Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6622 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 10/03/2021), n.6622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sui ricorsi riuniti iscritti ai nn. 19078/2013 R.G. e 19101/2013

R.G., proposti da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ARENZANO AUTO Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del

controricorso, dagli avv.ti Claudio Berliri e Alessandro Cogliati

Dezza, presso gli stessi elettivamente domiciliata in Roma, nella

via Alessandro Farnese n. 7;

– controricorrente –

avverso le sentenze n. 4/08/2013 e n. 2/08/2013 della Commissione

Tributaria Regionale della Liguria, depositate in data 24 gennaio

2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del’11 dicembre

2020 dal Consigliere Dott. Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A seguito di una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza di Genova per gli anni dal 2003 al 2005 a carico della Srl Arenzano Auto, svolgente l’attività di commercio di auto, conclusasi con verbale di constatazione che aveva posto in luce come la detta società aveva intrattenuto rapporti con molteplici aziende già identificate per il loro ruolo di soggetti fittizi nell’ambito di “frodi carosello” in materia di IVA, in quanto prive di qualsiasi organizzazione di mezzi per l’esercizio di attività commerciali ed evasori totali, l’Agenzia delle Entrate emise l’avviso di accertamento n. R4D030102723/2009 per l’anno di imposta 2005, notificato in data 28.12.2009, con cui recuperò a tassazione ai fini IVA l’importo di Euro 237.934,00 e determinò costi illeciti indeducibili nella misura di Euro 1.079.330,27 con riguardo a specifiche autovetture acquistate da quattro diverse società “cartiere”. Contemporaneamente la Agenzia delle Entrate emise anche l’atto di contestazione n. (OMISSIS), notificato nella stessa data, con il quale sanzionò ai sensi del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 9 bis, la mancata autofatturazione di tali acquisti da paesi UE, del D.L. n. 331 del 1993, ex art. 46, comma 5, in conseguenza dell’utilizzo di fatture soggettivamente false nell’ambito della presunta frode fiscale ed in relazione alla imposta ritenuta evasa.

Contro i due atti la società Arenzano Auto propose due separati ricorsi, opponendo, per quanto ancora interessa, la infondatezza e la illegittimità degli atti impugnati poichè basati su illazioni e su teoremi indimostrati, nonchè sulla pretesa partecipazione della contribuente ad un meccanismo fraudolento senza però averne fornito le prove.

Con due separate sentenze n. 39/2011 e 37/2011 la Commissione Tributaria Provinciale di Genova accolse i ricorsi ritenendo che il meccanismo fraudolento delineato dal pvc fosse sfornito di idoneo supporto probatorio e che l’Ufficio non avesse dimostrato incongruenze dei prezzi di vendita e non avesse comunque chiarito le caratteristiche di fittizietà dei soggetti controparti commerciali della società verificata.

Con due separati appelli l’Agenzia delle Entrate impugnò entrambe le sentenze lamentando, quanto alla sentenza emessa con riguardo alla impugnazione dell’avviso di accertamento, come il primo giudice avesse trascurato che nella materia in esame era ammessa pacificamente la prova di tipo presuntivo che l’Ufficio aveva fornito dimostrando come i soggetti coinvolti nella frode fiscale fossero “scatole vuote”, privi di mezzi ed evasori fiscali che mai avevano versato imposte pur a fronte di volumi di affari assai consistenti e come la frequenza dei rapporti fra la società ricorrente e soggetti di tali tipo per importi assai rilevanti e per compravendite molteplici rendeva evidente come non potesse essere plausibile che si fosse trattato di soggetto estraneo ed inconsapevole della attività fraudolenta, il che imponeva che spettasse al soggetto controllato fornire la prova della sua estraneità alle operazioni soggettivamente inesistenti. Con riguardo invece alla sentenza relativa alla impugnazione dell’avviso di contestazione, rilevò la sostanziale mancanza di considerazione, da parte della sentenza impugnata, della specificità dell’atto a contenuto sanzionatorio che non era stato in alcun modo preso in esame, avendo la Commissione Tributaria Provinciale adottato una sentenza uguale a quella relativa alla impugnazione dell’accertamento e chiese nel merito il riconoscimento della fondatezza dell’atto sanzionatorio e la conferma dell’accertamento che costituiva anche il presupposto dell’atto sanzionatorio.

