Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6665 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. III, 23/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FILADORO Camillo – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1094-2009 proposto da:

B.A. (OMISSIS), B.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE XXI

APRILE 11, presso lo studio dell’avvocato MORRONE CORRADO,

rappresentati e difesi dall’avvocato MORRONE LUIGI giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

O.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUIGI SETTEMBRINI 30, presso lo studio dell’avvocato

PUPPINI STEFANO, rappresentato e difeso dagli avvocati PISANI

PASQUALE, GALLUCCI VITTORIO, DONATO FRANCESCO giusta delega in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1950/2008 del TRIBUNALE di COSENZA, SEZIONE

SECONDA CIVILE, emessa il 14/07/2008, depositata il 16/07/2008 R.G.N.

1197/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato LUIGI MORRONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso con il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O.S. propose opposizione all’esecuzione promossa nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 612 c.p.c., da B.G. e B.A. per stabilire le modalità di attuazione della sentenza del Tribunale di Cosenza n. 1259 del 31 luglio 2002 che, nell’accogliere il ricorso possessorio dei B., aveva confermato l’ordinanza interdittale resa il 25 ottobre 2000 ed aveva ordinato all’ O. di astenersi dal compiere in danno dei B. atti di molestia nel possesso di un fondo sito in contrada (OMISSIS). Dedusse l’opponente che la turbativa era già cessata per effetto dell’esecuzione dell’ordinanza interdittale del 23 ottobre 2000, che aveva ordinato all’ O. di ripristinare la recinzione del fondo dei ricorrenti nella parte limitrofa alla strada interpoderale; che, invece, la porzione di fondo oggetto del procedimento ex art. 612 c.p.c. era estranea al procedimento possessorio a suo tempo proposto, in quanto posseduta da esso O. che vi esercitava attività di maneggio.

Il Tribunale di Cosenza ha accolto l’opposizione all’esecuzione ed ha dichiarato la nullità dell’esecuzione intrapresa con la proposizione del ricorso ex art. 612 c.p.c., con condanna degli opposti al pagamento delle spese di lite.

Avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza propongono ricorso per cassazione B.A. e B.G. a mezzo di tre motivi.

Resiste con controricorso O.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo ed il terzo motivo del ricorso possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono entrambi, l’uno sotto il profilo della violazione di legge, l’altro sotto il profilo del vizio di motivazione, all’attività di interpretazione del titolo esecutivo svolta dal giudice dell’opposizione all’esecuzione.

In particolare, col primo motivo del ricorso è stato dedotto il vizio di violazione dell’art. 360, n. 3 per erronea interpretazione degli artt. 324 e 615 c.p.c. per avere il Tribunale di Cosenza erroneamente ritenuto che l’opponente si fosse adeguato al precetto derivante dalla sentenza costituente titolo esecutivo, non limitandosi ad interpretare quest’ultimo ma manipolando dispositivo e motivazione della sentenza, compiendo così un’operazione in contrasto col principio dell’intangibilità del giudicato. Col terzo motivo del ricorso è stato dedotta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dal fatto che i ricorrenti avessero chiesto nel merito la reintegra nell’intero fondo ed erano stati infatti reintegrati nell’intero fondo, senza che fosse stata fatta alcuna distinzione tra le diverse porzioni del fondo; mentre soltanto nel giudizio di opposizione era stata sollevata la distinzione tra le diverse parti del fondo oggetto del giudizio, quando l’ O. per giustificare la mancata esecuzione della sentenza aveva eccepito che il fondo era diviso in due parti, possedute da soggetti diversi.

Entrambi i motivi sono infondati.

Premesso che l’interpretazione del titolo esecutivo compiuta dal giudice dell’opposizione a precetto o all’esecuzione si risolve nell’apprezzamento di un “fatto”, come tale incensurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici o giuridici (cfr., da ultimo Cass. 6 luglio 2010 n. 15852), deve escludersi che la sentenza impugnata sia affetta dai vizi denunciati.

Deve, in primo luogo, escludersi che il giudice del merito abbia violato i canoni ermeneutici che regolano l’interpretazione del titolo esecutivo, specificamente che abbia errato – come sostengono i ricorrenti – perchè non si è attenuto all’interpretazione letterale del titolo, ma ha fatto ricorso ad elementi esterni al titolo stesso.

In punto di diritto, è da condividersi l’affermazione di questa Corte per la quale il titolo esecutivo ben può essere interpretato anche facendo ricorso agli atti del giudizio all’interno od all’esito del quale si è formato (cfr. Cass. 14 marzo 2003 n. 3786, nonchè Cass. ord. 22 febbraio 2008 n. 4651).

Nel caso di specie, il Tribunale di Cosenza si è avvalso del ricorso per reintegra del possesso ilio tempore proposto, al fine ai individuare quale fosse il contenuto della domanda di reintegra avanzata dai ricorrenti e, correlativamente, quale fosse l’oggetto del giudizio possessorio concluso con la sentenza costituente titolo esecutivo; si è avvalso inoltre della qualificazione dell’azione possessoria come azione di manutenzione (piuttosto che come azione di spoglio) contenuta nella motivazione della sentenza impugnata, al fine di individuare la portata del comando inibitorio contenuto nel dispositivo (dato che l’azione di manutenzione non concerne lo spossessamento ma soltanto le modalità di esercizio del possesso, sicchè il divieto di compiere atti di molestia – che presuppone che il possessore non sia stato privato del possesso ma soltanto disturbato nel suo esercizio – mai potrebbe tradursi nel comando positivo di reintegrazione – che, appunto, presuppone lo spoglio):

con ciò, ha compiuto un’attività ermeneutica del tutto consentita ed, anzi, imposta alla stregua dei canoni ermeneutici di cui sopra.

