Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6638 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. lav., 09/03/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 09/03/2020), n.6638

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26911-2014 proposto da:

M.G., C.D., C.A.S., tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MACHIAVELLI 25, presso lo

studio dell’avvocato ANGELA MIGLIANO, rappresentati difesi

dall’avvocato FRANCESCO CIRIACO;

– ricorrenti –

contro

REGIONE CALABRIA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 437/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 07/05/2014 R.G.N. 701/2011.

Fatto

RILEVATO

CHE:

le ricorrenti di cui in epigrafe, già componenti delle equipes socio-psicopedagogiche istituite dalle L.R. Calabria n. 27 del 1985 e L.R. Calabria n. 5 del 1987, hanno agito davanti al giudice amministrativo perseguendo gli emolumenti ad esse dovuti ed ottenendo definitiva sentenza favorevole del Consiglio di Stato n. 1467/1997, con la quale è stato affermato che il rapporto di dipendenza intercorreva direttamente con la Regione, contestualmente condannata al pagamento delle somme non corrisposte;

successivamente, le medesime lavoratrici hanno adito il Tribunale Amministrativo Regionale, in sede di ottemperanza, al fine di veder attuato il diritto riconosciuto e, in esito a nomina di commissario ad acta, sono stati loro erogati gli importi corrispondenti a quelli propri di un dipendente della ex VIII qualifica funzionale (poi categoria D3), 8 livello retributivo;

nelle more, la Regione Calabria ha provveduto a riconoscere formalmente il rapporto di lavoro, con decorrenza dal 1.7.1998, attribuendo alle ricorrenti il 7 livello retributivo;

esse quindi, richiamando anche la L.R. Calabria n. 2 del 1997, artt. 1 e 2, hanno agito davanti al giudice del lavoro, rivendicando il diritto ad essere inquadrati all’8 livello retributivo;

la domanda è stata rigettata dal Tribunale di Lamezia Terme, con pronuncia poi confermata dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria;

la Corte territoriale, con la sentenza indicata in epigrafe, negava, disattendendo la contraria tesi delle ricorrenti, che quanto stabilito dal commissario ad acta potesse avere l’effetto di giudicato idoneo ad imporre il riconoscimento anche per il futuro della medesima posizione contrattuale e retributiva ed escludeva che i diritti rivendicati potessero discendere dalla citata L.R. 2/1997, in quanto la medesima, per gli inquadramenti da essa previsti, richiedeva la partecipazione ad una previa procedura concorsuale, che non vi era mai stata; le lavoratrici hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, poi illustrati da memoria, mentre la Regione Calabria è rimasta intimata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo le ricorrenti sostengono, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 2909 c.c. e ciò sul presupposto che il decreto del commissario ad acta nominato in sede di giudizio di ottemperanza, seppure riguardante il pagamento di retribuzioni temporalmente anteriori a quelle oggetto di causa, dispiegasse, anche in espressione del coordinarsi di esso con la pronuncia del giudice dell’ottemperanza, effetti di giudicato tra le parti, idonei a proiettarsi con portata preclusiva anche rispetto all’inquadramento ed alle retribuzioni dovute nel successivo periodo qui in discussione;

il secondo motivo è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 e con esso si critica la sentenza impugnata per non avere considerato, da un lato, che i concorsi di cui alla L.R. Calabria n. 2 del 1997 non erano mai stati espletati, nonchè per avere trascurato che il rapporto di dipendenza con la Regione Calabria derivava dalle pronunce amministrative (del T.A.R., poi confermato dal Consiglio di Stato), che ne avevano affermato la sussistenza, sicchè la delibera di inquadramento successivamente assunta dalla Regione era da considerare meramente ricognitiva e dichiarativa ed era comunque illegittima per aperta violazione della L.R. Calabria n. 34 del 1984, art. 12 e della Delib. Giunta Regionale n. 3499 del 1997 che avevano descritto i profili professionali dei dipendenti della Regione Calabria, ascrivendo gli psicologi appunto all’8 livello;

i motivi, stante la loro connessione logica, vanno esaminati congiuntamente;