Decidendo sull’appello della Agenzia relativo alla sentenza che aveva esaminato la impugnativa relativa all’accertamento, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria, con sentenza n. 4/8/2013, depositata in data 24.1.2013, lo rigettò, ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito prove sufficienti, suffragate da elementi gravi, precisi e concordanti, per dimostrare che le operazioni, oggetto delle fatture contestate, non fossero state poste in essere con il fornitore che a sua volta era stato oggetto di verifica e che non vi fossero altresì prove della partecipazione attiva alla frode da parte della società appellata, quali tracce di accordi con i fornitori per attuare la frode fiscale. Rilevò inoltre la economicità delle operazioni commerciali poste in essere dalla società Arenzano Auto e sostenne che non risultava che la suddetta società avesse finanziato con anticipazioni le operazioni per gli acquisti effettuati dal fornitore. Analogamente, con sentenza n. 2/8/2013, depositata nella stessa data del 24.1.2013, rigettò l’appello dell’Ufficio contro la sentenza della CTP che aveva deciso sulla impugnativa dell’atto di contestazione delle sanzioni, ritenendo assorbente il fatto che, con sentenza emessa nella stessa udienza, era stato annullato l’avviso di accertamento n. R4DC00101179, relativo all’IVA 2005, da cui discendeva l’atto di contestazione, che era, a sua volta, in conseguenza, illegittimo.

Contro le due sentenze di appello la Agenzia delle Entrate ha proposto due distinti ricorsi per cassazione, ai quali sono stati attribuiti i numeri RG 19078/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 4/8/2013) ed RG 19101/2013 (quanto al ricorso contro la sentenza della CTR n. 2/8/2013), affidati, ciascuno, ad un solo motivo, notificati in data 23/25 luglio 2013 presso la sede legale della società, in persona del legale rappresentante, a mani del delegato, che ha sottoscritto per ricevuta del plico, nonchè, in data 9 settembre 2013, a mani del difensore domiciliatario nel giudizio di appello, Avv. Paolo Massa, nell’effettivo domicilio dello stesso, a seguito di rinnovazione della notificazione, riattivata il 5 settembre 2013 (ossia nel termine ex art. 325 c.p.c. dimidiato, tenuto conto della sospensione feriale: v. Sez. Un. 14594 del 15/07/2016) a seguito della mancata notifica in data 26 luglio 2013 per trasferimento del domiciliatario. La Agenzia delle Entrate ha poi presentato una successiva memoria.

Ha resistito la società Arenzano Auto con due separati controricorsi notificati in data 2-7 ottobre 2013 deducendo, in via principale e pregiudiziale, la inammissibilità dei ricorsi per inesistente notificazione al procuratore costituito presso il domicilio eletto e conseguente giudicato della sentenza di primo grado, nonchè, in subordine, la inammissibilità o il rigetto del motivo di ricorso presentato dalla Agenzia delle Entrate. In data 27.11.2020 la società Arenzano ha presentato una successiva memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale va disposta la riunione tra i ricorsi R.G.N. 19078/2013 e N. 19101/2013, chiamati entrambi alla presente udienza e relativi alle impugnazioni degli atti di accertamento di IVA, IRPEG ed IRAP per la annualità 2005 e consequenziale avviso di contestazione delle sanzioni, separatamente impugnati, pur se connessi e notificati contestualmente, da cui erano scaturite due separate sentenze di primo e di secondo grado. L’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., essendo volto a garantire l’economia ed il minor costo del giudizio, oltre alla certezza del diritto, in presenza di profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie, trova infatti applicazione, a norma dell’art. 335 c.p.c., anche in sede di legittimità, sia pure facoltativamente, pure in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, ma legate l’una all’altra da un rapporto di pregiudizialità e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per cassazione; come nel caso in esame in cui la decisione sulla legittimità dell’accertamento dei tributi riveste valore pregiudiziale rispetto alle consequenziale applicazione delle sanzioni e la trattazione separata può determinare l’eventualità di soluzioni contrastanti (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 1521 del 23/01/2013 Rv. 624792 – 01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22631 del 31/10/2011 Rv. 620433 – 01).