Ancora, l’attività istruttoria disposta nel giudizio di opposizione all’esecuzione non risulta essere stata svolta al fine di acquisire elementi non considerati dal giudice del titolo esecutivo di cui avvalersi per “manipolare” il titolo (come sostengono i ricorrenti), bensì al solo scopo di istruire le deduzioni dell’opponente in merito allo stato dei luoghi riguardo ai quali quel titolo esecutivo aveva disposto.

Nell’utilizzare gli elementi anzidetti, il Tribunale di Cosenza ha congruamente e logicamente motivato la conclusione raggiunta in merito al fatto che “il ricorso per reintegra a suo tempo proposto e, correlativamente, la sentenza che ha definito il giudizio avevano ad oggetto una porzione di fondo diversa da quella oggetto della presente esecuzione”. Infatti, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, tale conclusione non viene motivata argomentando sulla base di un’asserita divisione del fondo in due parti, vale a dire avvalendosi di un elemento di fatto estraneo al processo all’esito del quale il titolo esecutivo si è formato. Piuttosto, il giudice di merito ha raggiunto detta conclusione motivando sul fatto che i ricorrenti in sede possessoria avessero chiesto che le molestie possessorie (così qualificate dal giudice di quel giudizio) fossero fatte cessare mediante il ripristino della recinzione, in modo da impedire l’accesso al loro fondo dei cavalli di pertinenza del resistente (e ciò in quanto era stata denunciata la rimozione della siepe di recinzione al fine di immettere i cavalli a pascolare nel fondo dei B.). Conseguentemente, la condanna alla cessazione delle molestie non avrebbe potuto avere ad oggetto altra attività che quella correlata alla denuncia dei ricorrenti; laddove se si fosse trattato di restituire ai ricorrenti una porzione di fondo illegittimamente “occupata” dal resistente si sarebbe trattato di ordinare una reintegrazione, non certo di disporre la manutenzione del possesso.

Poichè la conclusione di cui sopra è stata raggiunta dal Tribunale:

mediante un’interpretazione del titolo esecutivo condotta applicando corretti criteri ermeneutici e poichè essa è ampiamente e congruamente motivata, entrambi i motivi in esame vanno rigettati.

2. Col secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano il vizio di violazione di legge per erronea interpretazione degli artt. 1222 e 2033 c.c. con riferimento al fatto che, contenendo la sentenza costituente titolo esecutivo un ordine di contenuto negativo di “astenersi dal compiere atti di molestia del possesso”, il giudice dell’opposizione a precetto non avrebbe considerato che, ai sensi dell’art. 1222 c.c., ogni atto compiuto in violazione di detto divieto importa un inadempimento del dettato giurisdizionale.

Il motivo è infondato.

Va premesso che il richiamo dell’art. 1222 c.c. è incongruo, poichè la norma serve soltanto a definire l’ambito di operatività della disciplina della mora debendi, sancendo la cd. mora automatica per le obbligazioni negative.

Più pertinente, ma infondato è, invece, il richiamo dell’art. 2933 c.c.: è vero, infatti, che questo consente al creditore di un’obbligazione di non fare di ottenerne l’esecuzione coattiva mediante il ripristino della situazione quo ante, avvalendosi allo scopo del procedimento di cui all’art. 612 e segg. c.c.; ciò, che, appunto, è accaduto nel caso di specie. Tuttavia, questa tutela restitutoria opera nei limiti in cui è chiesta ed accordata nell’ambito di tale ultimo procedimento. Nel caso di specie, il giudice dell’opposizione all’esecuzione, preposto alla delibazione della portata, oltre che della validità ed efficacia, del titolo esecutivo, ha ritenuto che questo non contenesse un divieto esteso ad ogni possibile atto di molestia che la parte resistente avrebbe potuto realizzare ai danni dei ricorrenti in sede possessoria ovvero che addirittura imponesse al resistente di restituire parte del fondo nella disponibilità del ricorrenti, ma che, invece, avesse la portata ben più limitata della quale si è detto sopra.

Dal momento che siffatta interpretazione del titolo esecutivo è sorretta da motivazione congrua ed è immune da vizi logici e giuridici, non può essere confutata dal giudice di legittimità, poichè tale risultato potrebbe essere raggiunto soltanto mediante un nuovo esame del titolo esecutivo, che è invece precluso a questa Corte (cfr. Cass. n. 15852/2010 cit., per la quale, al fine di disattendere tale principio, non rileva che il titolo esecutivo sia una sentenza passata in giudicato “atteso che, in sede di esecuzione, la sentenza passata in giudicato, pur ponendosi come giudicato esterno (in quanto decisione assunta fuori dal processo esecutivo) , non opera come decisione della controversia, bensì come titolo esecutivo e, pertanto, al pari degli altri titoli esecutivi, non va intesa come momento terminale della funzione cognitiva del giudice, bensì come presupposto fattuale dell’esecuzione, ossia come condizione necessaria e sufficiente per procedere ad essa”).

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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