Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6642 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 10/03/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 10/03/2021), n.6642

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 10243-2020 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

A.T., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO PASTORE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2015/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 20/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. SCOTTI

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con sentenza del 20.12.2019 la Corte di appello di Torino, in riforma della decisione di primo grado del Tribunale di Torino, ha riconosciuto a A.T., cittadino nigeriano, un permesso di soggiorno a titolo di protezione umanitaria, a spese compensate;

avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 1/4/2020 ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno, svolgendo unico motivo, al quale ha resistito con controricorso notificato il 19/6/2020 A.T., chiedendone l’inammissibilità o il rigetto;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c. la trattazione in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RITENUTO che:

con il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il Ministero ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 342, applicabili ratione temporis,

il Ministero ricorrente sostiene che la sentenza impugnata non è conforme ai principi espressi da giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Sez. U, n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02);

infatti la Corte di appello ha espressamente affermato che l’appellante non rientrava “nella categoria delle persone vulnerabili per età, salute o provenienza” e ha riconosciuto la protezione umanitaria esclusivamente sulla base del percorso di inclusione nel territorio italiano, deducendo da questa sola ragione il rischio “di subire dannose ripercussioni in caso di rimpatrio”; nel frattempo è stato emanato il decreto L. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 173, recante, tra l’altro disposizioni urgenti in materia di immigrazione e protezione internazionale convertito in legge del 2020, che ha ridisegnato i presupposti e i contenuti della protezione di diritto nazionale complementare rispetto alla protezione internazionale, mantenendo la denominazione di “protezione speciale” introdotta dal D.L. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132, ma incidendo significativamente sia sull’art. 5, comma 6, sia sul D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 19, comma 1.1., e dettando una norma transitoria (Part. 15) che si presta, quanto alle domande pregresse e ai giudizi in corso, a differenti interpretazioni; che in particolare il rinnovato D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.1., assegna rilievo ai fini del riconoscimento della protezione speciale ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1.2., e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, parimenti novellati, alle ipotesi -riconducibili all’art. 8 della CEDU – in cui l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del richiedente asilo, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica;

che si pone pertanto un complesso problema ermeneutico per individuare la disciplina di protezione complementare pro tempore applicabile, non disgiunto, per di più, dalla esatta ricostruzione degli effettivi contenuti della nuova disciplina;

nel frattempo con ordinanza interlocutoria dell’11/12/2020 n. 28316 questa Sezione ha ritenuto di investire le Sezioni Unite di questione di massima di particolare importanza in un caso analogo a quello oggetto del presente giudizio;

in tale ordinanza è stato osservato che ” alla stregua del corredo normativa e giurispnidenziale che precede, mediante un percorso evolutivo ulteriore rispetto a quello tracciato dalle Sezioni Unite del 2019, ma sempre col sostegno dell’art. 8 CEDU e nel solco di principi già affermati, peraltro valorizzato dal legislatore nel D.L. n. 130 del 2020, può ritenersi che, nelle ipotesi considerate e a date condizioni, il vulnus possa conseguire direttamente, anche, proprio dall’allontanamento del cittadino straniero dal paese di accoglienza. Infatti, a fronte di una situazione di “stabile insediamento”, per usare la stessa espressione della Corte ED U, da accertarsi secondo precisi parametri connessi alla durata, stabilità e consistenza qualitativa della condizione di permanenza in Italia, l’allontanamento può configurarsi come evento idoneo a provocare la lesione dei diritti umani fondamentali che connotano il “radicamento” dello straniero nel paese di accoglienza e dei quali il richiedente risulterebbe privato nel paese di origine. Dunque, la vulnerabilità, in questa ipotesi, può scaturire dallo “sradicamento” del cittadino straniero che, col tempo, abbia trovato nel paese ospitante una stabile condione di vita, da intendersi riferita non solo all’inserimento lavorativo, che è indice indubbiamente significativo, ma anche ad altri ambiti relazionali rientranti nell’alveo applicativo dell’art. 8. Si ritiene, in conclusione, d’investire le Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza avente ad oggetto la configurabilità del diritto alla protezione umanitaria, nella vigenza del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 ed in continuità con la collocazione nell’alveo dei diritti umani inviolabili ad esso attribuita dalla recente pronuncia n. 24159 del 2019, quando sia stato allegato ed accertato il “radicamento” effettivo del cittadino straniero, fondato su decisivi indici di stabilità lavorativa e relazionale, la cui radicale modificazione, mediante il rimpatrio, possa ritenersi idonea a determinare una situazione di vulnerabilità dovuta alla compromissione del diritto alla vita privata e/o familiare ex art. 8 CEDU, sulla base di un giudizio prognostico degli effetti dello “sradicamento” che incentri la valutazione comparativa sulla condizione raggiunta dal richiedente nel paese di accoglienza, con attenuazione del rilievo delle condizioni del paese di origine non eziologicamente ad essa ricollegabili”;

ritenuto che pertanto la causa debba essere rinviata a nuovo molo in attesa della decisione delle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte

rinvia la causa a nuovo ruolo.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

 

 

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