Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6626 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/03/2011, (ud. 22/12/2010, dep. 23/03/2011), n.6626

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

RE.RI.F. – CASA DI CURA VILLA DELLE MAGNOLIE S.R.L., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

C/O SCACCHI VIA CRESCENZIO 19 SC A, presso lo studio dell’avvocato

VETRELLA FABIO, rappresentata e difesa dall’avvocato PIGRINI ENEA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CASTRENSE 7, presso lo studio dell’avvocato TAGLIALATELA GIOVANNI,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4822/2007 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/07/2007 r.g.n. 7255/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato PIGRINI ENEA;

udito l’avvocato TAGLIALATELA GIOVANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 27/7/06 D.G.P. impugnava la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 3/8/05, con la quale era stato respinto il ricorso depositato il 2.10.2002 diretto ad ottenere l’accertamento della illegittimità, inefficacia o nullità del licenziamento intimatogli dalla società RERIF. a r.l., con missiva dell’11.12.2001, a seguito di procedura di mobilità, per violazione della normativa di cui alla L. n. 223 del 1991, con conseguente condanna della società convenuta alla reintegra nel posto di lavoro, nonchè al risarcimento del danno L. n. 300 del 1970, ex art 18.

L’appellante deduceva la erroneità della decisione del primo Giudice in ordine alla completezza della comunicazione di avvio della procedura, solo apparentemente dettagliata, ma in realtà gravemente carente sotto molteplici profili.

In particolare, il D.G. osservava che i dipendenti del servizio mensa, di cui faceva parte, avevano lo stesso profilo di ausiliario socio-sanitario di molti altri dipendenti della clinica, con la conseguente possibilità di adibirli ad altri settori; tanto più che nella lettera di apertura della procedura non erano state comunicate ragioni ostative a tale possibilità, sicchè erroneamente la società aveva provveduto a licenziare i soli lavoratori addetti al reparto cucina soppresso.

L’appellante concludeva, quindi, chiedendo la riforma della sentenza impugnata nel senso dell’accoglimento della domanda proposta con il ricorso introduttivo. La controparte, costituitasi, eccepiva la novità di alcune censure e la legittimità della procedura seguita, chiedendo il rigetto del gravame.

Con sentenza n. 4822/2007, la Corte di Appello di Napoli, in riforma della impugnata decisione, dichiarava la illegittimità dei licenziamento intimato al D.G., ordinandone la reintegra nei posto di lavoro con condanna della società appellata al risarcimento del danno commisurata alle retribuzioni globali di fatto dalla data dei licenziamento alla reintegra, oltre interessi e rivalutazione monetaria ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.

A sostegno del decisum osservava che la società, nel comunicare la scelta di voler procedere alla esternalizzazione del servizio, sopprimendo la gestione diretta del servizio cucina e ristorazione, doveva fornire elementi atti all’individuazione del personale in esubero con una precisa indicazione non solo dei profili professionali degli addetti al settore soppresso ma anche degli altri lavoratori che presentassero profili corrispondenti della medesima qualifica di ausiliari socio-sanitari.

Più specificamente, l’individuazione del personale da licenziare doveva avvenire con riguardo alle esigenze tecnico-produttive dell’intero complesso aziendale, al fine di assicurare al lavoratore la comparazione ad ampio spettro con gli altri lavoratori, che, pur addetti a reparti o settori diversi, rivestissero livello simile e professionalità analoghe alle proprie, in quanto solo tale tipo di selezione riparava il lavoratore da possibili e non giustificate discriminazioni rispetto ad altri dipendenti portatori, nell’ambito della stessa azienda, di uguale professionalità.

Ciò in quanto, nel caso di specie, non sussistevano nè erano state provate dal datore di lavoro esigenze che giustificavano la restrizione della scelta al settore soppresso.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la Re.RI.F srl Casa di Cura Villa delle Magnolie con quattro motivi.

Resiste D.G.P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va preliminarmente osservato, per una più agevole esposizione dei termini della controversia, che la Corte d’appello ha ritenuto illegittimo il licenziamento impugnato in quanto la decisione unilaterale dell’imprenditore di sopprimere il servizio cucina, di per sè considerata legittima, aveva comportato il licenziamento di tutti gli addetti a tale reparto senza che su tale decisione si fosse potuto esercitare il filtro del controllo sindacale attraverso adeguate informazioni preventive, ai sensi della L. n. 223 del 1991, art. 4, e senza il rispetto dei criteri legali di scelta previsti dall’art. 5 della citata legge.

Più in dettaglio – ad avviso del Giudice a quo -, nella comunicazione ex art. 4 comma 3 la società, affermando l’opportunità di sopprimere il servizio cucina e di affidarlo a ditta esterna -“incidendo la gestione diretta di tale servizio, in maniera notevole, sul bilancio aziendale, senza usufruire, di contro, di un’opera efficiente e inappuntabile”- e di avere, in tal modo, maturato l’intenzione di procedere ai licenziamenti collettivi per riduzione di personale in conseguenza della soppressione della gestione diretta del servizio cucina e ristorazione”, doveva fornire elementi atti all’individuazione del personale in esubero con una precisa indicazione non solo dei profili professionali degli addetti al settore soppresso ma anche degli altri lavoratori che presentassero profili corrispondenti della medesima qualifica di ausiliari socio sanitari. E ciò tanto più considerando che nella stessa comunicazione di avvio della procedura era stato espressamente previsto che “i criteri di scelta del personale da licenziare sono quelli previsti dall’art. 5 della più volte richiamata L. n. 223 del 1991, integrati, con quanto emergerà dall’esame congiunto negli incontri che saranno tenuti per il prosieguo della procedura”, e che la società non aveva indicato, nella detta comunicazione, ragioni organizzative e produttive che imponevano la restrizione del campo di scelta ai soli lavoratori del settore soppresso. La comunicazione preventiva appariva, perciò, incompleta, tanto che nel corso dell’esame congiunto tenutosi presso la sede della Giunta Regionale della Campania il 13.9.2001 con le organizzazione sindacali, l’azienda era stata invitata a riformulare la individuazione dei 14 esuberi con graduatoria di tutto il personale dipendente in possesso della stessa qualifica di inquadramento A2.

