Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6670 del 19/03/2010
Cassazione civile sez. trib., 19/03/2010, (ud. 17/02/2010, dep. 19/03/2010), n.6670
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUPI Fernando – Presidente –
Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Consigliere –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
T.G.;
– intimato –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
dell’EMILIA ROMAGNA n. 35/16/07, depositata il 18 giugno 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
17 febbraio 2010 dal Relatore Cons. Dr. Biagio Virgilio.
La Corte:
Fatto
FATTO E DIRITTO
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna n. 35/16/07, depositata il 18 giugno 2007, con la quale è stato riconosciuto il diritto di T.G., agente di commercio, al rimborso dell’IRAP versata per gli anni 1998/2002.
Il contribuente non si è costituito.
2. Con il ricorso si denuncia sia la violazione della normativa istitutiva dell’IRAP sotto il profilo dei soggetti passivi, ponendo il quesito se, nell’ipotesi di contribuente esercente la professione di agente di commercio, sussista la qualità di imprenditore commerciale ai sensi dell’art. 2195 c.c. con conseguente assoggettamento all’IRAP, e sia pertanto censurabile la sentenza che, riconosciuta in fatto la qualità di imprenditore commerciale dell’esercente l’attività di agente di commercio, successivamente decida – qualificando l’attività come promotore finanziario – ritenendo insussistenti i presupposti per l’applicazione dell’imposta de qua, sia la apparenza o contraddittorietà della motivazione, per avere il giudice d’appello, come già detto, prima correttamente qualificato il contribuente come agente di commercio e poi deciso la controversia sull’errato presupposto che la professione svolta fosse in realtà quella di promotore finanziario.
Il ricorso appare manifestamente infondato: la sentenza, infatti, a prescindere dall’errata qualificazione del contribuente, nella parte in diritto, come promotore finanziario anzichè agente di commercio (probabilmente, peraltro, dovuta a mero errore materiale), è in ogni caso conforme ai principi recentemente affermati dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo i quali, in tema di IRAP, a norma del combinato disposto del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), sia l’esercizio dell’attività di agente di commercio di cui alla L. 9 maggio 1985, n. 204, art. 1 sia l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui al D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 31, comma 2, sono esclusi dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata, e il requisito dell’autonoma organizzazione – il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato – ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (Cass., Sez. un., nn. 12108 e 12111 del 2009); la sentenza contiene l’accertamento del difetto di tale requisito, non oggetto di censura.
3. Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio, in quanto manifestamente infondato”;
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata all’Avvocatura Generale dello Stato;
che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie.
Considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato, il ricorso deve essere rigettato;
che non v’è luogo a provvedere in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 17 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010