Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6622 del 06/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6622 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: MANNA FELICE

ORDINANZA
sul ricorso 9528-2014 proposto da:
PINGUE PASQUALINA, SETOLA CARMINE, elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA 21, presso lo
studio dell’avvocato SALVATORE FORGIONE, rappresentati e
difesi dall’avvocato ROBERTO DI SANTO, giusta procura a margine
del ricorso;

– ricorrente
Contro

LOMBARDI ANGELINA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
ANTONIO . FURLAN N. 41, presso lo studio dell’avvocato ROSINA
MANCINELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE DE
VINCENTIS, giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controxicoirente –

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Data pubblicazione: 06/04/2016

avverso la sentenza n. 2204/2013 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 31/05/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2016 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA;

Ric. 2014 n. 09528 sez. M2 – ud. 15-01-2016

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il Consigliere relatore, designato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., ha
depositato in cancelleria la seguente relazione ex artt. 380-bis e 375 c.p.c.:
“1. – Angelina Lombardi, comproprietaria in Guardia Sanfrarnondi (BN) di

in negatoria servitutis del passo pedonale che ivi i coniugi Carmine Setola e
Pasqualina Pingue, proprietari di un vicino immobile abitativo, pretendevano
di esercitare.
Nel resistere in giudizio i convenuti domandavano in via riconvenzionale
l’accertamento della servitù, che sostenevano di aver acquistato per
usucapione.
Con sentenza n. 169/06 l’adito Tribunale di Benevento, sezione distaccata
di Guardia Sanframondi, rigettava la domanda principale ed accoglieva quella
riconvenzionale.
1.1. – Sull’impugnazione di Angelina Lombardi, la Corte d’appello di
Napoli, con sentenza n. 2204/13, dichiarava nulla tale sentenza e rimetteva le
parti innanzi al Tribunale, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per non aver partecipato
al giudizio di primo grado, quali litisconsorti necessari in relazione alla sola
riconvenzionale confessoria, gli altri comproprietari della corte pretesa
servente. Mentre la domanda negatoria poteva essere utilmente sperimentata,
a tutela della proprietà comune, anche da uno solo dei condomini, senza che
ciò involgesse il litisconsorzio necessario degli altri comproprietari, la
domanda confessoria servitutis, osservava la Corte territoriale, tendeva ad
imporre sul fondo comune dell’attrice “un vincolo di natura reale ed a

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una corte adibita a strada e collegata alla via comunale Fontana Pedino, agiva

provocare l’emanazione di una sentenza costitutiva (…) inutiliter data senza
la presenza di tutti i titolari del rapporto”

2. – Per la cassazione di tale sentenza Carmine Setola e Pasqualina Pingue
propongono ricorso, affidato ad un solo motivo.

3. – Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa
applicazione degli artt. 102, 112, 353 e 354 c.p.c., nonché il vizio
motivazionale e di omesso esame di una circostanza decisiva per il giudizio.
Ciò in quanto, si sostiene, l’actio confessoria servitutis mira all’emissione di
una sentenza dichiarativa e non costitutiva.
4. – Il motivo è fondato (s’intende, sotto il profilo della falsa applicazione
dell’art. 102 c.p.c., ad esso erroneamente ricondotta la fattispecie
processuale).
Come affermato più volte da questa Corte, 1′ actio confessoria o negatoria
servitutis, nel caso in cui il fondo dominante o servente, od anche entrambi,

appartengano pro indiviso a più proprietari, comporta un litisconsorzio
necessario tra tutti i comproprietari quando non si risolva in un mero
accertamento, bensì sia diretta anche ad una modificazione della cosa
comune, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni comuni, che
non può essere disposta od attuata pro quota, in assenza di uno dei contitolari
del diritto dominicale. Per contro, ove il fondo dominante o quello servente o
entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari e l’azione sia diretta
soltanto a far dichiarare, nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca
l’esercizio, l’esistenza della servitù o a conseguire la cessazione delle
molestie, non v’è luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né da
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2.1. – Resiste con controricorso Angelina Lombardi.

quello passivo (Cass. nn. 8261102, 3156/98, 2449/81, 202/79, 5030/77 e
2597/67).
Nella specie, è ovvio che la servitù, al pari di qualsivoglia altro diritto,
sorga per effetto di un titolo derivativo od originario il quale, per ciò stesso, la

stessa costitutiva, come invece avviene nelle ipotesi di servitù coattive
disposte (non per contratto ma) con sentenza.
5. – Pertanto, si propone la decisione del ricorso con le forme camerali, nei
sensi di cui sopra, in base all’art. 375, n. 5 c.p.c.”.
II. – La Corte preliminarmente rileva l’infondatezza dell’eccezione
d’inammissibilità del ricorso per intervenuta estinzione del processo, sollevata
dalla parte controricorrente in considerazione del fatto che il ricorso per
cassazione è stato notificato decorso il termine di sei mesi fissato dalla Corte
d’appello per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice di primo grado.
Infatti, in caso di rimessione della causa dal giudice di appello a quello di
primo grado per l’integrazione del contraddittorio, il termine di sei mesi per la
riassunzione del processo decorre, ancorché sia stato diversamente disposto
dal giudice, dalla notificazione della sentenza, come disposto dall’art. 353
c.p.c., richiamato dal successivo art. 354, poiché la notificazione è un atto
formale che non ammette equipollenti, quali la comunicazione della sentenza
stessa, né il giudice può abbreviare i termini perentori fissati dalla legge, in
violazione dell’art 153 c.p.e. In ogni caso la parte onerata della riassunzione
deve provvedervi comunque entro il termine generale di un anno dalla
pubblicazione della sentenza, a pena di estinzione del processo, in
applicazione dell’art. 327 c.p.c., non essendo ipotizzabile che la riassunzione
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costituisce, ma non per questo la sentenza che ne accerti l’esistenza è essa

possa avvenire senza prefissati limiti temporali e dovendo coordinarsi l’onere
di riassunzione in modo che il termine per provvedervi non scada prima del
termine per il ricorso per cassazione, il quale ha un effetto interruttivo sul
predetto onere (Cass. nn. 13160/07, 8437/97, 8370193 e 2250/72).

e di un anno ai sensi dell’art. 327, comma 1 c.p.e. rimangono applicabili
(trattandosi di processo instaurato in primo grado prima dell’entrata in vigore
della legge n. 69/09: art. 58 stessa legge), va osservato che la sentenza
d’appello non risulta essere stata impugnata (non lo deduce nessuna delle due
parti). Con la conseguenza che la riassunzione davanti al giudice di primo
grado sarebbe dovuta avvenire nel medesimo termine ordinario per ricorrere
per cassazione, e che la proposizione di quest’ultimo mezzo ha prodotto
l’interruzione del termine di riassunzione, come previsto dall’art. 353, 3°
comma, richiamato dall’art. 354• 3° comma c.p.c.
III. – Ciò posto, la Corte condivide la relazione, rispetto alla quale nessuna
delle parti ha depositato memoria.
IV. – Pertanto, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va
cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che
provvederà nel merito del gravame e sulle spese di cassazione.

P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad
altra sezione della Corte d’appello di Napoli, che provvederà anche sulle
spese di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione civile 2 della Corte Suprema di Cassazione, il 15.1.2016.

Nella specie, premesso che i termini di sei mesi ex art. 353, comma 2 c.p.c.

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