Inoltre, sempre ad avviso del Giudice d’appello, vi sarebbe comunque violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, in quanto la decisione comunicata di esternalizzare il servizio cucina aveva determinato anche la platea dei destinatari dei licenziamenti senza che emergessero sicure ragioni oggettive a giustificare tale scelta del tutto contrastante con il richiamato art. 5, in difetto di accordo con le OOSS volto ad individuare criteri di scelta alternativi a quelli legali, che ben potevano coincidere appunto con i lavoratori addetti al reparto soppresso.

Tanto chiarito, con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, da parte della Corte territoriale in relazione alla fattispecie specifica, censurando la stessa sentenza sotto il profilo motivazionale eccependo l’insufficiente e contraddittoria motivazione, mentre con il secondo, strettamente collegato al primo, si denuncia violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, concernente i criteri di scelta dei licenziandi.

Si sostiene, riproducendo la comunicazione di avvio della procedura, come in essa vi fossero tutte le indicazioni previste dalla legge, a nulla rilevando se, nel corso delle varie riunioni avute con il Sindacato, non si era raggiunto una corrispondenza di opinioni.

Gli esposti motivi sono fondati.

Dall’esame delle difese delle parti emerge che la questione oggetto del contrasto è incentrata essenzialmente sulla mancata indicazione dei lavoratori da licenziare, non essendo stata ritenuta, sufficiente dal Giudice a quo l’indicazione del reparto da sopprimere e delle ragioni della soppressione, dovendo, al contrario, l’individuazione del personale da licenziare, avvenire con riguardo alle esigenza tecnico-produttive dell’intero complesso aziendale: ciò al fine di assicurare al lavoratore la comparazione ad ampio spettro con gli altri lavoratori, che – pur addetti a reparti o settori diversi – rivestano livello simile e professionalità analoghe alle proprie, in quanto solo tale tipo di selezione ripara il lavoratore da possibili e non giustificate discriminazioni rispetto ad altri dipendenti portatori, nell’ambito della stessa azienda, di uguale professionalità.

Siffatto iter argomentativo si pone, tuttavia, in contrasto con l’ormai consolidato e condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive, nell’ambito della singola unità produttiva ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale (Cass. n. 13182/2003; Cass. n. 4970/2006;

Cass. n. 26376/08).

Nella specie, ed in relazione anche alla dedotta violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, non può trascurarsi che la peculiare attività svolta, nel settore della cucina, dai 14 addetti -tra cui il D.G. – (cuochi, aiuti cuochi e ausiliari di cucina) non poteva consentire un allargamento della platea dei licenziandi, senza una adeguata motivazione da parte del Giudice a qua, tale non presentandosi, alla luce della enunciata giurisprudenza, quella esposta nella impugnata sentenza. Pertanto, il controricorrente, pur se inquadrato nel 2^ livello del CCNL Sanità Privata fin dall’assunzione, era stato addetto – come è pacifico – al servizio cucina, conseguendo, nel corso degli anni, la qualifica di aiuto- cuoco del tutto diversa, per contenuti professionali, da quella degli ausiliari socio sanitari specializzati. Da ciò discende che nessuna fondata contestazione può muoversi sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, interessando il licenziamento collettivo la totalità degli addetti al servizio cucina, la cui attività non era nè omogenea nè simile rispetto a quella propria di altro settore.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia violato l’art. 112 c.p.c., avendo sostenuto che la vicenda poteva essere gestita a mezzo di un trasferimento di ramo d’azienda, attuato con le conseguenze di cui all’art. 2112 c.c., e non con la procedura dei licenziamenti collettivi. In tal modo – secondo la Corte Territoriale – adottandosi la procedura regolata dal richiamato art. 2112 c.c., si sarebbe avuto il passaggio delle maestranze occupate in capo al cessionario senza le conseguenze previste dalla L. n. 223 del 1991.

Si tratta – prescindendo dal rilievo della ricorrente che trattasi di questione nuova, neppure sollevata dalla parte – di un’argomentazione che non ha inciso sulla decisione della illegittimità del licenziamento, essendo stata adottata unicamente per evidenziare che non era giuridicamente significativa di una volontà del lavoratore di rifiutare ingiustificatamente una sicura fonte di reddito con le conseguenze indicate dall’art. 1227 c.c..

Pertanto, la censura ancorchè fondata, risulta priva di rilevanza.

Per quanto precede, il quarto motivo, con cui, denunciando vizio di motivazione e violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere considerato il rifiuto del lavoratore a passare alle dipendenze della società ONAMA, va dichiarato assorbito. Il ricorso va, quindi, accolto con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, la quale, nel procedere al riesame, dovrà tener conto del principio di diritto, sopra menzionato, secondo cui in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive, nell’ambito della singola unità produttiva ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale.

Lo stessa Corte d’appello provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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