2. Ciò posto, la Agenzia delle Entrate con i ricorsi proposti separatamente nei procedimenti R.G.N. 19078/2013 e N. 19101/2013 lamenta, quanto al ricorso relativo alla impugnazione dell’atto di accertamento dei tributi, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, degli artt. 2727 e 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento ritenendo che l’Ufficio non avesse fornito prove gravi precise e concordanti in merito al fatto che la società accertata non avesse effettivamente posto in essere le operazioni di acquisto con i fornitori che avevano rilasciato le fatture contestate e che avesse nel contempo partecipato attivamente alla frode, benchè i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, nella interpretazione delle norme invocate con il motivo di ricorso per cassazione con riguardo alla prova presuntiva ed all’onere della prova, fossero nel senso che l’Ufficio, pur dovendo dare la prova della inesistenza della operazione, poteva darla anche in via presuntiva, sulla base di elementi idonei a stabilire, con largo margine di probabilità, la sussistenza della fattispecie fraudolenta (come era avvenuto nel caso in esame, in cui l’Ufficio aveva dimostrato, attraverso numerosi elementi provati dal pvc, che le controparti della società Arenzano Auto erano soggetti fittizi, privi di qualsiasi organizzazione e di sede, avendo indicato sedi fittizie o addirittura false e un oggetto sociale che non aveva alcuna attinenza con la vendita delle auto, che non avevano mai presentato dichiarazioni fiscali e tanto meno versato l’IVA o altre imposte ed erano privi addirittura di qualsiasi contabilità, mentre la provvista per il pagamento dei fornitori era creata dai committenti nazionali, reali acquirenti dei veicoli, dediti alla realizzazione di frodi carosello e di operazioni inesistenti come tali già individuati attraverso specifiche indagini della Guardia di Finanza e della Agenzia delle Entrate) e che, in tal caso, si sarebbe rovesciato sul contribuente l’onere di dimostrare di essere rimasto coinvolto in un meccanismo di frode IVA in modo incolpevole ed inconsapevole, pur avendo operato con la diligenza di un imprenditore mediamente accorto nella scelta delle controparti commerciali. Per converso, ad avviso della Agenzia delle Entrate, la Arenzano Auto non aveva dimostrato la effettiva operatività commerciale dei soggetti in questione – limitandosi ad addurre la regolarità formale dei pagamenti, che peraltro era ritenuta dalla giurisprudenza consolidata irrilevante perchè la predisposizione di meccanismi di frode si caratterizzava per la esposizione e messa in atto di elementi di apparente regolarità, volti a renderne difficoltosa l’emersione in sede di controllo e soprattutto a preordinare un soggetto debole (l’interposto fittizio) privo di mezzi e del tutto incapiente – e neppure di avere ottemperato all’obbligo di diligenza (posto a suo carico anche dalla giurisprudenza comunitaria) nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, che doveva ricadere su un soggetto effettivamente esistente sulla base di elementi che non potevano sfuggire ad un imprenditore onesto e mediamente accorto che operi in un determinato settore commerciale.

3. Analogamente, quanto al ricorso relativo alla impugnazione dell’atto di contestazione delle sanzioni, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, degli artt. 2727 e 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premesso che la sentenza impugnata aveva motivato “per relationem” con riguardo al connesso procedimento relativo all’avviso di accertamento, la Agenzia delle Entrate ha quindi sviluppato il proprio ricorso confutando la motivazione della sentenza n. 4/8/2013 relativa all’atto di accertamento per la stessa annualità di imposta, lamentando la violazione delle disposizioni normative in tema di prova presuntiva e più in generale di riparto dell’onere probatorio, così come interpretate dalla giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione e rilevando che dalla erroneità della sentenza presupposta (n. 4/8/2013) discendeva automaticamente la cassazione della sentenza n. 2/8/2013 che dipendeva indissolubilmente dalla prima.

4. Con due uguali controricorsi la società Arenzano Auto ha eccepito in via pregiudiziale che le sentenze di secondo grado erano ormai in giudicato, per decorso del termine lungo di sei mesi, alla data del 24 luglio 2013, stante la inammissibilità dei ricorsi per cassazione la cui notificazione era inesistente, poichè la richiesta di notificazione al procuratore costituito nel giudizio di appello (Avv. Paolo Massa), non andata a buon fine per “trasferimento”, era avvenuta presso lo studio in Genova, via Ippolito d’Aste 3/10 dove l’Avv. Massa aveva avuto in effetti il proprio studio professionale, che peraltro risultava già trasferito in Corso Podestà 8/1 fin dalla notifica dell’atto di appello, mentre la notificazione presso la sede della società costituiva solo un titolo di informazione di cortesia privo di rilevanza giuridica. Non rilevava poi, secondo la controricorrente – e non era idonea in particolare ad evitare la inesistenza della notificazione -, neppure la circostanza che in data 5.9.2013 la Agenzia delle Entrate avesse chiesto la rinnovazione della notificazione nell’effettivo domicilio eletto presso l’Avv. Massa, in Genova, Corso Podestà 8/1, poichè era basata sull’erroneo presupposto che il trasferimento del domicilio eletto fosse avvenuto nelle more del ricorso per cassazione, mentre invece era avvenuto nelle more del giudizio di appello e il nuovo domicilio eletto era ben a conoscenza della Agenzia delle Entrare fin dal giudizio di appello.

