Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6660 del 15/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 15/03/2017, (ud. 12/10/2016, dep.15/03/2017),  n. 6660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Presidente –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5840-2014 proposto da:

IMPRESA CERVINO S.R.L., P. IVA (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

NIERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE,

che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VINCENZO

LATORRACA e MARIO LAVATELLI giusta procura alle liti in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI OSSUCCIO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2848/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

emessa e depositata il 12/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ACIERNO MARIA;

udito l’Avvocato Cristina Della Valle, che si riporta i motivi del

ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

In ordine al ricorso recante il numero di R.G. 5840 del 2014 è stata depositata la seguente relazione:

“La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnazione del lodo arbitrale intercorso tra l’Impresa Cervino e il Comune di Ossuccio, proposta dall’impresa, sulla base delle seguenti argomentazioni:

Sui due motivi relativi alla nullità per disposizioni contraddittorie ha osservato che ai fini della sussistenza del vizio è necessario che vi sia contraddizione insanabile tra dispositivo e motivazione, o una motivazione che impedisca di ricostruire l’iter logico che ha portato alla decisione. Ha precisato nel merito che tale forma di contraddittorietà era del tutto insussistente. Sulla contraddittorietà inerente il non aver tenuto conto nella decisione dei risultati della CTU ha evidenziato che non sussiste contraddittorietà nel non aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio quando se ne dia come nella specie ampia e coerente motivazione.

In ordine ai quattro motivi relativi a censure rubricate come “violazione di regole di diritto” la Corte d’Appello ha rilevato in primo luogo l’inammissibilità per l’applicabilità alla fattispecie della nuova formulazione dell’art. 829 c.p.c., secondo la quale l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relativa al merito è ammessa solo se espressamente disposta dalle parti o dalla legge. Ha anche rilevato, quanto al terzo e quarto motivo che le censure avevano ad oggetto l’interpretazione delle prove raccolte e del comportamento delle parti; quanto al quinto che l’omissione lamentata era conseguenza dell’accertamento del criterio di liquidazione a corpo e non a misura e quanto all’ultimo (omesso esame della domanda di arricchimento senza causa) che si trattava di opere extracontratto non approvate, con conseguente applicabilità dell’orientamento restrittivo proprio della giurisprudenza di legittimità in ordine ai contratti di appalto pubblico.

Avverso tal pronuncia ha proposto ricorso per cassazione La s.r.l. Impresa Cervino con quattro motivi.

Nel primo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo individuato nella contraddittorietà della motivazione in ordine al rapporto tra terzo e quarto SAL (stato di avanzamento lavori).

La censura tutta articolata in fatto è palesemente inammissibile sotto molteplici profili. Quello assorbente appare essere quello relativo all’oggetto della contestazione (contraddittorietà motivazione) non più previsto nella novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5. Poichè la motivazione non è apparente nè perplessa, ovvero fondata su affermazioni inconciliabili siamo del tutto fuori del paradigma normativo del vizio lamentato alla luce della lettura fornita da S.U. 8053 del 2014.

Nel secondo motivo viene dedotta l’erronea lettura del D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, che detta la disciplina transitoria in ordine all’applicazione della nuovo regime processuale dell’arbitrato introdotto con la novella sopra indicata. Al riguardo deve rilevarsi che pur condividendo l’assunto del ricorrente in quanto confermato di recente da S.U. 9284 del 2016, deve rilevarsi che la censura sotto questo specifico profilo è inammissibile perchè tutti i motivi di appello rubricati come errori di diritto hanno ad oggetto l’interpretazione del contratto e delle prove acquisite in sede, ovvero riguardano profili del tutto insindacabili in sede giurisdizionale, sui quali, peraltro la Corte territoriale ha comunque assunto una decisione, di conformità all’interpretazione del collegio arbitrale fondata su un’adeguata ed ampia giustificazione argomentativa. Deve pertanto rilevarsi che su gli errore interpretativi la Corte d’Appello ha adottato una doppia ratio decidendi.

