Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6665 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 01/03/2022, (ud. 12/01/2022, dep. 01/03/2022), n.6665

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23628-2019 proposto da:

K.S.M. S.P.A.,

in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO

MARINELLI;

– ricorrente –

contro

F.M., P.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA LUIGI RIZZO, 72, presso lo studio dell’avvocato PAOLO

CELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato IGNAZIO FIORE;

– controricorrenti –

e contro

K.S.M. SERVICE S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 562/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 06/06/2019 R.G.N. 1243/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

12/01/2022 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza 6 giugno 2019, la Corte d’appello di Palermo rigettava, nel contraddittorio anche con F.M. e K.S.M. Service s.r.l., il reclamo principale di K.S.M. s.p.a. e incidentale di P.G. avverso la sentenza di primo grado, che aveva confermato l’ordinanza dello stesso Tribunale, di illegittimità del licenziamento intimato dalla società reclamante il 2 novembre 2017 ai predetti lavoratori, di risoluzione del rapporto di lavoro del primo e di estinzione di quello del secondo (in quanto regolato dal D.Lgs. n. 23 del 2015), con la condanna della società medesima al pagamento di un’indennità risarcitoria, in favore del primo, commisurata a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e, in favore del secondo, a quattro mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del T.f.r.; essa condannava quindi K.S.M. s.p.a. alla rifusione delle spese in favore di F.M., interamente vittorioso e in misura della metà in favore di P.G., parzialmente soccombente, con la compensazione della metà residua tra le parti;

2. per quanto ancora rilevante, la Corte territoriale ribadiva l’illegittimità del licenziamento per la violazione delle prescrizioni comportamentali di tempestiva ed esauriente comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati, con la nota del 7 agosto 2017, addirittura anteriore ai primi licenziamenti intimati (42 in data 8 agosto 2017, comunicati con la nota del 14 settembre 2017; gli altri 80, destinatari di analoga missiva tra il 31 agosto e il 26 novembre 2017) e senza indicazione dei lavoratori addetti al front office, come i due ricorrenti, nella graduatoria allegata, successivamente integrata e rettificata con le note del 9 e 20 ottobre 2017 (senza però alcun chiarimento) e con trasmissione, infine, con nota del 4 dicembre 2017, di un elenco di 80 dipendenti (in aggiunta ai 42 indicati nella nota del 14 settembre 2014) posti in mobilità. Sicché, la comunicazione del 7 agosto 2017 risultava inidonea, sotto i profili di trasparenza e completezza informativa e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate: non costituendo essa reale provvedimento terminale della procedura collettiva;

3. la Corte palermitana applicava quindi alla ritenuta violazione procedurale la tutela indennitaria forte nella misura suindicata, a norma del novellato testo della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 3: senza alcuna detrazione, in difetto di prova, a carico della datrice eccipiente, di aliunde perceptum né percipiendum;

4. con atto notificato il 30 luglio 2019, la società ricorreva per cassazione con unico motivo, cui i due lavoratori resistevano con unico controricorso; restava invece intimata K.S.M. Service s.r.l., che non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. la ricorrente deduce violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la comunicazione prevista dalla norma denunciata, inviata il 7 agosto 2017 (una volta esaurita la procedura di collocazione in mobilità il 17 luglio 2017), potesse esserlo soltanto dopo l’invio delle lettere di licenziamento e che fosse insufficiente l’allegazione della graduatoria di tutti i dipendenti di K.S.M. s.p.a. con l’indicazione dei punteggi attribuiti ad ognuno, in assenza dell’elenco dei lavoratori in concreto licenziati, nonostante il rispetto delle finalità della norma, di completa e tempestiva informazione dei lavoratori, delle parti sociali e delle amministrazioni competenti, senza alcun pregiudizio per alcuno; essendo state inviate le successive note del 9 e del 20 ottobre 2017, a seguito delle modifiche della graduatoria finale, prima degli ulteriori licenziamenti e contenendo quella finale del 4 dicembre 2017 una semplice lista dei dipendenti licenziati, utile all’iscrizione nelle liste di mobilità, inidonea a viziare la procedura (unico motivo);

2. esso è infondato;

3. come noto, nella L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, denunciato di violazione, la parola “contestualmente” è stata sostituita dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 4, con le parole “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”, mentre l stessa L., art. 2, comma 72, ha modificato la L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 1 (secondo cui “L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’art. 1, ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non potere ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le “procedure di mobilità” ai sensi del presente articolo”), sostituendo le parole “le procedure di mobilità” con le parole “la procedura di licenziamento collettivo”. E lo stesso art. 4, comma 12, ha disposto poi che “le comunicazioni di cui al comma 9, sono prive di efficacia ove siano state effettuate senza l’osservanza della forma scritta e delle procedure previste dal presente articolo”. Ebbene, secondo il consolidato di questa Corte (ribadito in particolare da: Cass. 22 novembre 2016, n. 23736), in tema di licenziamenti collettivi, il requisito della contestualità della comunicazione del recesso al lavoratore e alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro, richiesto a pena d’inefficacia del licenziamento medesimo, non può che essere valutato, in una procedura temporalmente cadenzata in modo rigido ed analitico, e con termini molto ristretti, nel senso di una necessaria ed ineliminabile contemporaneità delle due comunicazioni la cui mancanza può non determinarne l’inefficacia, solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, da comprovare dal datore di lavoro (Cass. n. 1722/09; Cass. 16776/09; Cass. n. 7490/11). Ed ancora, in tema di licenziamento collettivo (secondo la disciplina antecedente alle modifiche introdotte con la L. 28 giugno 2012, n. 92), la contestualità fra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali e ai competenti uffici del lavoro dell’elenco dei dipendenti licenziati e dei criteri di scelta, richiesta, a pena di inefficacia del licenziamento, dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, si giustifica al fine di consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo sulla correttezza nell’applicazione dei menzionati criteri da parte del datore di lavoro, anche al fine di sollecitare, prima dell’impugnazione del recesso in sede giudiziaria, la revoca del licenziamento eseguito in loro violazione: con la conseguenza che la funzione di tale ultima comunicazione implica che non possa accedersi ad una nozione “elastica” di contestualità, riferita anche alla data in cui il licenziamento abbia effetto, dovendosi ritenere irragionevole che, per non incorrere in una decadenza dal termine stabilito dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, il lavoratore debba impugnare il licenziamento senza la previa conoscenza dei criteri di scelta (Cass. n. 8680/15; Cass. n. 22024/15);

