Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6662 del 19/03/2010

Cassazione civile sez. trib., 19/03/2010, (ud. 02/12/2009, dep. 19/03/2010), n.6662

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

PAMA srl in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avv. DI TONNO

Claudio ed elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Antonella

Licata e l’avv. Massimo Giordano in Corso Vittorio Emanuele II, n.

187;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco, rappresentata e difesa

dall’avv. CECCARANI Bruno e presso lo stesso domiciliata negli uffici

dell’Avvocatura comunale in Via del Tempio di Giove n. 21;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio,

sezione 36, n. 102, depositata il 4 luglio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 2

dicembre 2009 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

La Corte;

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

“Permesso che:

La PAMA srl ricorre per cassazione nei confronti della sentenza in epigrafe della Commissione Tributaria Regionale che, riformando la decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso della contribuente avverso plurimi avvisi di accertamento per TOSAP anno 1998.

Resiste l’Amministrazione comunale di Roma con controricorso.

Ritenuto che il ricorso possa essere deciso in Camera di consiglio in quanto:

Con il primo ed il secondo motivo di ricorso, – che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, la ricorrente deduce violazione della L. n. 388 del 2000, art. 145, comma 56, per avere la Commissione Tributaria Regionale ritenuto che la norma in questione, che ha modificato le modalità di calcolo dell’imposta sulla pubblicità, non avesse effetto meramente interpretativo e che quindi fosse legittima la pretesa impositiva del Comune di Roma, con l’ulteriore conseguenza che non avesse avuto effetto anche per il pregresso la delibera del Comune di Roma con la quale era stato deciso di chiudere il contenzioso in adesione a tale normativa. Essi appaiono manifestamente infondati. La questione è già stata posta all’attenzione della Corte che ha stabilito che “In tema di imposta comunale sulla pubblicità e con riferimento al caso di pubblicità per affissione diretta effettuata da società su impianti di proprietà e per conto terzi, la modifica al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 12, comma 3, introdotta dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 145, comma 56, ha portata innovativa e, quindi, è priva di efficacia retroattiva (così come la Delib. 27 gennaio 2001, n. 42, con cui il consiglio comunale di Roma dava pronta attuazione – ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 3 – alla suddetta disposizione innovativa), per cui alle fattispecie impositive di data anteriore non può essere applicata la tariffa commisurata alla durata non superiore a tre mesi del messaggio pubblicitario, ma il precedente sistema di calcolo dell’imposta in questione, riferito all’anno solare” (Cass. n. 1915 del 2007).

Il terzo motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione del D.Lgs. n. 507 del 1990, art. 12, è inammissibile per inidoneità del quesito che lo correda, posto che si richiede unicamente alla Corte di dire se tale norma sia stata violata e di enunciare il relativo principio di diritto. E’ stato infatti stabilito che “E’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, il ricorso per Cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. (Fattispecie in cui la S.C., precisato che la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimità, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico-giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione, ha affermato che all’adempimento di tale onere il ricorrente – che aveva soltanto chiesto alla Corte se vi fosse stata violazione di leggi in materia di immigrazione – si era totalmente sottratto)” (Cass. n. 19892 del 2007).

Il quarto motivo è ugualmente inammissibile in quanto, pur deducendo violazione di legge (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7), non è corredato da specifico quesito”;

che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite;

che non sono state depositate conclusioni scritte nè memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e pertanto, ribadito i principi di diritto enunciati, il ricorso va rigettato;

che la ricorrente va condannata al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 ivi compresi Euro 200,00 per spese vive.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 marzo 2010

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