Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6640 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 01/03/2022, (ud. 16/12/2021, dep. 01/03/2022), n.6640LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30915-2020 proposto da:

J.U., elettivamente domiciliato in ROMA, al VIALE DELLE

MEDAGLIE D’ORO, 169, presso lo studio dell’avvocato ANNA NOVARA, che

lo rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, in VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 28720/2019 del TRIBUNALE di ROMA,

depositato il 16/10/2020;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 16/12/2021 dal Consigliere relatore, Dott. CAIAZZO

ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

J.U., cittadino della Nigeria, ha adito il Tribunale di Roma, impugnando il provvedimento con cui la Commissione territoriale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.

Il Tribunale, in seguito all’audizione del ricorrente all’udienza del 31 gennaio 2020, ha rigettato il ricorso, osservando che: il racconto del ricorrente non era credibile, privo di dettagli apprezzabili circa la setta di cui faceva parte il padre, e con numerose contraddizioni; non risultava comunque configurabile nella specie alcuna delle ipotesi di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. a) e b), nonché ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), sulla base delle COI consultate e menzionate; era da escludere la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in considerazione della mancata documentazione di circostanze di particolare vulnerabilità soggettiva; solo in sede giurisdizionale il ricorrente ha fatto menzione di alcuni trattamenti subiti in occasione del periodo di prigionia in Libia, mentre non erano emersi profili di integrazione nel territorio italiano, in quanto il ricorrente aveva documentato la frequenza di un corso di italiano e un rapporto di lavoro con contratto a tempo determinato iniziato nel 2018 e con scadenza al luglio 2019, del cui rinnovo non era stata fornita alcuna evidenza.

Avverso il predetto decreto il ricorrente ricorre in cassazione con quattro motivi. Il Ministero dell’Interno ha depositato atto di costituzione al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Diritto

RITENUTO

che:

Il primo motivo denunzia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il Tribunale ha omesso di valutare, o travisato, i profili medico-legali della certificazione prodotta in giudizio, in ordine alla compatibilità delle cicatrici con il narrato delle torture subite in Libia dal richiedente asilo.

Il secondo motivo deduce la nullità del provvedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4, per aver statuito in violazione e omessa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., avendo il Tribunale escluso la rilevanza della certificazione medico legale.

Il terzo motivo denunzia violazione e/o errata interpretazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. h) bis, e art. 8; al riguardo, si censura la decisione del Tribunale per non aver valutato la vuinerabilità del ricorrente in considerazione della violenza fisica e psichica che avrebbe sofferto, essendo peraltro completamente mancato l’esame da parte del giudice di primo grado della possibilità ed effettività di cura in Nigeria.

Il quarto motivo denunzia violazione o falsa interpretazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 7 ter, del D.L. n. 13 del 2017, art. 3, comma 4 bis, e del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, per aver il giudice delegato conferito la sub-delega al GOP per l’espletamento dell’audizione del ricorrente. Il ricorso è inammissibile per i primi tre motivi, ed infondato per il quarto.

Il primo e secondo motivo, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili perché diretti al riesame dei fatti e, comunque, il primo non pertinente alla ratio decidendi, poiché il Tribunale ha esaminato la questione del certificato medico prodotto, mentre il secondo tende a ribaltare l’interpretazione del giudice che ne ha escluso ogni rilevanza ai fini della decisione.

Il terzo motivo svolge una censura meritale.

Infine, il quarto motivo è infondato. Invero, la doglianza, secondo la quale la subdelega del giudice delegato al giudice onorario ai fini dell’audizione del ricorrente sarebbe invalida in quanto “la delega non comporta il trasferimento della titolarità del potere, ma solo l’attribuzione della facoltà di esercitarlo”, afferisce ad un orientamento in materia minoritario ed ormai superato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non è affetto da nullità il procedimento nel cui ambito un giudice onorario di tribunale, su delega del giudice professionale designato per la trattazione del ricorso, abbia proceduto all’audizione del richiedente la protezione ed abbia rimesso la causa per la decisione al collegio della sezione specializzata in materia di immigrazione, atteso che, ai sensi del D.Lgs. n. 116 del 2017, art. 10, commi 10 e 11, tale attività rientra senza dubbio tra i compiti delegabili al giudice onorario in considerazione della analogia con l’assunzione dei testimoni e del carattere esemplificativo dell’elencazione ivi contenuta (Cass., SU, n. 5425/21).

Nulla per le spese, considerato che il Ministero non ha depositato il controricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

 

 

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