Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 663 del 15/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 15/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 15/01/2021), n.663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18391-2018 proposto da:

VENEZIANA ENERGIA RISORSE IDRICHE TVERRITORIO AMBIENTE SERVIZI –

VERITAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 34-B SC A,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CECCONI, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ANDREA PASQUALIN;

– ricorrente –

contro

B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OTRANTO 36,

presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ENRICO CORNELIO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 725/2018 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositata

il 05/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA

PAOLO.

 

Fatto

CONSIDERATO

che:

D. B. chiedeva e otteneva dal giudice di pace, nei confronti della Veritas s.p.a., quale gestore del servizio di igiene ambientale del Comune di Venezia, un decreto ingiuntivo per la restituzione dell’IVA indicata come corrisposta indebitamente sulla tariffa di igiene ambientale di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, c.d. TIA 1, e sulla tariffa integrata ambientale di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, c.d. TIA 2, da considerare non corrispettivi di servizi ma tributi e come tali non assoggettabili alla suddetta imposta indiretta;

per quanto qui ancora rileva, il giudice di primo grado, pronunciandosi sull’opposizione dell’ingiunta, la rigettava, con sentenza confermata dal tribunale che riteneva l’assimilabilità della c.d. TIA 1 con la c.d. TIA 2, la prima pacificamente considerata tributo, la seconda da qualificare tale, nonostante l’indicazione legislativa contraria presente nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 14, comma 33, convertito dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, alla luce di un’ermeneutica sistematica e teleologica complessiva, valorizzando i richiami del menzionato art. 238, per la determinazione dell’importo dovuto, agli indici reddituali e a voci estranee al singolo servizio, la natura obbligatoria della prestazione tale anche per chi potrebbe non avvantaggiarsi del servizio in questione, nonchè l’omogeneità dei parametri della c.d. TIA 2 rispetto a quelli della c.d. TIA 1, in mancanza di una generale normativa attuativa che li avesse idoneamente distinti;

avverso questa decisione ricorre per cassazione la Veritas s.p.a. formulando un motivo avversato da controricorso;

le parti hanno depositato memorie;

Diritto

RITENUTO

che:

con l’unico motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 1, 3, art. 4, commi 2 e 3, del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, e del D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, citato, poichè il tribunale avrebbe errato nell’accomunare la disciplina della c.d. TIA 1 a quella della c.d. TIA 2, e, di conseguenza, nell’escludere l’assoggettamento all’IVA delle somme corrisposte in base alla seconda;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

il ricorso è fondato;

questa Corte, a Sezioni Unite, ha recentemente ribadito che la tariffa di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, come interpretata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, quale convertito, ha natura privatistica, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,3, art. 4, commi 2 e 3 (Cass., Sez. U., 07/05/2020, n. 8631 e n. 8632);

è stato sottolineato che il legislatore ha legittimamente interpretato la disciplina della c.d. TIA 2, dettata dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la c.d. TIA 1;

in questa cornice, è stata rimarcato come un rilievo significativo vada assegnato al “diritto vivente” formatosi a cominciare da Cass. 21/06/2018, n. 16332, coeso nel ribadirne i principi, tutti convergenti nel senso della natura di corrispettivo della c.d. TIA 2 e, dunque, della qualificazione in termini di prelievo non tributario: nomofilachia consolidatasi con numerosissime pronunce quali quelle di Cass. n. 32250 del 2018, Cass., n. 4275 del 2019, Cass., n. 4876 del 2019, Cass., n. 14195 del 2019, Cass., n. 14753 del 2019, Cass., n. 15520 del 2019, Cass., n. 15529 del 2019, Cass., n. 16379 del 2019, Cass., n. 19296 del 2019, Cass., n. 19299 del 2019, Cass., n. 19329 del 2019, Cass., n. 19545 del 2019, Cass., n. 19544 del 2019, Cass., n. 23669 del 2019;

il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, dunque, a differenza del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della c.d. TIA 2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti;

la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo

assoggettabile ad IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 3, ciò non trovando ostacolo nella circostanza che “il pagamento della c.d. TIA2 (come quello della c.d. TIA 1) sia obbligatorio per legge, atteso che il citato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità a IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”;

nella prospettiva dell’opzione legislativa è chiaro, dunque, che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile, trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto, altresì, di indici reddituali;

l’approdo del “diritto vivente”, nei termini così delineati – che rendono armonica la configurazione privatistica della tariffa con l’inerenza di essa a un rapporto giuridico che registra la coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio (quale elemento che concorre a configurare quei reciproci obblighi come esplicativi di un rapporto sinallagmatico: cfr. sentenza n. 269 del 2017 del Giudice delle leggi) – ha trovato rispondenza nella più recente giurisprudenza costituzionale, richiamata dalle citate Sezioni Unite;

