Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6622 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 01/03/2022), n.6622

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23208/15 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso, come da procura a margine del

ricorso, dall’avv. Dario Stevanato e dall’avv. Claudio Lucisano, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via

Crescenzio, n. 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di secondo

grado di Trento n. 14/01/15 depositata in data 24 febbraio 2015;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 gennaio

2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. M.D. impugnò l’avviso di accertamento, per l’anno 2005, emesso nei suoi confronti ai fini del recupero di IRPEF, con cui erano stati ripresi a tassazione i compensi (fissi e variabili) dallo stesso percepiti per effetto della costituzione di un diritto di superficie su terreno di sua proprietà in favore della società M. s.r.l., di cui egli era socio.

Nell’impugnare l’atto impositivo il contribuente eccepì che lo stesso reddito, comunque non tassabile, era stato oggetto di altri due avvisi di accertamento, relativi agli anni 2003 e 2004, e che a seguito dell’annullamento di detti avvisi da parte della C.T.P. di Trento nel relativo separato giudizio, l’Ufficio aveva provveduto ad emettere nuovo avviso per l’anno 2005, ma per gli stessi redditi in precedenza imputati all’anno 2004, in violazione del divieto di doppia imposizione.

2. La Commissione tributaria di primo grado di Trento rigettò il ricorso, escludendo che potesse configurarsi una doppia imposizione nel caso di emissione di un nuovo accertamento a seguito di annullamento in sede giurisdizionale, anche non definitivo, di un precedente atto impositivo e rilevando che i compensi derivanti dalla costituzione di un diritto di superficie attraverso un contratto a tempo determinato dovessero essere tassati come plusvalenza se percepiti da un soggetto esercente l’attività di impresa e come redditi diversi se, come nella specie, percepiti da persona fisica.

3. Interposto appello dal contribuente, che ribadì che l’avviso di accertamento difettava di motivazione e che era errata la qualificazione dei proventi percepiti a seguito della costituzione del diritto di superficie come redditi diversi ex art. 67, lett. l), del t.u.i.r., la Commissione tributaria regionale confermò la sentenza di primo grado.

Osservò, in primo luogo, che, in conformità all’indirizzo giurisprudenziale della Corte di cassazione (Cass., sez. 5, 21/04/2011, n. 9197), a fronte di un atto viziato e, come tale, annullato in sede giurisdizionale, seppure con decisione non definitiva, l’emissione, nell’esercizio del potere di sostituzione e di autotutela, di un nuovo avviso di accertamento non poteva che implicare la definitiva caducazione dell’avviso sostituito, attraverso la presa d’atto della sua illegittimità, con inevitabile impossibilità di interferenze con il divieto di doppia imposizione.

In secondo luogo, rilevò che si verteva in ipotesi di non tassabilità di plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costituiti da non più di cinque anni ex art. 67, lett. b), del t.u.i.r., ma piuttosto nell’ipotesi di proventi da iscriversi nella categoria di quelli “diversi” ex art. 67, lett. l), del t.u.i.r. perché derivanti esclusivamente dall’obbligo – fruttuoso per il contribuente – di non fare e permettere.

Respinse, infine, sia la doglianza riguardante la presunta errata quantificazione dell’imponibile tassabile, dato che non era ravvisabile una ipotesi di cessione a titolo oneroso di immobile, sia quella concernente l’applicazione delle sanzioni.

4. Contro la decisione d’appello M.D. ricorre per cassazione, con sette motivi. L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale del 9 marzo 2021 il contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

All’esito della camera di consiglio il Collegio ha disposto il rinvio della causa a nuovo ruolo in attesa della definizione del giudizio connesso iscritto al n. 24139/13 R.G..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo il contribuente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere il giudice di appello rilevato l’intervenuta violazione del divieto di doppia imposizione.

