Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6629 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6629 Anno 2016
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: VELLA PAOLA

SENTENZA
sul ricorso 18847-2010 proposto da:
CAMPURRA PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
LUIGI LUCIANI

l,

presso lo studio dell’avvocato

DANIELE MANCA RITTI, rappresentato e difeso
dall’avvocato ITALO DOGLIO giusta delega a margine;
– ricorrente contro

2015
3461

AGENZIA DELLE ENTRATE;
intimatqavverso la sentenza n. 53/2009 della COMM.TRIB.REG.
di CAGLIARI, depositata il 26/06/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 06/04/2016

udienza del

16/11/2015

dal Consigliere Dott. PAOLA

VELLA:
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIC che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
Carnpurra Paolo impugnava la cartella esattoriale notificatagli in data
31.3.2003 con cui l’Agenzia delle entrate, avendo rilevato dal controllo dei
Modello Unico 1999 che l’Iva a debito indicata nel quadro VL per £ 16.613.000
non era stata versata, richiedeva il pagamento di complessivi C 12.858,98 a
titolo di Iva, oltre interessi e sanzioni.
Il contribuente deduceva di aver commesso l’errore di non includere tra le
ritenute d’acconto subite quella di £ 18.078.000 esposta nella fattura n. 2/98,

“Texilinea s.r.l.”, poi dichiarata fallita nel giugno 1998 (e ciò a causa della
mancata ammissione al passivo), e di aver di conseguenza erroneamente
imputato il versamento di £ 18.078.400 a titolo di saldo Irpef con il codice 4001
(somma invece non dovuta a tale titolo in quanto già corrisposta sub specie di
ritenuta d’acconto), piuttosto che a titolo di saldo Iva con il codice 6099. Di qui
la duplice eccezione: a) che egli aveva in realtà così provveduto al contestato
versamento dell’Iva; b) che peraltro detta Iva non era dovuta (con conseguente
diritto al rimborso) ai sensi dell’art. 26, D.P.R. n. 633/72, dal momento che la
curatela non aveva mai corrisposto le somme di cui alla fattura n. 2/98.
La C.T.P. di Cagliari annullava la cartella, escludendo l’esistenza di un debito
Iva a fronte del mancato pagamento della fattura, ai sensi dell’art. 26 cit.
Nel proporre appello, l’Agenzia delle entrate deduceva la persistente
necessità di versamento dell’Iva esposta in fattura, a prescindere dal pagamento
della fattura, in ordine al quale eccepiva altresì la mancanza di prova della
mancata ammissione al passivo fallimentare.
La C.T.R. della Sardegna accoglieva l’appello dell’Ufficio sulla scorta
sostanzialmente di tre rabbnes deridendi: 1) mancanza di prova del versamento
dell’Iva con un codice tributo errato, in quanto i sei attestati di versamento a
mezzo mod. F24 dell’importo complessivo di E 22.824.000 non corrispondevano
all’imposta a debito per saldo Irpef dichiarata al rigo RN32 (£ 22.733.000 oltre
interessi di rateazione); 2) contraddittorietà della deduzione del mancato
pagamento del compenso, a fronte di una contestuale ammissione di pagamento
parziale, a cavallo delle due procedure, quella di liquidazione volontaria e quella
di fallimento; 3) violazione del disposto dell’art. 26, D.P.R. n. 633/72, non
avendo il contribuente emesso alcuna nota di variazione in diminuzione e
registrato l’imposta corrispondente alla variazione nel registro degli acquisti di
cui all’art. 25 D.P.R. cit., come prescritto (anche) in ipotesi di mancato
pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali.

ud. 16 novembre 2015

18847/10 N.R.G.

relativa al compenso di £ 90.392.000 per l’attività di liquidatore della società

Per la cassazione della sentenza d’appello n. 53/04/09 del 26.6.2009 il
contribuente ha proposto ricorso affidato a due motivi, notificato all’Agenzia delle
entrate – direzione provinciale di Cagliari, la quale non ha svolto difese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo di ricorso, il contribuente deduce la «insufficiente (ed
erronea) motivazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., circa il fatto
decisivo e controverso che il ricorrente ha già versato le somme dovute a titolo
di IVA utilizzando erroneamente un codice diverso».

di legge, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 35 c.p.c., in relazione all’art. 26
D.p.r. n. 633/1972».
3.

Entrambi i motivi sono inammissibili, in quanto colpiscono solo –

rispettivamente – la prima e la terza ratio decidendi della sentenza impugnata,
senza intaccare però la seconda, in base alla quale (come riportato nella parte
narrativa) “l’ammissione di pagamento, seppur parziale, contraddice, in modo
stridente l’altra affermazione, sempre in atti di parte, secondo cui il credito
vantato dal ricorrente non fu accolto dalla curatela del tribunale fallimentare di
Novara per mancata acquisizione del bene”.
4.

In ogni caso, il primo motivo è inammissibile anche perché, sotto

l’apparente censura di insufficienza motivazionale, cela un sindacato sulla
valutazione delle prove da parte del giudice di seconde cure, in contrasto con il
grande) orientamento di questa Corte (ex pluilmis, Cass. n, 14233 del 2015)
per cui il controllo di adeguatezza e logicità del giudizio di fatto, consentito
dall’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. – nella versione vigente ratione
temporis – non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, poiché essa si
risolverebbe in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto,
Incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità
(Cass. nn. 959 e 961 del 2015), spettando in via esclusiva al giudice di merito la
selezione degli elementi del suo convincimento (Cass. n. 26860 del 2014, n. 962
del 2015).
5. A sua volta, il secondo motivo risulta anche infondato, avendo questa
Corte chiarito che, in difetto degli adempienti prescritti dall’art. 26, D.P.R. n.
633/72 – norma finalizzata a garantire il principio di neutralità dell’IVA e, ad un
tempo, ad evitare il rischio di perdita di gettito fiscale per l’erario – la detrazione
dell’IVA non è possibile a fronte di una imposta dovuta, per quanto
indebitamente fatturata; in ossequio al principio di cartolarità posto a base del
sistema impositivo dell’IVA, pertanto, l’imposta è dovuta ogniqualvolta la fattura

ud. 16 novembre 2015

1884I/10 N,R.G.

2. Con il secondo mezzo lamenta invece la «violazione e/o falsa applicazione

sia emessa, quand’anche essa rifletta un’operazione non avvenuta o non
avvenuta nei termini in essa descritti, ivi comprese le ipotesi di fatturazione in
eccesso, o per operazioni inesistenti, ovvero dovute ad errore o a frode, salvo le
variazioni correttive dell’imponibile o delle imposte effettuate nelle forme e nei
tempi tassativamente prescritti (Cass., ord. n. 12113 del 2015). Variazioni che
però nel caso di specie non risultano effettuate dal contribuente.
6.

La giurisprudenza di questa Corte è invero costante nel reputare

“pienamente legittima la pretesa fiscale nei confronti dell’emittente, le volte in

annullamento della fattura emessa con indebita liquidazione IVA, e non sia stata
fornita alcuna prova che il documento rilasciato o trasmesso al destinatario non
fosse stato da questi portato in detrazione o fatto valere per conseguire il
rimborso d’imposta” (Cass. n. 10939 del 2015, n. 12995 del 2014, n. 27684 del
2013).
7. In conclusione, il ricorso va respinto, senza necessità di statuizione sulle
spese in considerazione della mancata costituzione della controparte.
P.Q. M.
La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 16 novembre 2015.

cui tale soggetto non abbia fatto ricorso alla procedura di variazione od

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