Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6656 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6656 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: CRICENTI GIUSEPPE
Data pubblicazione: 06/04/2016

svolgimento del processo

accertamento, per l’anno 2001, a seguito di una verifica effettuata da funzionari della
Direzione Regionale.
L’Agenzia delle Entrate ha, tra l’altro contestato, alla Bolton di non aver contabilizzato
575.454,87 euro per ricavi derivanti da operazioni intercorse con imprese controllate.
In particolare, la Bolton ha sostenuto i costi affrontati dalla ICS Link, operante nella
Repubblica Ceca, per la pubblicità di prodotti che la Bolton distribuisce all’estero,
assumendo però di avere ricavato dalle vendite introiti inferiori alle spese sostenute.
L’Agenzia ha dunque presunto che la differenza tra il costo sostenuto e il ricavo avuto
costituisce un trasferimento di reddito all’estero, fatto al fine di eludere la tassazione
italiana.
Inizialmente, l’Agenzia ha contestato anche la illegittima deduzione di altri costi. Su
questi ultimi, come su quello oggetto di ricorso, sia la Commissione Provinciale che
quella Regionale hanno accolto il ricorso della società Bolton.
Ricorre per Cassazione l’Agenzia, soltanto relativamente ai ricavi presunti derivanti da
operazioni con le società controllate, chiedendo l’annullamento della sentenza per
difetto di motivazione.
Secondo la ricorrente la Commissione regionale avrebbe apoditticamente aderito alla
tesi della ricorrente, senza dare conto della sua fondatezza, ed avrebbe errato
nell’attribuire all’Amministrazione l’onere della prova.
Resiste con controricorso la società Bolton.

motivi della decisione
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L’Agenzia delle Entrate di Milano ha notificato alla BOLTON MANITOBA SPA un avviso di

1.- Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia denuncia difetto di motivazione per
violazione dell’art. 360 n.5.
La ragione del ricorso sta nel fatto che la Bolton avrebbe compiuto un’operazione
antieconomica, vendendo dei beni, tramite la consociata estera, ad un prezzo minore
rispetto a quello di costo. Secondo l’Agenzia si tratterebbe di una operazione fittizia,
nel senso che i beni sarebbero invece stati venduti ad un diverso e maggiore prezzo,

Secondo l’Agenzia la spesa sostenuta da Bolton per fare pubblicità ai prodotti da
distribuire all’estero, spesa consistente nel rimborsare ICS dei costi sostenuti per tale
promozione, è superiore ai ricavi avuti dalle vendite.
La differenza tra quanto ricavato dalle vendite e quanto effettivamente speso per
realizzarle non sarebbe effettiva, ma costituirebbe un reddito che Bolton ha occultato
facendolo passare come costo.
L’Agenzia giunge a tale conclusione assumendo che non è criterio di normalità
economica che i costi per la proposizione di prodotti da vendere superino i ricavi delle
vendite stesse.
E dunque fa applicazione dell’art. 76, comma 5 del DPR n. 917 dei 1986 (previgente),
secondo il quale: ” i componenti del reddito derivanti da operazioni con società non

residenti nel territorio dello Stato che, direttamente o indirettamente, controllano
l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla
l’impresa sono valutati in base al valore normale dei beni ceduti”.
In sostanza, la norma presuppone che si sia appurato che la società ha prodotto un
reddito all’estero.
Richiamando un orientamento di questa Corte (Cass. n. 182 del 2001, tra le altre),
l’Agenzia sostiene che nel caso di operazione antieconomica, che il contribuente non
sappia adeguatamente giustificare, è legittimo l’accertamento dell’Agenzia, e che il
giudice tributario per poter annullare tale accertamento,deve specificare, con validi

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ed il ricavo ottenuto non sarebbe stato denunciato come tale.

argomenti, le ragioni per le quali ritiene che l’antieconomicità del comportamento del
contribuente non sia sintomatico di possibili violazioni di disposizioni tributarie.
La sentenza impugnata di fatto giustifica l’antieconomicità, secondo l’Agenzia,
semplicemente limitandosi a dire che: “appare sostenibile la strategia di marketing
adottata dalla ricorrente per la produzione e commercializzazione dei propri prodotti
nel mercato della Repubblica Ceca”.