5. La società Arenzano ha poi dedotto con il controricorso, in via subordinata alla rimessione in termine della controparte, che il motivo di impugnazione della Agenzia delle Entrate era inammissibile poichè si concretizzava in una richiesta di riesame nel merito della causa mediante una rivalutazione delle prove non consentita in sede di legittimità

6. La tesi della controricorrente – in merito alla pretesa inesistenza della notificazione dei ricorsi perchè eseguita presso il difensore nel domicilio eletto, già precedentemente modificato e per irrilevanza della seconda notificazione, pur andata a buon fine, al legale rappresentante presso la sede della società – è infondata alla luce della giurisprudenza consolidata di questa Corte per la quale l’inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. Tali elementi consistono: a) nell’attività di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, “ex lege”, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016 Rv. 640603 – 01).

7. E’ quindi inesistente solo la notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario ovvero nel caso in cui sia stata omessa la consegna dell’atto da notificare, mentre è nulla quando essa, nonostante l’inosservanza di formalità e di disposizioni di legge, sia, comunque, materialmente avvenuta mediante rilascio di copia dell’atto a persona e luogo avente un qualche riferimento con il destinatario della notificazione. Ne consegue che, in primo luogo, la notificazione in un luogo diverso dal domicilio eletto, ove l’atto risulti consegnato al destinatario e non restituito al mittente, non è pertanto inesistente, ma nulla ed è suscettibile di sanatoria anche soltanto per effetto della costituzione in giudizio dell’intimato, ancorchè effettuata al solo fine di eccepire la nullità (v., da ultimo, Cass. Sez. L -, Ordinanza n. 7703 del 28/03/2018 Rv. 648261 – 02).

8. Con specifico riguardo alla notificazione del ricorso per cassazione in tema di processo tributario, la giurisprudenza di questa Sezione (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 34252 del 21/12/2019 Rv. 656418 – 01) ha di recente ritenuto che, ai sensi dell’art. 330, comma 1, c.p.c., l’impugnazione, quando non preceduta dalla notificazione della sentenza impugnata o dall’elezione di domicilio o dalla dichiarazione di residenza al momento di tale notificazione, può essere notificata alla parte in uno qualsiasi dei luoghi indicati nella citata disposizione, presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio, a scelta della parte impugnante, dovendosi escludere che la norma prescriva un tassativo ordine di successione dei luoghi suddetti, anzichè un concorso alternativo degli stessi (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto valida la notificazione del ricorso per cassazione eseguita presso la residenza dichiarata della parte intimata e non nel domicilio processuale eletto). Peraltro, al di là di tale ultima decisione, è ampiamento consolidato l’orientamento per cui la notificazione dell’atto di impugnazione, eseguita in violazione dell’art. 330, comma 1, c.p.c., alla parte personalmente e non presso il procuratore costituito nel giudizio di primo grado, è affetta da nullità, sicchè ove il giudice del gravame non ne disponga la rinnovazione ex ad. 291 c.p.c. (se ovviamente non già avvenuta), la Corte di Cassazione, nel dichiarare tale vizio, deve annullare con rinvio la decisione affinchè venga ripristinata la regolarità del contraddittorio (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18104 del 10/07/2018 Rv. 649804 – 01), mentre non può dichiarare inammissibile la impugnazione. Ed anche con riguardo alla specifica questione attinente alla possibilità di estendere al giudizio tributario impugnatorio di appello la speciale disposizione dettata dall’art. 17, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, questa Corte, pur ritenendo in via prevalente che per il ricorso per cassazione trova applicazione la regola generale enunciata dall’art. 330 c.p.c., mentre per l’appello opera la disciplina speciale dettata dall’art. 17, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, per cui “le comunicazioni e le notificazioni sono fatte, salva la consegna in mani proprie, nel domicilio eletto o, in mancanza, nella residenza o nella sede dichiarata dalla parte all’atto della sua costituzione in giudizio”, sicchè la notifica dell’atto di appello, in caso di elezione di domicilio, deve ivi essere prioritariamente eseguita (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 14549 del 06/06/2018 Rv. 649010 – 01; Cass. Sez. 5, 17 febbraio 2017 n. 4233), peraltro è sempre rimasta ferma sul principio per cui, anche qualora la notifica dell’atto di impugnazione avrebbe dovuto essere compiuta presso il domicilio eletto, l’inosservanza della previsione normativa sopra indicata produce non l’inesistenza ma la nullità della notifica stessa, della quale deve essere disposta ex officio la rinnovazione, ai sensi dell’art. 291 c.p.c., salvo che la parte intimata non si sia costituita in giudizio, ipotesi quest’ultima nella quale la nullità deve ritenersi sanata ex tunc, secondo il principio generale dettato dall’art. 156 c.p.c., comma 2, anche se la costituzione è effettuata al solo fine di eccepire la nullità (Cass. n. 1156/2008; n. 27139/2006, n. 2258/2006, n. 20334/2004, n. 9242/2004, S.U. n. 10696/2002).

