comprensiva formulazione concernente le specifiche competenze a tale organo attribuite, anche il conferimento del mandato alle liti de quo appare invero senz’altro riconducibile.

Al Rettore, che ai sensi dell’art. 12, comma 1, Statuto (oltre a garantirne l’autonomia e l’unità culturale) “rappresenta la Sapienza ad ogni effetto di legge”, come questa Corte ha già avuto modo di affermare in relazione a contratto di cui l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma era parte, deve peraltro in qualità di Presidente del Consiglio di amministrazione ai sensi del R.D. n. 1592 del 1993, art. 12, riconoscersi il potere di agire, in via d’urgenza, anche in assenza di previa delibera del Consiglio di amministrazione, nel qual caso il contratto stipulato è valido ed immediatamente efficace, fermo restando l’obbligo di sottoporlo al Consiglio di amministrazione, per la ratifica, alla prima adunanza successiva (cfr. Cass., 4/11/2009, n. 23419).

Orbene, nel presente giudizio l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma risulta costituita con controricorso d.d. 27/12/2006 recante a margine procura speciale conferita a difensore del libero foro dal Rettore pro tempore, giusta decreto rettorale del 4 (mese illeggibile) del 2006, motivato con “la necessità dell’urgente costituzione in giudizio, sussistendone validi motivi, al fine di evitare l’emissione di provvedimenti sfavorevoli all’Università”.

Dalla parte motiva di tale decreto emerge altresì la presa d’atto della “Delib. Consiglio Amministrazione 17 ottobre 2006 con cui è stato dato mandato all’Amministrazione, qualora si rendesse necessario sostenere oneri da contenzioso improcrastinabili, di procedere con specifici provvedimenti autorizzativi recuperando le necessarie risorse da altri conti di bilancio”.

La controricorrente ha all’udienza depositato la copia d.d. 26/1/2011 del suindicato decreto rettorale del 2006 di conferimento in via d’urgenza dell’incarico, ma non anche la delibera di relativa ratifica eventualmente adottata da parte del Consiglio di amministrazione, come neppure la ivi richiamata delibera del 17 ottobre 2006.

A tale stregua, l’omesso rispetto della procedura dettata dalla legge e la mancata produzione de qua, a distanza di oltre 4 anni dall’emissione del decreto rettorale in questione, non consentono di ritenere in effetti ancora sussistenti le ragioni dell’urgenza che hanno nel caso indotto il Rettore ad agire anche senza la preventiva deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Università (cfr.

Cass., 4/11/2009, n. 23419)., Alla previa delibera di autorizzazione, o a quella successiva di ratifica, di tale organo non può d’altro canto assegnarsi rilevanza meramente interna all’ente, o al più in ordine al rapporto tra ente mandante e difensore mandatario, e ritenersi che la relativa mancanza solamente dall’interessato possa essere fatta valere, e non anche da soggetto terzo o d’ufficio dal giudice.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, sia con riferimento ad enti pubblici locali (anteriormente all’introduzione del nuovo ordinamento con D.Lgs. n. 165 del 2001) che specificamente ad Università degli Studi (sia anteriormente che successivamente alla suindicata riforma del 1989), il ricorso o il controricorso per cassazione proposto in base a procura ad litem come nella specie non oggetto di previa delibera o di successiva ratifica da parte dell’organo competente, necessaria per la regolare costituzione del rapporto processuale (v. Cass., 29/10/1974, n. 3283; Cass., 22/2/1973, n. 519; Cass., 3/12/1970, n. 2532), va dichiarato inammissibile, per difetto dello ius postulandi del difensore, rilevabile anche d’ufficio (v. Cass., 18/8/1997, n. 1649; Cass., 4/2/1987, n. 1057; Cass., Sez. Un., 5/7/1983, n. 4512; Cass., 20/1/1982, n. 347 V. altresì Cass., 26/1/2007, n. 1759; Cass., 19/11/2007, n. 23953; Cass., Sez. Un., 19/5/2009, n. 11531; Cass., 4/8/2010, n. 18062).

Con il 1^ motivo la ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 295 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 125 e 182 c.p.c., R.D. n. 1592 del 1933, art. 56, R.D. n. 1611 del 1933, art. 43 (come modif. dalla L. n. 103 del 1929), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 3^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 182 e 125 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 4^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.L. n. 341 del 1999, art. 1 (conv. in L. n. 453 del 1999, art. 182 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 5^ motivo denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1260, 1264 e 2829 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorso è, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, inammissibile.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede che con riferimento ad ogni punto della sentenzia investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e da applicarsi in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), i quesiti risultano formulati in termini dal medesimo difformi, non recando la riassuntiva indicazione degli aspetti di fatto rilevanti, del modo in cui i giudici del merito li hanno rispettivamente decisi, delle diverse regole di diritto la cui applicazione avrebbe condotto a diversa decisione, e si palesano astratti e generici, privi di riferibilità al caso concreto in esame e di decisività, tali cioè da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.

Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso il motivo risulta formulato in violazione del principio di autosufficienza, atteso che la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di merito limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso es., alle “tre sentenze della Corte d’Appello di Roma … nn. 730, 731 e 732 del 4/1/2002”, alla “sentenza della Corte d’Appello Civile di Roma n. 1272/2001″, all'”appostazione in bilancio dell’Ateneo … a favore della Sopin in data 9/6/1992 e 15/6/1992 per l’esecuzione del contratto d’appalto oggetto delle sentenze della Corte d’Appello”, alla “dichiarazione di debito la cui provenienza era stata accertata da una sentenza del Tar del Lazio n. 6710/2003″, al D.I. n. 14937 del 2003 emesso dal Tribunale Civile di Roma”, alle “dichiarazioni di terzo”, all'”ordinanza di assegnazione … con provvedimento in data 23/12/2004″, all'”ordinanza in data 17/3/2005″, alle “fatture emesse nell’ambito del contratto di appalto per la informatizzazione del Policlinico Umberto I”, alla “compensazione di crediti … come rivendicati nella speciale procedura prevista dal D.L. n. 341 del 1999”, ai “documenti allegati alla memoria di replica in primo grado”, all'”istanza di ammissione al passivo dell’Azienda Universitaria per il credito derivante dal rapporto di informatizzazione”, al “ricorso gerarchico secondo procedura ex dal D.L. n. 341 del 1999”, al “ricorso straordinario al Presidente della Repubblica”, alla “domanda di sospensione ex art. 295 c.p.c.”, al “decreto del Presidente della Repubblica in data 5/10/2006 (doc. 2 fase, parte)”, al “provvedimento che fa giudicato nel presente”, alla “firma … rilasciata sul mandato apposto sui tre precetti posti a base della procedura esecutiva”, al “provvedimento del Consiglio di stato del 10/1/2006 … (doc. 1 )”, alla “precedente assegnazione per lo stesso titolo nel procedimento esecutivo n. 39336/2003”.

Non può infine sottacersi che in base a principio consolidato in giurisprudenza di legittimità l’omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quali errores in procedendo ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 5/12/2002, n. 17307; Cass., 23/5/2001, n. 7049) (nullità della sentenza e del procedimento) (v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369; Cass., 25/9/1996, n. 8468), e non già sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (e a fortiori del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952;

Cass., 22/11/2006, n. 24856; Cass., 26/1/2006, n. 1701).

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo.

Non è peraltro a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione, attesa la rilevata inammissibilità del controricorso, nonchè, per l’effetto, della memoria ex art. 378 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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