va intanto rammentato come questa Corte abbia già stabilito, con orientamento ripetutamente espresso, qui condiviso e richiamato anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2 che nessun rilievo può avere, rispetto al personale delle unità socio-psico-pedagogiche, la Delib. Giunta Regionale n. 3499 del 1997 riguardante solo ed esclusivamente “il personale di ruolo della Regione compreso dalla 1 all’8 q.f.” (così come è anche per la L.R. Calabria n. 34 del 1984, art. 12 menzionata dalle ricorrenti, n.d.r.) mentre non è tale, fino all’eventuale espletamento e superamento del concorso previsto dalla L.R. Calabria n. 2 del 1997, art. 1 e pacificamente mai tenutosi, il personale di cui alla L.R. Calabria n. 57 del 1990, meramente mantenuto in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, a norma dell’art. 5 stessa legge (Cass. 15 giugno 2009, n. 13847; Cass. 10 gennaio 2008, n. 277);

del resto, il fatto che quel concorso non sia mai stato bandito, nulla può mutare rispetto al diritto all’inquadramento in ruolo o alla posizione retributiva da riconoscere a quei lavoratori, la cui definizione deve avvenire sulla base dei dati normativi e dello stato giuridico in concreto esistente;

al di là di ciò, va ancora premesso come neppure le ricorrenti affermino che il diritto all’inquadramento rivendicato derivi in sè dalla sentenza del T.A.R. con la quale è stato riconosciuto il diritto a percepire le retribuzioni, sostenendo piuttosto che tale diritto andrebbe riconosciuto come conseguenza del colmarsi di quanto poi stabilito dal giudice amministrativo in sede di ottemperanza (nel senso che per calcolare quanto dovuto si sarebbe dovuto fare riferimento a quanto spettante ad analogo dipendente dell’ente con il quale fosse instaurato il rapporto di servizio) con quanto decretato dal commissario ad acta (nel senso che l'”analogo dipendente” sarebbe stato individuabile in una psicologa inquadrata all’VIII livello);

l’assunto è infondato;

non ha qui importanza la questione in ordine alla qualificazione del commissario ad acta quale ausiliario appartenente alla sfera giurisdizionale o come organo di amministrazione attiva, la quale ha rilievo essenzialmente rispetto ai rimedi (ricorso al giudice dell’ottemperanza; ricorso generale di legittimità) praticabili contro i corrispondenti atti;

importa invece il fatto che l’operato del commissario ad acta non può avere l’effetto di integrare l’accertamento eseguito in sede giurisdizionale, anche di ottemperanza;

il giudicato a formazione progressiva cui fanno riferimento le ricorrenti, se può essere prospettato nei rapporti tra giudizio di legittimità e successivo giudizio di ottemperanza, nel senso che il secondo possa integrare profili di accertamento necessari a rendere effettivo quanto statuito in sede di prima cognizione sull’atto (fra le molte, da ultimo, Cons. Stato, A.P., 11 luglio 2008, n. 3456), non può invece riguardare l’operato del commissario ad acta, che ha strutturalmente natura esecutiva;

il commissario, anche ove lo si ritenga ausiliario del giudice, non si confonde con l’autorità giudiziaria, di cui non ha i poteri, nè la capacità giuridica di condurre un processo con finalità accertative;

del resto l’accertamento, quale caratteristica propria degli effetti di giudicato, non può che derivare dall’autorità giudiziaria o da altre vicende cui la legge (ad es., art. 824-bis c.p.c., per l’arbitrato) esplicitamente riconosca analoga portata;

pertanto, se anche l’autorità giudiziaria abbia occasionalmente rimesso ad un organo ausiliario, come è nel caso di specie, profili accertativi, ciò non muta le caratteristiche giuridiche dell’atto infine compiuto, che sono quelle propriamente ed esclusivamente esecutive;

in generale, agli atti esecutivi satisfattori e così anche agli atti del commissario ad acta si possono attribuire, per la natura surrogatoria del comportamento omesso che è propria dell’attività esecutiva, effetti corrispondenti all’atto sostanziale omesso cui essi rimediano o al massimo effetti di irretrattabilità di quanto legalmente compiuto (Cass. 23 agosto 2018, n. 20994; Cass. 11 agosto 2011, n. 17371), ma non mai la portata di giudicato;

le analoghe conclusioni raggiunte dalla Corte territoriale sono quindi del tutto corrette;

alla reiezione del ricorso nulla segue rispetto alle spese, atteso che la Regione Calabria, in cui favore si definisce il giudizio, è rimasta intimata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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