Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6657 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. III, 09/03/2020, (ud. 06/12/2019, dep. 09/03/2020), n.6657

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1191-2018 proposto da:

PROVINCIA REGIONALE SIRACUSA, oggi LIBERO CONSORZIO COMUNALE DI

SIRACUSA in persona del Commissario straordinario pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L ROBECCHI BRICHETTI 29,

presso lo studio dell’avvocato VALERIA ZAPPULLA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ALDO BURGIO;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE

38, presso lo studio dell’avvocato ENRICO VITALI, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA BRANDINO;

– controricorrente –

e contro

FARO ASSICURAZIONI RIASSICURAZIONI SPA IN LCA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1836/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/12/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. La Provincia Regionale di Siracusa ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Catania, che, riformando la pronuncia del competente Tribunale, l’aveva condannata al risarcimento dei danni subiti da S.A. a seguito di un incidente stradale occorso su una strada provinciale mentre era alla guida del proprio motociclo ed era andato ad urtare violentemente con un paletto fuoriuscente dal guardraille lesioni conseguenti al sinistro avevano reso necessaria l’amputazione di una gamba.

2. Ha resistito la parte intimata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. I tre motivi sono tutti riferiti al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

1.1. Con il primo, si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 6 C.d.S., comma 4, lett. b): la ricorrente assume che il percorso argomentativo seguito della Corte d’appello per affermare la responsabilità della Provincia era viziato in quanto aveva fatto prevalere la presunta prassi illecita – consistente nell’illegittimo passaggio dei veicoli sulla strada teatro del sinistro – sulla normativa legale espressa attraverso il divieto di accesso regolarmente segnalato.

1.2. Deduce, al riguardo, che il codice della strada non prevedeva alcun obbligo di sbarramento fisico del transito, visto che la ratio della segnalazione affidata al cartello stradale equiparava gli effetti del divieto alla presenza di un muro invalicabile; e che pertanto la trasgressione del motociclista avrebbe dovuto escludere ogni responsabilità del custode della strada.

1.3. Il motivo è inammissibile.

Le testimonianze assunte e riesaminate compiutamente dalla Corte – che ha valorizzato, in particolare, le dichiarazioni dell’agente di Polizia Stradale (pubblico ufficiale) che aveva redatto il processo verbale relativo al proprio intervento – hanno riferito della sussistenza di un divieto di transito apposto mediante un segnale verticale di pericolo di “piena” ed uno di pericolo generico, con pannello che segnalava che la strada era soggetta ad allagamento.

La Corte ha esaminato sia il lungo periodo – un arco temporale di oltre quattro anni – durante il quale il traffico privato, se pur formalmente vietato, era proseguito senza soluzione di continuità ed alcuna evidente deterrenza al passaggio dei veicoli, nell’inerzia della Provincia Regionale di Siracusa (cfr. pag. 17 della snetenza impugnata), sia la responsabilità per l’omessa vigilanza e manutenzione della strada la quale presentava comunque condizioni di pericolo per gli utenti, diverse ed ulteriori rispetto a quelle ascrivibili alla causa segnalata, riguardante soltanto il pericolo di allagamento.

1.4. E’ stato anche valorizzato che, sebbene le disposizioni codicistiche non esprimano alcuna preferenza riguardo ai mezzi che il custode della strada dovrebbe utilizzare al fine di impedire l’accesso al pubblico transito, doveva essere comunque addebitata all’Ente una limitata diligenza nella scelta dello strumento più idoneo a tutelare gli utenti dal pericolo, in quanto le misure concretamente apprestate si erano appalesate del tutto insufficienti per arrestare l’utilizzo della strada. (cfr. in termini Cass. 19129/2011; Cass. 6141/2018).

1.5. La censura proposta si limita a chiedere una rivalutazione di merito delle modalità attraverso le quali il custode aveva svolto il proprio obbligo di vigilanza e manutenzione del bene: si tratta di questioni di fatto rispetto alle quali la Corte ha reso una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale. La critica prospettata, dunque, non può trovare accesso in sede di legittimità.

