Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6632 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/03/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6632

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13528-2007 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PARAGUAY 5,

presso lo studio dell’avvocato MANFREDI ANNA MARIA, rappresentata e

difesa dagli avvocati MANFREDI MANFREDO, MANFREDI RICCARDO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE INTERREGIONALE “VIVERE INSIEME ONLUS”;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1350/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 27/10/2006 R.G.N. 2328/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

Udito l’Avvocato MANDREDI RICCARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Cosenza, in accoglimento della domanda proposta da A.A. contro l’Associazione Interregionale Vivere Insieme Onlus, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti a decorrere dal 2001, dichiarava l’inefficacia del licenziamento avvenuto nel mese di giugno 2003 e la persistenza del rapporto di lavoro, e condannava l’Associazione al risarcimento del danno e al pagamento della somma di Euro 10.122,84 a titolo di differenze retributive.

A seguito di appello di detta Associazione, la Corte d’appello di Catanzaro con sentenza depositata il 27.1(3.2006, in riforma della sentenza di primo grado, rigettava tutte le domande.

La Corte riteneva in gran parte confermata dall’istruttoria la tesi della convenuta, secondo cui la A. non era stata da essa assunta e aveva frequentato e svolto delle prestazioni presso la Residenza sanitaria assistenziale e riabilitativa (OMISSIS), gestita dalla medesima, su base volontaria (o con spirito di volontariato) al fine di pervenire alla conoscenza dei lavori eseguiti all’interno della struttura, in vista di un’eventuale assunzione da parte di una struttura diversa da quella frequentata.

In particolare era rimasto confermato, anche dal libero interrogatorio delle parti, che era mancata la volontà di concludere un contratto di lavoro. La ricorrente aveva dichiarato di avere prestato attività lavorativa nella speranza di essere assunta e il legale rappresentante dell’Associazione aveva riferito che la stessa svolgeva attività di volontariato a (OMISSIS) in previsione della prossima apertura di una nuova struttura in provincia di (OMISSIS) nella quale avrebbe potuto essere assunta.

Quanto all’ipotesi di instaurazione di fatto di un rapporto di lavoro subordinato, la Corte, esaminate le risultanze istruttorie, riteneva che la stessa dovesse essere esclusa, non essendo risultato provato che la A. dovesse rispettare un orario di lavoro preciso e prestabilito e sottostare alle direttive imposte dall’Associazione.

Nè era sufficiente che risultassero fatture ed ordinativi con la sottoscrizione della lavoratrice e che essa avesse ricevuto piccole somme con il riferimento, risultante dalle ricevute, a “prestazioni occasionali”, in quanto tali pagamenti potevano trovare la loro giustificazione in specifiche attività, singolarmente compensate, o nell’intento di sopperire, in tutto o in parte alle spese di trasporto. Per la mancanza dell’elemento della subordinazione, neanche rilevava il principio sulla presunzione di onerosità delle prestazioni lavorative.

La A. ricorre per cassazione con due motivi. L’intimata non si è costituita. A seguito di procedimento camerale ex art. 375 c.p.c., nell’ambito del quale la A. ha depositato memoria, la causa è stata rinviata ad udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. letti in combinazione con l’art. 416 c.p.c..

Si sostiene che il giudice di merito abbia errato nel non rilevare, sulla base di un’interpretazione letterale, logica e sistematica degli scritti difensivi della convenuta, delle dichiarazioni rese dal suo legale rappresentante in sede di interrogatorio e della lettera di chiarimento del medesimo in data 31.7.2003, che quanto allegato dalla A. nel ricorso introduttivo in punto di svolgimento di attività di lavoro subordinato non era stato contestato dalla convenuta, la quale aveva affidato la sua linea difensiva all’assunto della prestazione per spirito di volontariato, tesi che da un lato non contraddice ma semmai conferma lo svolgimento di prestazioni lavorative sotto il vincolo della subordinazione, e dall’altro era stata univocamente contraddetta dalla istruttoria espletata che aveva evidenziato che le prestazioni, nella consapevolezza di entrambe le parti, non erano state affatto espletate per spirito di volontariato.

Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Si lamenta che il giudice di appello abbia apoditticamente affermato che la convenuta aveva contestato il vincolo di subordinazione.

Il ricorso, i cui due motivi sono esaminati congiuntamente stante la loro connessione, non risulta fondato.

L’impugnazione è incentrata tutta sulla tesi secondo cui l’esistenza di un rapporto subordinato non avrebbe potuto essere messa in discussione dal giudice di appello in quanto l’elemento della subordinazione non era stato contestato dalla parte convenuta, che si sarebbe limitata ad opporre la natura gratuita e non onerosa del rapporto, peraltro senza fornire prova adeguata di tale gratuità.

Deve allora preliminarmente sottolinearsi che i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di non contestazione, e in particolare di non necessità delle parti del processo di provare i fatti non contestati anche x quando l’onere della prova sarebbe stato a loro carico in base al criterio legale sulla ripartizione dell’onere della prova (art. 2697 c.c.), fanno riferimento appunto ai “fatti”, cioè agli elementi di fatto costitutivi di un diritto o integranti una fattispecie impeditiva o estintiva di un diritto. Ciò risulta in maniera chiara già dalla sentenza delle Sezioni unite n. 761/2002 che ha dato il via all’orientamento giurisprudenziale sull’onere delle parti di contestare tempestivamente i fatti allegati dalla controparte a fondamento della domanda, e soprattutto quelli integranti direttamente la fattispecie costitutiva. Infatti, in relazione ai conteggi prodotti da una parte – della cui non contestazione in quel caso in concreto si parlava detta sentenza; ha precisato che l’onere di contestazione riguarda i veri e propri fatti che sono posti a base dei conteggi stessi e non anche le regole contrattuali o legali che sono state utilizzati per elaborarli.

Riguardo alla subordinazione elemento integrante di un rapporto di lavoro subordinato, deve rilevarsi che tale nozione riguarda una caratterizzazione in linea di fatto di un rapporto di lavoro e che tuttavia il termine non connota adeguatamente una determinata situazione di fatto, o un complesso di vicende di fatto, rappresentando piuttosto la complessiva qualificazione giuridica del rapporto alle stregua di un determinato substrato fattuale. Ne consegue che l’onere della contestazione, il cui mancato assolvimento può comportare l’esonero dalla prova di determinati fatti, può riguardare appunto le vere e proprie concrete circostanze di fatto che possano integrare la nozione di subordinazione e non la subordinazione in astratto considerata, salvo naturalmente il valore non rigidamente predeterminabile che anche la mancata contestazione della subordinazione in sè possa assumere in particolari contesti processuali.

Ne consegue che la tesi di cui al motivo di ricorso risulta sviluppata in N maniera eccessivamente astratta, in quanto si è inteso valorizzare la mancanza, nella linea difensiva della controparte, e in talune dichiarazioni del suo rappresentante legale, di una testuale contestazione della subordinazione.

Deve comunque rilevarsi, da quanto riferito nello stesso ricorso circa il contenuto della memoria di contestazione del soggetto intimato, che in tale atto difensivo non manca una esposizione in linea di fatto della vicenda sotto vari profili discordante con quella dell’attrice, e ciò con particolare riguardo alla affermata occasionalità delle varie collaborazioni della stessa all’attività della struttura in questione e alle forme provvisorie e sui generis dei relativi inserimenti nell’ambito organizzativo. Non risulta quindi censurabile che il giudice di merito, peraltro già in primo grado anche se con valutazioni conclusive favorevoli alla attrice, abbia proceduto agli accertamenti e alle valutazioni in linea di diritto finalizzate a verificare la qualificabilità o meno del rapporto nell’ambito della subordinazione.

Il ricorso deve quindi essere rigettato. Nella particolarità delle questioni e della vicenda si ravvisano giusti motivi per compensare le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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