9. Nel caso di specie la notifica del ricorso è tempestivamente avvenuta nella sede sociale in persona del legale rappresentante, ma è altresì avvenuta, sempre tempestivamente, a seguito della rinnovazione attivata il 5.9.2013 (e quindi nel termine dimidiato ex art. 325 c.p.c., tenuto conto del periodo di sospensione feriale: v. Cass. Sez. Un. 14594 del 2016), in data 9.9.2013 nel domicilio eletto presso l’Avv. Paolo Massa, in Genova, Corso Podestà 8/1 D, a mani del domiciliatario che ha sottoscritto per ricevuta (come risulta dalla produzione documentale della Agenzia delle Entrate), non essendo andata a buon fine la prima notifica diretta al domiciliatario per trasferimento dello stesso attestato dall’agente postale il 26 luglio 2013; per cui, essendosi già verificata la sanatoria per consegna dell’atto al domiciliatario ed anche per l’intervenuta costituzione della controricorrente, pur al dichiarato fine di fare valere la inesistenza della notificazione, si deve ritenere sanata la iniziale nullità della notifica per effetto del raggiungimento dello scopo dell’atto, sia mediante la rinnovazione della notificazione effettuata spontaneamente dalla parte, sia mediante la costituzione in giudizio dell’intimato (v. Cass. Sez. U, Sentenza n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640604 – 01).

10. Si deve in conseguenza escludere, nella specie, la inesistenza della notificazione del ricorso per cassazione, mentre la nullità della notificazione al legale rappresentante eseguita nella sede sociale è sanata sia dalla sua rinnovazione spontanea nel domicilio eletto, sia dalla costituzione in giudizio della parte intimata, con efficacia “ex tunc”, con la conseguenza, fra l’altro, che tale efficacia sanante non è esclusa per il fatto che il controricorso risulti notificato oltre il termine di cui all’art. 370 c.p.c., essendo il controricorso egualmente tempestivo e ammissibile, atteso che la notificazione della impugnazione, in quanto viziata, non può determinare la decorrenza del termine utile per la sua proposizione (v., per tutte, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2600 del 22/02/2001 Rv. 544055 – 01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 908 del 18/01/2005 Rv. 578765 – 01).

11. I ricorsi per cassazione sono quindi ammissibili e sono altresì fondati.

12. Appare in primo luogo corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poichè, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), come avvenuto nella specie, considerato che il motivo di ricorso pone proprio una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, relativa alle operazioni ritenute inesistenti dall’Ufficio ai fini fiscali e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