3.1. tale insegnamento è stato più recentemente ribadito, con la conferma che, in tema di licenziamento collettivo, il termine di sette giorni previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, siccome modificato dalla L. n. 92 del 2012, per l’invio delle comunicazioni ai competenti uffici del lavoro ed alla Commissione regionale per l’impiego nonché alle organizzazione sindacali, debba intendersi come cogente e perentorio, così come era stato interpretato il requisito della “contestualità” nel regime anteriore alla riforma del 2012, che ha inteso superare le precedenti possibili discrasie nella individuazione concreta di un parametro congruo assegnando un termine certo (Cass. 13 novembre 2018, n. 29183; Cass. 14 ottobre 2019, n. 25807). In particolare, tali ultime sentenze hanno affermato come il carattere cogente e perentorio del termine comporti, in caso di violazione, l’invalidità del licenziamento, a prescindere dalla circostanza che i lavoratori abbiano successivamente avuto conoscenza di tutti gli elementi che la comunicazione deve comunque avere ovvero che non sia stato dimostrato il danno derivante dalla mancata comunicazione; atteso che detta comunicazione è finalizzata a consentire alle organizzazioni sindacali (e, tramite queste, anche ai singoli lavoratori) il controllo tempestivo sulla correttezza procedimentale dell’operazione posta in essere dal datore di lavoro, anche al fine di acquisire ogni elemento di conoscenza e non comprimere lo spatium deliberandi riservato al lavoratore per l’impugnazione del recesso nel termine di decadenza di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6);

4. nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, e congruamente argomentato (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 11 al primo di pg. 15 della sentenza), che la nota del 7 agosto 2017 di comunicazione all’Ufficio del lavoro, alla Commissione regionale per l’impiego e alle associazioni di categoria dell’elenco dei lavoratori licenziati, non configurasse “reale provvedimento terminale della procedura di mobilità collettiva, in quanto carente dell’indicazione dei nominativi dei lavoratori licenziati ed oggetto di successive rettifiche (in adesione a taciute esigenze sopravvenute) potenzialmente destinate ad alterare l’elenco dei lavoratori coinvolti nella procedura” (così al secondo capoverso di pg. 14 della sentenza). E ciò perché anteriore ai primi licenziamenti intimati (42 in data 8 agosto 2017) e comunicati soltanto con la nota del 14 settembre 2017; e non essendo in essa “inclusi i lavoratori addetti al front office (poi inseriti nei successivi elenchi)” (così ai due ultimi alinea del terz’ultimo capoverso di pg. 12 della sentenza). Quanto agli altri 80 lavoratori licenziati, destinatari di analoga missiva tra il 31 agosto e il 26 novembre 2017, essi sono stati oggetto di comunicazione, dopo le note del 9 e 20 ottobre 2017 di integrazione e rettifica della graduatoria (senza però alcun chiarimento), con quella del 4 dicembre 2017;

4.1. posto che la comunicazione in questione (il cui termine di sette giorni decorre dalla comunicazione del primo licenziamento, come risulta dal tenore letterale della disposizione, che fa espresso riferimento alla “comunicazione” dei recessi e non già alla data di loro ricezione), per assolvere alla funzione cui è normativamente preordinata, non può essere parcellizzata in tante comunicazioni (ciascuna limitata ai lavoratori fino a quel momento licenziati ed effettuata entro sette giorni dai singoli licenziamenti) ma deve essere unica, così da esprimere l’assetto definitivo sull’elenco dei lavoratori da licenziare e sulle modalità di applicazione dei criteri di scelta (Cass. 26 settembre 2018, n. 23034), la comunicazione del 7 agosto 2017 risulta inidonea, sotto i profili di trasparenza informativa, completezza contenutistica e di rispetto della rigida scansione procedimentale, a consentire un adeguato controllo alle parti sociali e alle amministrazioni interessate ed essendo data comunicazione dei recessi soltanto con le suindicate note successive, ben oltre il termine perentorio di sette giorni;

4.2. un tale argomentato accertamento resiste alla censura della ricorrente ed è anzi confermato dall’allegazione della comunicazione 7 agosto 2017 con la relativa graduatoria (integralmente trascritte in affoliazione tra pg. 10 e pg. 11 del ricorso), senza alcuna confutazione della pure rilevata mancata inclusione in essa dei lavoratori addetti al front office;

5. il ricorso deve pertanto essere rigettato, per infondatezza, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione in favore del difensore antistatario in base alla sua richiesta, nonché raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 7.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15%, con distrazione in favore del difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

 

 

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