Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6644 del 15/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 15/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.15/03/2017),  n. 6644

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20388 – 2015 R.G. proposto da:

S.P., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in

Roma, al piazzale delle Belle Arti, n. 8, presso lo studio

dell’avvocato Antonino Pellicanò che lo rappresenta e difende in

virtù di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, elettivamente

domicilia;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

Avverso il decreto dei 30.12.2014/17.1.2015 della corte d’appello di

Catanzaro, assunto nel procedimento iscritto al n. 291/2012 R.E.R.;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5

dicembre 2016 dal consigliere dott. Luigi Abete;

Udito l’avvocato Antonino Pellicanò per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 9 alla corte d’appello di Catanzaro depositato in data 8.3.2012 S.P. si doleva per l’eccessiva durata, pari a tredici anni, tre mesi e diciotto giorni, del giudizio promosso con ricorso depositato l’11.4.1997 – e finalizzato a conseguire l’accertamento del diritto all’adeguamento “Istat” dell’indennità di disoccupazione agricola percepita negli anni 1990/1992 – dinanzi al pretore del lavoro di Palmi e proseguito – con esclusivo riferimento alla regolamentazione delle spese di lite – dinanzi alla sezione lavoro della corte di appello di Reggio Calabria, che con sentenza n. 1238/2010 aveva accolto il gravame, condannando l’I.N.P.S. al pagamento delle spese e del primo e del secondo grado fino a concorrenza dei 2/3.

Chiedeva che il Ministero della Giustizia fosse condannato a corrispondergli un equo indennizzo, da determinarsi secondo i parametri di legge, a ristoro dei danni tutti subiti oltre interessi e spese.

Si costituiva il Ministero della Giustizia.

Con decreto dei 30.12.2014/17.1.2015 la corte d’appello di Catanzaro rigettava il ricorso e compensava integralmente le spese di lite.

Esplicitava – la corte – che il modesto valore economico, nell’ambito del giudizio “presupposto”, della “posta in gioco”, con delimitazione dell’oggetto del gravame alla censura della compensazione delle spese del primo grado, valeva ad escludere in radice il diritto all’invocato indennizzo; che invero non si giustificavano ansie, turbamenti e disagi di sorta.

Avverso tale decreto ha proposto ricorso sulla scorta di tre motivi S.P.; ha chiesto che questa Corte ne disponga la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese – da attribuirsi al difensore antistatario – dei giudizi di merito e di legittimità.

Il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un unico motivo; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso ed, in accoglimento del ricorso incidentale, dichiarare infondata la domanda ex adverso azionata con il favore delle spese.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 nel testo antecedente alla novella del 2012 applicabile ratione temporis; il vizio assoluto di motivazione.

Deduce che la corte di merito ha determinato il valore del giudizio “presupposto” in maniera del tutto semplicistica; che invero il valore effettivo e reale del giudizio “presupposto” era pari ad Euro 600,12 e dunque per nulla inconsistente od esiguo; che l’importanza della “posta in gioco” è altresì palesata dalla modesta sua condizione socio – economica di bracciante agricolo e dalla natura previdenziale della controversia “presupposta”.

Deduce che la corte distrettuale, allorchè ha fatto riferimento alla prosecuzione del giudizio in grado d’appello esclusivamente ai fini della regolamentazione delle spese di lite, “ha effettuato un arbitrario, quanto ingiustificato, “frazionamento” della controversia” (così ricorso principale, pag. 13).

Deduce segnatamente che la corte territoriale ha errato, allorchè ha escluso il patema d’animo in considerazione del rilievo per cui il giudizio “presupposto” aveva avuto prosecuzione in grado d’appello unicamente per la regolamentazione delle spese; che difatti nei giudizi previdenziali il profilo della regolamentazione delle spese di lite ha valenza essenziale.

Con il secondo motivo il ricorrente principale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2; la carenza assoluta di motivazione.

Deduce che l’unico presupposto cui è ancorato il diritto all’equa riparazione, è costituito dal ritardo nella definizione del processo; che l’esiguità della “posta in gioco”, insussistente nel caso di specie, rileva, alla stregua della giurisprudenza di legittimità, ai soli fini della determinazione del quantum dell’indennizzo.

Con il terzo motivo il ricorrente principale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, denuncia il difetto assoluto di motivazione; la disparità di trattamento.

Deduce che “identiche fattispecie sono state giudicate dalla stessa Corte d’Appello di Catanzaro con esito favorevole per il ricorrente” (così ricorso principale, pag. 20); che con decreto n. 982/2012 la medesima corte di merito ha accolto identico ricorso per equa riparazione ed ha condannato il Ministero a pagare l’importo di Euro 1.900,00, oltre interessi e spese di giudizio.

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2.