13. A tale stregua, il vizio di violazione di legge è stato quindi correttamente posto dalla Agenzia ricorrente con riguardo, in particolare, alla violazione degli artt. 2727 e 2697 c.c. che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia erroneamente disconosciuto la prova presuntiva ed attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), poichè, trattandosi della prova della inesistenza soggettiva della operazione, l’onere di dimostrare la inesistenza della operazione e che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente spettava certamente all’Ufficio, come dallo stesso riconosciuto; però, alla stregua dei criteri indicati dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 comma 2, propri della tipologia di accertamento adottato nel caso in esame, che sono quelli presuntivi, incombeva, per converso, al contribuente, ex art. 2697 c.c., fornire la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi. Ed alla luce di tali principi il giudice di merito ha nella sostanza operato una inversione di tale onere laddove ha ritenuto che spettasse all’Ufficio provare – pienamente, addirittura con prova di rango superiore a quella indiziaria – che le operazioni non erano state poste in essere con il fornitore dichiarato, nonchè la partecipazione attiva della società Arenzano alla frode attraverso la dimostrazione di tracce di accordi con i fornitori per attuare la frode o del finanziamento, con anticipazioni, da parte della società Arenzano, delle operazioni per gli acquisti effettuati dal fornitore, nell’ambito addirittura di una sorta di prova vincolata di cui non vi è traccia nella normativa in esame.

14. Questa Corte si è già occupata numerose volte di fattispecie analoghe a quella in esame e precisamente di situazioni in cui il fatturante era, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo ma l’operazione si iscriveva – per quanto riguardava quel trasferimento o i passaggi precedenti – in una combinazione negoziale fraudolenta di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contemplava la consapevolezza in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’IVA da parte di un cedente. In siffatte situazioni questa Corte ha rilevato come l’iva che figura pagata al cedente in via di rivalsa non è detraibile dato che ad essa – con la consapevolezza o la partecipazione del cessionario – non solo non corrisponde un versamento all’erario ma non corrisponde un’attività economica effettiva ed il trasferimento all’intermediario formale ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione. In tale ipotesi è peraltro il fisco ad avere l’onere di provare – anche mediante presunzioni – gli elementi di fatto che concretizzano la frode e la partecipazione ad essa o la consapevolezza di essa da parte del contribuente e tale prova può essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto (v., per tutte, Cass. 5 sezione n. 15741 21/2/2012).

15. In siffatte ipotesi, in tema di IVA, ma analogamente in tema di imposte sui redditi, nelle c.d. “frodi carosello” – fondate sul mancato versamento dell’imposta incassata da società “cartiere” a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l’interposizione di una o più società filtro (“buffers”) – il meccanismo dell’operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno infatti presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall’art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l’IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell’intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari trattandosi di mezzi normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 867 del 20/01/2010 Rv. 611768 – 01; v. ancora, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 Rv. 647837 – 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 Rv. 651269 – 01, e, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 5339 del 27/02/2020 Rv. 657341 – 01).

16. Anche nella giurisprudenza della Code di Giustizia (Code giustizia 22 ottobre 2015, C277/14) è consolidato il principio per cui, in tema di detrazione dell’IVA correlata ad operazioni inesistenti, la prova che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta sul valore aggiunto, può essere fornita dall’Amministrazione mediante presunzioni – come espressamente prevede il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 2, – valorizzando, nel quadro indiziario, quali elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante, l’assenza della minima dotazione personale e strumentale adeguata alla predetta esecuzione, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione. E pure con la sentenza C-439/04 par. 59 Axel Kittel la Code di Giustizia ha ritenuto che deve essere negata la detraibilità se l’operatore “sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un’operazione che si iscriveva in una frode all’IVA”.