1.1.- Il motivo va rigettato.
L’onere di dimostrare che un’operazione economica realizzata all’estero, fatta tramite
una controllata o controllante avente per l’appunto sede all’estero, costituisce reddito,
è posto a carico della Amministrazione, per consolidato orientamento di questa Corte
(Cass. 1_3.10.2006, n. 22023; Cass. 16.5.2007, n. 11226).
La decisione impugnata ha correttamente ritenuto a carico dell’Agenzia l’onere di
provare che la differenza tra il costo sostenuto per la pubblicità ed il ricavo delle
vendite fosse fittizio, costituendo in realtà un reddito realizzato all’estero e come tale
da considerarsi fiscalmente prodotto in Italia.
Va ribadita la regola per cui la prova dell’elusione, e dei suoi presupposti, grava
sull’Amministrazione che intende operare le conseguenti rettifiche.
Da questo punto di vista è irrilevante la giurisprudenza citata in tema di costi
deducibili, e che pone l’onere di dimostrare la deducibilità in capo al contribuente,
poiché non si tratta qui di costi deducibili, ma dell’assumere come reddito occulto una
differenza tra costi e ricavi realizzati all’estero.
Con apprezzamento di fatto non censurabile in Cassazione, la Commissione ha
ritenuto che l’Agenzia non ha adeguatamente dimostrato perché, sulla base dei valori
normali delle merci vendute, il ricavo avrebbe dovuto essere superiore alla spesa
sostenuta per vendere, ritenendo invece che l’Agenzia abbia agito sulla base di una
presunzione non convincente: quella per cui la spese sostenute per la pubblicità
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Motivazione che, secondo la ricorrente, insufficiente o meramente apparente.

avrebbero dovuto far conseguire alla società ricavi perlomeno pari alla spesa
affrontata.
La motivazione fa, sia pure sinteticamente, la comparazione tra due presunzioni:
quella usata dall’Amministrazione e quella, di segno contrario, per cui sarebbe più
verosimile che in fase di start up il costo per promuovere il prodotto sia superiore ai
ricavi delle vendite.

impugnata dà conto del ragionamento che l’ha indotta ad assumere quella decisione,
ossia la presunzione per cui i costi di pubblicità non sono costi di produzione, e
possono superare il prezzo dei prodotto reclamizzato.
In sostanza, la ricorrente Agenzia assume un impiego non corretto delle regole di
esperienza su un fatto determinante.
In generale, non può ritenersi insufficiente, però, la motivazione quando si comprende
quali siano state le ragioni che hanno giustificato la decisione assunta. La sentenza
impugnata mostra di motivare perché ritiene che non è presumibile che da un costo di
pubblicità debba ricavarsi necessariamente un guadagno almeno di pari ammontare,
in quanto ritiene non correlato quel costo al ricavo dovuto alle vendite.
Nel vecchio teso dell’art. 360 c.p.c., applicabile

ratione temporis a questo caso,

l’insufficienza della motivazione, quando, come nella fattispecie, è denunciata l’omessa
considerazione di un fatto controverso, vale come indice della mancata considerazione
di quel fatto. E ciò nel senso che è da ritenersi trascurato un fatto controverso e
rilevante quando non vi sia su di esso (rectius sulla sua rilevanza) una motivazione
sufficiente.
Nei caso di impiego di regole di esperienza, il vizio denunciato presuppone che il
giudice non abbia adeguatamente illustrato quali siano tali regole e come lo hanno
portato a far ritenere provato (o non provato) il fatto controverso e decisivo.
In realtà, il giudice di merito adduce una ragione che sta al fondo della regola di
esperienza utilizzata per valutare il fatto controverso.
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Fatto valere come vizio di motivazione il motivo è infondato, poiché la decisione

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Da un lato infatti ritiene che l’Agenzia non abbia sufficientemente dimostrato il valore
normale delle merci, ma soprattuto, dall’altro, assume che dal costo di pubblicità non
si può dedurre, come ha fatto l’Agenzia, che si debba avere, necessariamente, pena la
non economicità della operazione, un ricavo corrispondente o maggiore, trattandosi di
due voci non correlate, nel senso che la spesa di pubblicità non necessariamente
assicura ricavi tali da coprirla.

non fondata la presunzione cui ha fatto ricorso l’Agenzia.
Il ricorso, basato su questo unico motivo, va pertanto respinto, e le spese seguono la
soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che
liquida in complessive 7 mila euro, oltre spese prenotate a debito.
Roma 27.1.2016

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Il Presidente

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Il giudice di merito ha dunque motivato sulle ragioni che lo hanno indotto a ritenere

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