Al riguardo può rilevarsi che la parte ricorrente abbia censurato anche quest’ultima ratio ancorchè inammissibilmente. L’inammissibilità deriva dal costante orientamento di questa Corte ribadito in Cass. 8049 del 2011 così massimata:In tema di arbitrato, l’accertamento dell’accordo delle parti si traduce in un’indagine di fatto affidata agli arbitri, censurabile in sede di controllo di legittimità – quale è quello affidato al giudice dall’art. 829 c.p.c., – soltanto nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dagli arbitri o per violazione delle norme degli artt. 1362 ss. c.c.; pertanto, colui che impugna il lodo non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui ai detti articoli, ma deve specificare i canoni in concreto violati, nonchè il punto ed il modo in cui l’arbitro si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica alla decisione sfavorevole formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa e più favorevole interpretazione”. Ed anche in relazione ai limiti del sindacato di questa Corte Cass. 15086 del 2012 così massimata: La decisione della corte d’appello sulla impugnazione del lodo per violazione delle norme di legge in tema d’interpretazione dei contratti può essere censurata con ricorso per cassazione per vizi propri della sentenza medesima e non per vizi del lodo, spettando al giudice di legittimità verificare soltanto che la corte d’appello abbia esaminato la questione interpretativa e abbia dato motivazione adeguata e corretta della soluzione adottata.

Alla stregua dei principi, del tutto consolidati, si può affermare che gli errores ermeneutici denunciati in quanto non riguardanti le regole legali che governano l’ermeneusi contrattuale ma il suo concreto esercizio da parte degli arbitri (denunciato davanti alla Corte territoriale) e del giudice d’appello in seconda battuta (denunciati davanti a questa Corte), devono ritenersi inammissibili.

Con riferimento al sindacato di legittimità di questa Corte deve osservarsi la palese inammissibilità della censura che ha a specifico oggetto la contestazione nel merito dell’interpretazione del contratto e dei fatti accertati. Nel terzo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine al rigetto dell’azione d’ingiustificato arricchimento, in quanto i lavori eseguiti hanno prodotto un’indubbia utilitas oltre ad essere stati implicitamente approvati. La censura è manifestamente infondata, a tacere della formulazione come vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, e non n. 3, alla luce del costante indirizzo di questa Corte così massimato:

In tema di appalto di opera pubblica, ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, comma 2, all. F), l’appaltatore che abbia eseguito variazioni arbitrarie, perchè non richieste od autorizzate dall’amministrazione committente, ma introdotte per sua iniziativa unilaterale, non ha diritto ad alcun aumento di prezzo o compenso aggiuntivo, neppure a titolo di indebito arricchimento della committente, salvo che le variazioni fossero “indispensabili” per l’esecuzione dell’opera e concorrano gli altri presupposti di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 103, (applicabile “ratione temporis”), vale a dire che esse siano state ritenute meritevoli di collaudo e che l’importo totale dell’opera, compresi i lavori non autorizzati, rientri nei limiti delle spese approvate, (Cass. 16366 del 2014). Nella specie, il giudice del merito ha accertato che non si trattava di varianti consentite nei margini legislativi, nè è stato dedotto che ricorrano le condizioni indicate nella massima sopra illustrata.

L’ultima censura relativa all’erronea applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali è palesemente infondata dal momento che la Corte statuisce sulle spese sulla base della “sostanziale soccombenza dell’impugnante”.

In conclusione ove si condividano i predetti rilievi il ricorso deve essere respinto”.

Il Collegio aderisce senza rilievi alla relazione depositata osservando in ordine alla memoria di parte ricorrente:

sul primo motivo l’indicazione dell’omesso esame di un fatto decisivo è contenuta per la prima volta nella memoria depositata ed ha ad oggetto non un fatto ma l’interpretazione del contratto; la motivazione come già rilevato nella relazione è del tutto coerente ancorchè reiettiva delle ragioni del ricorrente; sul secondo e terzo motivo la memoria prospetta una diversa ed inammissibile valutazione dei fatti accertati e dell’interpretazione del tessuto contrattuale.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Non vi è statuizione sulle spese processuali, non essendosi costituito l’intimato.

PQM

Rigetta il ricorso.

Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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