17. Alla luce di tali consolidati principi, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, spettava quindi all’Ufficio dimostrare che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione dei beni si iscriveva in un’evasione dell’imposta posta in essere con operazioni commerciali esclusivamente preordinate, anche se vere, ad eludere l’imposizione fiscale, sulla base di elementi presuntivi sufficienti ed adeguati a ritenere provato lo scopo fraudolento, quali, ad esempio, il carattere fittizio delle operazioni commerciali effettuate (indipendentemente dalla loro effettiva realizzazione) destinate a concludere un piano illecito di sfruttamento di evasione IVA e la mancanza di una effettiva organizzazione aziendale delle società fornitrici, ma tale prova, come risulta dalla sentenza impugnata, era stata offerta, nella specie, dall’Ufficio. La sentenza impugnata, a pag. 3, ha infatti dato atto delle prove che aveva offerto l’Ufficio con riguardo al contenuto di specifiche pagine del pvc, attraverso il quale era risultata “la funzione di meri interposti dei fornitori (Auto Commerciale Verbania srl, S.A., Autofiera Sas, Servizi Fin Car srl) emergente da una serie di elementi, quali la mancanza di una struttura idonea a svolgere l’attività, la cessione dei beni commercializzati spesso sottocosto (con ricarichi negativi o irrisori rispetto ai prezzi di acquisto), la realizzazione di ingenti volumi di affari e la conseguente emersione di un consistente debito di IVA, peraltro mai versata” e che “l’Arenzano Auto, avendo pluriennale esperienza ad alto livello nella commercializzazione dei veicoli, doveva conoscere bene i prezzi e non poteva quindi non rendersi conto che le condizioni particolarmente vantaggiose praticate dai propri fornitori potevano essere giustificate esclusivamente dalla circostanza dell’evasione dell’imposta nell’ambito di un meccanismo fraudolento di cui la ricorrente traeva il principale giovamento, sia in termini di risparmio d’imposta, sia in termini di penetrazione del mercato”, nonchè che “i verificatori della Guardia di Finanza avevano ritualmente e tempestivamente proceduto alla trasmissione del pvc da cui erano emersi i fatti di causa e il relativo procedimento penale (n. 12146/07) a carico del legale rappresentante della Arenzano Auto risultava tutt’ora in fase di indagini preliminarì, ma ha poi, in modo tranciante, escluso che tali elementi fossero prove sufficienti di inesistenza soggettiva delle operazioni e di partecipazione attiva della società Arenzano alla frode fiscale (evidentemente ritenuta esistente dalla stessa sentenza impugnata), senza però indicare quali sarebbero stati gli elementi contrari che avrebbero portato a screditare le prove prodotte dalla Agenzia delle Entrate e senza peraltro indicare neppure quale sarebbe stata la regola dell’onere della prova seguita. E, in tal modo, la sentenza impugnata, in contrasto con la interpretazione della normativa offerta da questa Corte e dalla Corte di Giustizia, per cui gli elementi indiziari convergenti indicati nel pcv e nell’accertamento e trascritti nella sentenza impugnata erano astrattamente idonei ad assolvere alla prova richiesta all’Ufficio, non ha correttamente applicato le regole che disciplinano la prova presuntiva e l’onere della prova.

18. Appare opportuno aggiungere che la sentenza impugnata si pone in contrasto con i principi giuridici sopra richiamati anche laddove ha ritenuto che la Agenzia dovesse dare la prova certa del coinvolgimento della Arenzano Auto nella frode e che tale prova non potesse consistere negli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, poichè, a parte il rilievo che non appare consentita la distinzione fra la prova indiziaria ed un’altra tipologia di prova, come se quella indiziaria non fosse una prova, incombeva alla Amministrazione dimostrare, anche in via presuntiva, che si trattava di società cartiere (e ciò era quanto emergente dalla ricostruzione dei fatti trascritta in sentenza) e che il contribuente era consapevole (o avrebbe dovuto esserlo usando la ordinaria diligenza) che la operazione si inseriva in una evasione di imposta, senza necessità di ulteriori prove e tanto meno della prova, pretesa dalla sentenza impugnata, “di una partecipazione attiva alla frode da parte della società appellata”.

19. Sul punto non si tratta, come sostiene la contribuente nei controricorsi, di un erroneo apprezzamento delle acquisizioni istruttorie che integrerebbe un vizio sindacabile in sede di legittimità soltanto come vizio della motivazione, bensì proprio, come correttamente rilevato dalla Agenzia delle Entrate, di violazione dell’art. 2697 c.c., sotto il profilo della erronea affermazione per cui sarebbe spettata alla Agenzia delle Entrate una prova vincolata della partecipazione attiva della società Arenzano alla frode fiscale, da fornire attraverso specifiche tracce di accordi con i fornitori per attuare la frode fiscale e della anticipazione con finanziamenti alle operazioni effettuate dal fornitore.

20. Ai principi di diritto sopra indicati, discendenti da una giurisprudenza consolidata di questa Corte oltre che dai principi comunitari ugualmente sopra richiamati, non si sono in definitiva attenute le sentenze impugnate, che devono essere quindi cassate, con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Liguria, che dovrà pronunciare sui motivi di appello posti dalla Agenzia delle Entrate sulla base dei principi di diritto sopra indicati, nonchè, in relazione alla decisione che sarà adottata, sulle questioni nuove subordinate poste dalla contribuente con la memoria difensiva con riguardo allo ius superveniens in materia sanzionatoria. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte, accoglie i ricorsi riuniti RG n. 19078/2013 e n. 19101/2013, cassa le sentenze impugnate e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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