Evidenzia il ricorrente che costituisce circostanza documentale e pacifica che l’Ufficio ha emesso in data 22 ottobre 2008 l’avviso di accertamento per l’anno 2004, con il quale ha accertato il compenso percepito per la costituzione del diritto di superficie, in parte variabile per Euro 165.012,93 ed in parte fissa per Euro 2.401,52, e in data 3 novembre 2010 l’avviso di accertamento per l’anno 2005, con il quale ha accertato i medesimi compensi (fissi e variabili), sicché gli avvisi per gli anni 2004 e 2005 avevano ad oggetto i medesimi proventi, ossia lo stesso presupposto d’imposta; la doppia imposizione era stata originata da un errore di imputazione dell’Ufficio che aveva inizialmente accertato gli importi per l’anno 2004, facendo ricorso al criterio di imputazione per competenza, e successivamente aveva emesso l’atto impositivo per il 2005 accertando le medesime somme secondo il criterio di cassa. Poiché l’avviso per il 2004 non era stato ancora rimosso dall’ordinamento, essendo il relativo giudizio ancora pendente davanti alla Corte di cassazione (ed iscritto al n. 24139/13 R.G.) e non avendo l’Ufficio affatto rinunciato a tale atto, sussiste il pericolo concreto di una doppia imposizione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo che la Commissione di secondo grado ha implicitamente rigettato la censura relativa alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione dell’avviso di accertamento, denuncia che la sentenza è viziata sotto un duplice profilo: 1) per violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 2) per insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Precisa, al riguardo, che l’Amministrazione finanziaria in sede di emissione dell’atto impositivo non aveva fornito alcuna puntuale indicazione in ordine alle disposizioni che legittimavano il prelievo fiscale, tanto che sin dal primo grado di giudizio aveva impugnato l’atto perché carente di adeguata motivazione. I giudici di appello avevano omesso di statuire sul punto, incorrendo sia nella violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 sia nel vizio di motivazione, per non avere esposto l’iter logico seguito per disattendere la censura.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce che i giudici di secondo grado avrebbero erroneamente riqualificato i fatti posti a fondamento dell’avviso in assenza di contestazioni sul punto, incorrendo sia nel vizio di ultrapetizione che in una errata valutazione delle prove, in violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Evidenzia il ricorrente che, benché la qualificazione del contratto di cessione del diritto di superficie in termini di “contratto costitutivo di una proprietà separata” fosse stata condivisa dall’Ufficio, i giudici di appello avevano ritenuto di dover procedere ad una riqualificazione dello stesso contratto, negando la sua natura di contratto produttivo di effetti reali e riqualificando l’atto alla stregua di una “locazione (temporanea) dell’impianto di distribuzione di carburanti” avente ad oggetto una “concessione (…) di tipo personale (e non reale)”.

4. Con il quarto motivo il contribuente censura la decisione gravata per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici di appello inquadrato tra i “redditi da locazione” gli importi dallo stesso percepiti in conseguenza della costituzione di una “proprietà separata” ex art. 952 c.c., comma 2, e art. 953 c.c..

Lamenta, in particolare, che i giudici di merito, partendo dal presupposto che il contratto datato 10 settembre 1999 aveva per oggetto non l’attribuzione di un diritto reale di superficie, bensì la concessione, di contenuto strettamente personale, che dava origine ad un diritto del pari personale, avevano erroneamente concluso che i proventi in contestazione dovessero essere iscritti nella categoria di quelli diversi ex art. 67, lett. l), del t.u.i.r. giacché derivanti dall’obbligo di non fare e permettere.

5. Con il quinto motivo, sostenendo che la Commissione di secondo grado aveva omesso di rilevare che lo stesso Ufficio procedente aveva già qualificato il contratto di superficie come un atto di concessione di diritti reali di godimento, deduce che la sentenza è in parte qua viziata per omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). La C.T.R., secondo il ricorrente, ha omesso di tenere conto che, prima dell’emissione dell’avviso impugnato, l’Agenzia delle entrate aveva qualificato il contratto di superficie del 10 settembre 1999 in termini di “contratto di costituzione di un diritto reale di godimento” e, con avviso di rettifica e liquidazione emesso ai fini Invim, registro ed ipotecaria, nel 2001 aveva accertato un maggior valore del diritto di superficie, applicando le aliquote proporzionali previste per le cessioni immobiliari e la concessione di diritti reali; di conseguenza, i giudici di merito avrebbero dovuto rilevare che l’Ufficio si era già espresso sulla qualificazione dell’accordo come contratto costitutivo di un diritto reale.

6. Con il sesto motivo, censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 2, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno disatteso la richiesta di disapplicazione delle sanzioni per la sussistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa in esame e lamenta che la Commissione di secondo grado non abbia riconosciuto il requisito dell’incertezza normativa.

7. Con il settimo motivo il contribuente deduce che la Commissione di secondo grado ha rigettato, in assenza di adeguata motivazione, la censura relativa alla errata determinazione del quantum sanzionabile, cosicché la sentenza gravata risulta viziata sia per motivazione apparente che per violazione di legge.

