Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6662 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6662 Anno 2016
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: SOLAINI LUCA

SENTENZA
sul ricorso 4625-2010 proposto da:
REALI ANTONIO in qualità di titolare di attività di
libero professionista, elettivamente domiciliato in
ROMA PIAllA CAVOUR, presso lo studio dell’avvocato
TOMMASO MACIOCI, che lo rappresenta e difende giusta
delega in calce;
– ricorrente –

2016
contro

535

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI

12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che li rappresenta e difende;

Data pubblicazione: 06/04/2016

contrari corrente nonché contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro
pro tempore
– intimato –

COMM.TRIB.REG.LAZIO SEZ.DIST. di LATINA, depositata il
22/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/02/2016 dal Consigliere Dott. LUCA
SOLAINI;
udito per il controricorrente l’Avvocato PISANA che ha
chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO che ha concluso per
l’inammissibilità in subordine rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 622/2008 della

R.G.4625/10
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La controversia riguarda l’impugnazione di un provvedimento di diniego di
rimborso, nella quale il ricorrente, Antonio Reali, ha lamentato di aver versato due
volte, per il quarto trimestre dell’anno 1998, la somma di £ 2.812.000 per IVA, di
aver presentato istanza di sollecito e di aver diritto al rimborso. L’ufficio nel
costituirsi in primo grado ha eccepito la decadenza del contribuente dal diritto al
rimborso, motivando l’avvenuta decadenza, per decorso del termine biennale di

2. La C.t.p. di Frosinone ha rigettato il ricorso introduttivo. Il contribuente ha
appellato la decisione ribadendo le proprie ragioni. L’ufficio si è costituito ed ha
resistito. La C.t.r. del Lazio, sezione di Latina, ha rigettato l’appello ritenendo, con
sentenza del 22 dicembre 2008, che la domanda di rimborso, essendo stata
presentata il 24 gennaio 2003, fosse tardiva rispetto al termine biennale fissato
dal precitato art. 21.
3. Antonio Reali ricorre per la cassazione di tale decisone sulla base di un unico
motivo. L’Agenzia resiste con con controricorso. Il Ministero dell’economia e delle
finanze, pure intimato, non svolge attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso, proposto nei
confronti del Ministero dell’Economia e Finanze, sia perché lo stesso non risulta
aver preso parte ai precedenti gradi di giudizio, sia perché difetta di legittimazione
passiva, in quanto la complessiva attività impositiva, si è trasferita, fin dal 1999,
in capo all’Agenzia delle Enrate.
2. Con l’unico motivo di ricorso, il ricorrente evidenzia come, nel caso di specie,
debba farsi applicazione del termine decennale di prescrizione, ex art. 2946 cod.
civ., e non del termine biennale previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546/92 che non
trova applicazione nel caso di versamento di imposta non dovuta, che costituendo
un ingiustificato arricchimento del fisco, consentirebbe al contribuente di avanzare
una legittima richiesta di restituzione dell’importo, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.
(indebito oggettivo).
3. Il ricorso è inammissibile.
3.1. In primo luogo, esso rimette al giudice di legittimità il compito di isolare le
singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi
d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o
quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,
inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto
giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di
esse. (conf., tra le tante, Cass. n. 19443 del 2011). E’onere della parte ricorrente,

cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546/92.

invece, precisare quale sia, in concreto, il vero vizio della sentenza d’appello, non
potendo tale scelta (a norma dell’art. 111 Cost., e del principio inderogabile
della terzietà del giudice) essere rimessa alla Corte (conf. Cass. 6235/2015 e
giur. ivi cit.). Nulla di quanto necessario è riscontrabile nel caso di specie, laddove
manca, sia graficamente sia contenutisticamente, qualsivoglia riferimento alle
diverse fattispecie dell’art. 360 c.p.c..
3.2. In secondo luogo, ove l’unico motivo sia da parametrare quale violazione di
norme di diritto sostanziali, per esso non è formulato il quesito di diritto, richiesto

temporis (poiché la sentenza è stata pubblicata prima del 4 luglio 2009). Nel
ricorso in esame, non solo manca del tutto la prescritta formulazione conclusiva,
ma manca persino graficamente qualsivoglia riferimento ad un quesito di diritto
vero e proprio, tale cioè da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un
accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. S.U. n. 7258
del 2007). Inoltre la Corte ha chiarito che “il quesito di diritto non può essere
desunto dal contenuto del motivo, poiché in un sistema processuale, che già
prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la
peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis, introdotto dall’art. 6 del d.lgs. n. 40
del 2006, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo,
di una sintesi originale e autosufficiente della violazione stessa, funzionalizzata alla
formulazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior
esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. n. 20409 del
2008, Cass. S.U. n. 6420/2008; Cass. n. 2799 del 2011).
4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in
dispositivo favore della controricorrente.
P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente a pagare alla
controricorrente Agenzia delle Entrate le spese giudizio di legittimità che liquida in
€ 645,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 febbraio 2016.

a pena d’inammissibilità dall’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione

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