Deduce che la corte distrettuale ha errato allorchè ha opinato per l’operatività della sospensione feriale dei termini con riferimento al termine decadenziale semestrale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4; che invero che il termine di cui all’art. 4 cit. ha natura sostanziale e non processuale.

Deduce su tale scorta che il dies a quo coincide con il 29.7.2011, dì della decisione conclusiva del giudizio “presupposto”, ed il dies ad quem con il 29.1.2012, sicchè il ricorso lege n. 89 del 2001, ex art. 3 siccome depositato in data 8.3.2012, deve reputarsi tardivamente esperito.

Si impone dapprima la disamina del ricorso incidentale in considerazione della sua valenza preliminare.

Il ricorso incidentale è in ogni caso destituito di fondamento.

E’ sufficiente richiamare l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1 prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo (cfr. Cass. 18.3.2016, n. 5423; Cass. 11.3.2009, n. 5895).

Alla data dell’8.3.2012, dì del deposito del ricorso L. n. 89 del 2001, ex art. 3 non era perciò decorso il termine decadenziale semestrale di cui alla medesima L. n. 89 del 2001, art. 4.

Strettamente correlati sono i motivi del ricorso principale.

Se ne giustifica pertanto la disamina simultanea.

I medesimi motivi comunque sono fondati e meritevoli di accoglimento nei termini che seguono.

Alla luce dell’insegnamento n. 633 del 14.1.2014 di questa Corte il giudizio “presupposto” non può a rigore reputarsi di carattere bagattellare; nè la relativa “posta in gioco”, quanto meno in dipendenza dello status di bracciante agricolo con un modesto livello di reddito del S., può considerarsi esigua.

In tal guisa va ribadito l’ulteriore insegnamento a tenor del quale, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali: sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione – il giudice, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, secondo le norme della citata L. n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale ogniqualvolta non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente; nè, d’altra parte, la indennizzabilità del danno di cui si tratta può essere esclusa sul rilievo dell’esiguità della “posta in gioco” nel processo presupposto, in quanto l’ansia ed il patema d’animo conseguenti alla pendenza del processo si verificano anche nei giudizi in cui la “posta in gioco” è esigua, onde tale aspetto può avere solo un effetto riduttivo dell’entità del risarcimento, ma mai escluderlo totalmente (cfr. Cass. 13.4.2006, n. 8714; Cass. 3.10.2005, n. 19288; Cass. sez. un. 26.1.2004, n. 1339).

Ovviamente, in rapporto a tal ultimo rilievo, va reiterato l’insegnamento secondo cui, in tema di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, il giudice, nel determinare la quantificazione del danno non patrimoniale subito per ogni anno di ritardo, può scendere al di sotto del livello di “soglia minima” là dove l’accoglimento della pretesa azionata renderebbe il risarcimento del danno non patrimoniale del tutto sproporzionato rispetto alla reale entità del pregiudizio sofferto (cfr. Cass. 24.7.2012, n. 12937).

Le surriferite argomentazioni assorbono e rendono vana la disamina delle ulteriori prospettazioni del ricorrente principale.

In particolare delle prospettazioni secondo cui “la domanda di equa riparazione ha carattere unitario (…) ed (…) impone al giudice (…) di effettuare una valutazione complessiva del processo presupposto, escludendo (…) la possibilità di compiere una valutazione “per fasi”” (così ricorso principale, pag. 14), e secondo cui “se il giudice di merito compensa o liquida, come nel caso di specie, in misura irrisoria le spese del giudizio, finisce per vanificare l’esito vittorioso della causa per il ricorrente” (così ricorso principale, pag. 15).

Per altro verso, con precipuo riferimento al terzo motivo del ricorso principale, questa Corte da epoca risalente ha chiarito che la sentenza emessa in un giudizio in cui una delle parti sia diversa, anche se la questione giuridica risolta sia identica, non può spiegare autorità di cosa giudicata in un altro giudizio in cui la stessa questione venga riproposta, ma costituisce un precedente non vincolante (cfr. Cass. 6.9.1976, n. 3103).

In accoglimento del ricorso principale il decreto dei 30.12.2014/17.1.2015 la corte d’appello di Catanzaro va cassato con rinvio alla medesima corte in diversa composizione.

All’enunciazione – giusta la previsione dell’art. 384 c.p.c., comma 1 – del principio di diritto – al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio – può farsi luogo per relationem, nei termini espressi dalle massime desunte dagli insegnamenti nn. 8714/2006, 19288/2005 e 1339/2004 dapprima citati.

In sede di rinvio si provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10 non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001. Il che rende in ogni caso, al di là del buon esito del ricorso principale, inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso incidentale; accoglie per quanto di ragione il ricorso principale; cassa in relazione e nei limiti dell’accoglimento del ricorso principale il decreto dei 30.12.2014/17.1.2015 della corte d’appello di Catanzaro; rinvia alla stessa corte d’appello in diversa composizione anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sez. Sesta civ. – 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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