è stato così rammentato che con la sentenza n. 188 del 2018, la Consulta, nello scrutinare la legittimità di una legge regionale calabra (L.R. n. 11 del 2003) in tema di contributi di bonifica, e affrontando il problema della natura tributaria, o meno, del prelievo stesso, ha rammentato quale sia il perimetro entro il quale il legislatore statale può esercitare la sua discrezionalità in materia di politica fiscale rispetto, segnatamente, alla provvista di un servizio pubblico, essendo consentito prevedere o escludere che la prestazione patrimoniale imposta – “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa – sia in “una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività”, così da conformare detta prestazione, rispettivamente, come canone o tariffa ovvero come tributo;

la Corte costituzionale, quindi, ha messo in rilievo come il legislatore “può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, come è avvenuto nell’ipotesi della tariffa di igiene ambientale, istituita con il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49 (attuazione delle direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), inizialmente di natura tributaria (sentenza n. 238 del 2009 e, da ultimo, Corte di cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 10 aprile 2018, n. 8822), poi sostituita dalla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, ex art. 238 (norme in materia ambientale), prestazione patrimoniale ritenuta di natura non tributaria (Corte di cassazione, Sezione terza civile, ordinanza 21 giugno 2018, n. 16332), al pari della tariffa per il servizio di fognatura e depurazione (sentenza n. 335 del 2008)”;

la menzione, sul punto, della sentenza della Consulta n. 188 del 2018, era stata già colta dalla sentenza n. 1839 del 27 gennaio 2020 delle medesime Sezioni Unite, che, nel riconoscere, in base al D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, quale convertito, la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi per oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, ha inteso evidenziare proprio alla luce della richiamata pronuncia del Giudice costituzionale – come le “scarne ed essenziali indicazioni” del D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 33, “sottolineano la risolutezza delle formule utilizzate dal legislatore per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, disegnato dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238”, in tale prospettiva venendo in rilievo, quali elementi di riconoscimento della natura propria della tariffa, la produzione dei rifiuti, la qualificazione del prelievo in termini di “corrispettivo” di un servizio (quello della “raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) e, quindi, la soppressione del tributo disciplinato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49;

queste considerazioni hanno indotto, quindi, a ritenere che la qualificazione della c.d. TIA 2 recata dal D.L. n. 78 del 2010, art. 14, comma 3, non si sia esaurita in una “operazione meramente nominalistica”;

sono stati quindi esclusi margini per poter apprezzare l’intervento legislativo d’interpretazione autentica come arbitrario e manifestamente lesivo del principio di ragionevolezza, tale da dare consistenza a un dubbio di legittimità costituzionale sulla disposizione anzidetta;

così come è stata riaffermata l’infondatezza di dubbi sulla conformità di un tale approdo alla disciplina Eurounitaria (direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto);

quanto appena osservato e ciò che si sta per aggiungere, induce a disattendere la richiesta di rinvio pregiudiziale sollecitata in memoria da parte controricorrente;

per un verso, infatti, non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, anche in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08); per altro verso, la Corte di giustizia ha ribadito (sentenza del 22 febbraio 2018, in causa C182/17) che costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’imposta sul valore aggiunto, un’attività economica consistente nello svolgimento da parte di una società di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto concluso tra tale società e, tipicamente, un comune, rimarcando, in questa prospettiva, come la determinazione forfettaria del compenso non spezza di per sè il nesso tra prestazione e corrispettivo. (punto n. 37), così come l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40) (cfr. Cass. n. 32250/2018 e Cass. n. 19299/2019, citate);

ciò rende quindi irrilevante che, nella compagine della società la Veritas vi possa essere un socio sovrano pubblico quale il comune di Venezia, giacchè, in ogni caso, l’attività commerciale di una società “in house”, nei confronti di terzi, ben può restare privatistica, nonostante la rilevanza pubblicistica del regime dell’ente ad altri fini correlati al controllo della società stessa da parte dell’amministrazione che ne sia, appunto, socia (cfr., ad esempio, Cass., n. 19545/2019);

nella fattispecie in scrutinio è pacifico che si controverte solamente della (imposta sul valore aggiunto, quanto agli anni 2011 e 2012, relativamente alla) c.d. TIA 2, adottata dal Comune di Venezia con regolamento 14 gennaio 2011, secondo quanto rilevato pure dal precedente più volte ricordato di questa Corte, in conformità con la disciplina transitoria anch’essa lì ricostruita (Cass. n. 16332/2018, cit., pagg. 10-16, in specie 14-15) e parimenti qui non oggetto di discussione;

ne consegue che la sentenza va cassata.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia altbunale di Venezia perchè, in diversa composizione, provveda anche sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2021

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