Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6623 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 31/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6623

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

S.T., rappr. e dif. dall’avv. Antonio Gregorace,

antoniogregorace.ordineavvocatiroma.org, elett. dom. presso lo

studio dello stesso in Roma, via della Giuliana n. 32, come da

procura spillata in calce all’atto;

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappr. e dif.

ex lege dall’Avvocatura dello Stato, domiciliato preso i suoi

Uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12,

ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza App. Milano 22.6.2018, n. 3090/2018,

in R.G. 3071/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

FERRO Massimo alla camera di consiglio del 31.1.2020.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. S.T. impugna la sentenza App. Milano 22.6.2018, n. 3090/2018, in R.G. 3071/2017 che ha rigettato l’appello avverso l’ordinanza Trib. Milano 18.5.2017 reiettiva del ricorso avverso il provvedimento della competente Commissione territoriale, la quale aveva escluso i presupposti per la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria e altresì quella umanitaria con concessione del permesso di soggiorno;

2. la corte, condividendo il giudizio del tribunale sulla contraddittorietà del narrato del richiedente, giunto dal Mali, oltre che sulla mancanza di collegamento tra la situazione di preteso conflitto nel Paese e l’espatrio, ha: a) negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, per mancato riscontro e omessa allegazione di un accertato rischio alla vita o alla persona, per effetto di coinvolgimento in conflitto più diretto, apparendo altresì generica la prospettata paura, dapprima, di incorrere nelle conseguenze risarcitorie quale supposto responsabile di un incendio cui era seguita la morte di un collega nel forno in cui lavorava, secondo una versione, poi, aggravata (timore di essere ucciso dai parenti della vittima) solo avanti al primo giudice; b) esclusa la sussistenza di un generalizzato conflitto armato in Mali, alla luce di fonti aggiornate, quali l’Accordo del 12.12.2016 con l’UE e le informazioni citate dal primo giudice (Ecoi.net), con l’avvio ad una stabilizzazione del Paese e l’evoluzione della situazione istituzionale interna; c) escluso il diritto alla protezione umanitaria, per omessa allegazione della vulnerabilità, nonchè mancata prova di specifiche circostanze idonee a permettere la contestualizzazione dell’impedimento nel Paese d’origine dei diritti fondamentali;

3. il ricorso descrive quattro motivi di censura, cui resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. Con il primo motivo si contesta la violazione del dovere di disporre, da parte del giudice, la forma di protezione più opportuna, essendo sufficiente che esso siano investiti del ricorso e perciò mancando sul punto la motivazione del diniego; con il secondo motivo si enuncia il vizio di motivazione, per omessa valutazione delle dichiarazioni del ricorrente e delle allegazioni sulla situazione in Mali e parimenti, con il terzo motivo, sul punto la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14; il quarto motivo enuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, ed altresì il difetto di motivazione per il diniego della protezione umanitaria;

2. i primi tre motivi, da trattare congiuntamente per l’intima connessione, sono complessivamente inammissibili; la preliminare valutazione sulla contraddittorietà del narrato e sulla omessa prospettata individualizzazione dei gravi rischi, quale esplicitamente enunciata dalla corte, non è avversata, nè sono allegate possibili specifiche circostanze di gravi rischi che sarebbero connessi al rimpatrio, così individualizzando i requisiti di protezione in relazione alla situazione del Paese di provenienza; il ricorso omette di riportare in quali termini eventuali diverse circostanze siano state ritualmente, tempestivamente e con puntualità rappresentativa introdotte avanti al giudice di merito, così impedendo – in questa sede e dato il loro richiamo del tutto generico – ogni controllo di trascuratezza, pur negli stretti limiti della verifica di legittimità sulla motivazione;

3. va invero ricordato, sul punto, che “in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria” (Cass. 4892/2019, 18446/2019);

4. inoltre, si ripete, l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti e ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non tempestivamente e ritualmente dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. 9842/2019, oltre che Cass. 1533/2020, Cass. 1532/2020); la corte ha infatti condotto, con apprezzamento di merito insindacabile in questa sede alla luce degli stringenti limiti di censurabilità della motivazione (Cass. s.u. 8053/2014) ed anche con riferimenti di condivisione alle lacune della domanda già riscontrate dalla commissione e dal tribunale, una verifica sui presupposti delle tipologie di protezione oggetto di domanda; la sintesi delle enunciazioni valutative cui è giunta non permette una diversa disamina, altresì per i limiti redazionali del ricorso;

5.in realtà la sentenza ha motivatamente e in via preliminare dubitato della credibilità del narrato del richiedente ed al contempo dell’effettiva sua ulteriore esposizione persecutoria o ad altri rischi gravi, osservando il Collegio che “il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass. 15794/2019), circostanza nella specie non positivamente integrata;

6. Il motivo è infatti ulteriormente inammissibile, avendo il ricorrente espresso l’invocazione di una mera diversa conclusione, a sè favorevole, quale discendente da una pretesa generalizzata situazione di pericolosità che avrebbe interessato il Mali; escludendo ognuna delle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, la corte ha in particolare, nella sostanza, negato – anche per effetto della contraddittorietà soggettiva – l’emersione di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona in nesso causale con una violenza indiscriminata, anche ai sensi della lett. c) art. cit., citando altresì specifiche fonti internazionali, richiamando così nello specifico quelle della motivazione del primo giudice;

7. la censura sul diniego di protezione umanitaria, per quanto alfine genericamente ripresa nel secondo motivo, è inammissibile, dovendosi ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; si tratta di principio ribadito da Cass. s.u. 29460/2019, facendo qui difetto i termini oggettivi – non indicati dal ricorrente – di un’effettiva comparabilità, al fine di censirne la vulnerabilità, negata dalla corte, che ha escluso, per la mancanza dei richiami circostanziali, la rilevanza più specifica di altri fattori, diversi dal mero timore del rientro e di cui al non creduto narrato; si può allora aggiungere che l’odierna censura è inammissibile perchè si risolve in un vizio di motivazione, oltre però il limite del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

8. Invero, l’intrinseca inattendibilità del racconto del richiedente, affermata dai giudici di merito, costituisce, nella peculiare fattispecie, altresì motivo sufficiente per negare anche la protezione umanitaria (Cass. 16925/ 2018; Cass. 4455/2018, parag. 7; Cass. 27438/2016), essa rendendo comunque impossibile una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente (del tutto incerta e non creduta) con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. 1088/2020), che nella specie – come detto – è stata richiamata in ricorso in modo del tutto generico, in difetto di altri elementi di vulnerabilità;

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, con condanna alle spese secondo le regole della soccombenza e liquidazione come meglio da dispositivo; sussistono infine i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 2.200 oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 31 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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