2. Con il secondo ed il terzo motivo – da esaminare congiuntamente per l’intrinseca connessione logica – il ricorrente deduce:

a. la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 40 e 41 c.p., nonchè all’art. 1227 c.c. e all’art. 141 C.d.S. e al “principio di autoresponsabilità” del conducente del motoveicolo: censura, al riguardo, le conclusioni della Corte territoriale nella parte in cui attribuiscono all’Ente una responsabilità esclusiva per l’incidente e per l’infortunio del S., senza valutare affatto la sua condotta trasgressiva e l’incidenza di essa sulla valutazione del nesso causale (secondo motivo);

b. la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 e 116 in relazione al principio di autoresponsabilità e agli art. 12 e 14 C.d.S. (terzo motivo)

2.1. Rileva che la Corte aveva errato nel ritenere del tutto regolare la condotta del S. il quale aveva, in ogni caso, violato il divieto posto dall’autorità pubblica, ponendo dunque in essere una condotta illegittima, con tutte le conseguenze in termini di concorso nella causazione dell’evento.

2.2. La ricorrente assume, in buona sostanza, che era stata ingiustamente esclusa l’applicazione, alla fattispecie in questione, dell’art. 1227 c.c. sul concorso colposo del creditore; e che non erano state considerate dalla Corte le disposizioni di cui agli artt. 12 e 14 C.d.S. che prevedono: a) la competenza dell’ente territoriale per il “controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze” (art. 14 C.d.S.), controllo che era stato adempiuto;b) la competenza degli organi di polizia, ex art. 12 C.d.S., per “la prevenzione e l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale” (ex art. 11). Con ciò si afferma, dunque, che l’eventuale violazione consuetudinaria del divieto di transito doveva essere addebitata agli organi della Polizia dello Stato, responsabile di tale compito di prevenzione ex art. 12 C.d.S., lett. d-bis e notoriamente inefficiente.

2.3. Deduce, inoltre, l’impossibilità di esercizio di un controllo adeguato del territorio provinciale la cui rete viaria si estendeva per chilometri.

2.4. Le censure sono complessivamente inammissibili.

La Corte d’appello, infatti, dopo aver riscontrato una condotta negligente del custode, idonea a configurare la responsabilità ex art. 2051 c.c., ha, sia pur sinteticamente, esaminato il comportamento del danneggiato (cfr. pag. 18 della sentenza impugnata) affermando che egli non conosceva la strada e che mai avrebbe potuto rendersi conto dei paletti divelti che hanno causato il sinistro e che costituivano un pericolo, eliminato solo successivamente alla verificazione dell’incidente: l’argomentazione secondo cui il S. era finito autonomamente fuori corsia e che la sua caduta avrebbe comunque determinato lesioni fisiche, anche senza la presenza del paletto, configura una contrapposizione difensiva fondata su una presupposizione che non contrasta efficacemente l’impostazione logica della Corte che ha valutato anche tale ipotesi affermando che ” se ci fosse stata una barriera efficiente ed adeguata, il S. avrebbe semplicemente urtato contro il guardrail e non avrebbe riportato la lacerazione dell’arto inferiore inferta dal guardavia divelto” (cfr. pag. 19, primo cpv. sentenza impugnata) dalla quale è successivamente derivata l’amputazione della gamba.

2.5. In buona sostanza, la censura – che prospetta la violazione di legge anche in relazione al principio di “autoresponsabilità” del danneggiato – maschera una inammissibile richiesta di rivalutazione della sua condotta già efficacemente compiuta dai giudici d’appello e sostenuta da una motivazione sufficiente e logica (Cass. 8758/2017; Cass. 13721/2018).

2.6. Infine, anche le giustificazioni addotte dalla ricorrente al fine di essere esentata da qualunque forma di responsabilità (“scaricandola” sulle competenze della Polizia Stradale) sono questioni di fatto che, comunque, non avrebbero condotto ad una diversa soluzione, in quanto le competenze della Polizia Stradale non valgono ad elidere il rapporto di custodia della Provincia, confortato anche dalla rivendicata apposizione del cartello stradale: e vale solo la pena di rilevare che la sua respdsabilità va ricondotta alla omessa vigilanza sull’osservanza del divieto e sulle condizioni intrinseche di pericolo della strada che, pur in presenza della segnalazione, non esentavano il custode dal dovere di vigilanza e manutenzione.

3. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

4. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

La Corte,

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 6 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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