8. Il quarto motivo, che deve essere scrutinato con priorità perché assorbente, è fondato e va accolto.

8.1. Non è contestato che il M., proprietario di un terreno, acquistato nel 1969, ha edificato, nel medesimo anno, un impianto di distribuzione di carburanti e, con contratto del 10 settembre 1999, ha concesso, per un tempo determinato, alla M. s.r.l. il diritto di superficie ex art. 952 c.c., comma 2, pattuendo un compenso, parte in forma fissa e parte in forma variabile, commisurata alla quantità di carburante venduto dallo stesso distributore.

8.2. Nell’avviso impugnato l’Ufficio finanziario ha ripreso a tassazione tali proventi sul presupposto che si trattasse di “Redditi diversi da indicare nel quadro RL della dichiarazione dei redditi…” e nel corso del giudizio di merito ha precisato che si trattava di redditi conseguenti ad “obbligazioni di fare, non fare o permettere” di cui all’art. 67, lett. l), del t.u.i.r., posto che il contratto del 10 settembre 1999 sarebbe “…un contratto a prestazioni corrispettive, ove il concedente è tenuto ad un comportamento negativo consistente nel non ostacolare lo svolgimento dell’attività da parte del superficiario, il quale, come contropartita, sarà tenuto al pagamento di un corrispettivo per la concessione del diritto di superficie”.

8.3. In base alla disposizione recata dall’art. 952 c.c., il proprietario del fondo può costituire il diritto di fare e mantenere al di sopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà. La peculiarità del diritto di superficie è quella di mantenere distinta la proprietà della costruzione dalla proprietà del suolo.

8.4. Con riguardo al trattamento tributario da applicare ai fini delle imposte sui redditi al corrispettivo conseguito dalla cessione a titolo oneroso di un diritto di superficie, come chiarito da questa Corte già con la sentenza n. 15333 del 4 luglio 2014, va richiamato anzitutto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, l’art. 9, comma 5, nel quale si stabilisce che le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso si applicano anche nei confronti degli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento.

8.5. Essendo il diritto di superficie un diritto reale, è pienamente applicabile l’art. 9, comma 5, del t.u.i.r., implicante l’equiparazione della disciplina fiscale relativa alle cessioni a titolo oneroso della piena proprietà degli immobili agli atti che importano la costituzione o il trasferimento di diritti reali di godimento. Con la conseguenza che, per la persona fisica, il corrispettivo derivante dalla cessione del diritto di superficie costituisce reddito diverso ex art. 81, comma 1, lett. b), vecchia numerazione, oggi art. 67, del t.u.i.r., qualora si tratti di area fabbricabile (dovendo in tal caso essere tassata la differenza tra il costo, rivalutato e maggiorato delle spese, ed il prezzo di vendita). In caso di terreno agricolo, invece, non è consentita tassazione, salvo che non siano trascorsi almeno cinque anni dall’acquisto.

8.6. Si è altresì precisato che il reddito afferente tale corrispettivo non può essere inquadrato tra quelli derivanti dall’assunzione di obblighi di permettere di cui alla lett. I) dell’art. 81 (ora 67) del t.u.i.r., in quanto, da un lato, la generale equiparazione del trasferimento di un diritto reale di godimento al trasferimento del diritto di proprietà, correlata all’art. 9, comma 5, del t.u.i.r., non consente, neanche, l’applicazione dell’art. 67, lett. l) del t.u.i.r. in relazione all’obbligo di permettere (concedere a terzi l’utilizzo del terreno), e, dall’altro lato, i redditi determinati dall’assunzione di obblighi, cui fa riferimento tale ultima disposizione, vanno ricollegati specificatamente a diritti personali, piuttosto che a diritti reali. E, nel caso di diritto di superficie, si è indiscutibilmente in presenza di diritti reali (Cass., sez. 5, 4/07/2014, n. 15333).

8.7. Questa Corte è tornata successivamente a pronunciarsi sulla tassazione dei proventi derivanti dalla costituzione di diritti reali di godimento, ribadendo l’applicazione combinata dell’art. 67, comma 1, lett. b), e art. 9, comma 5, del t.u.i.r. (Cass., sez. 6-5, 7/06/2018, n. 14847 intervenuta in fattispecie in cui si discuteva della tassazione di somme percepite da persona fisica per la superficie concessa su terreno agricolo e tassate dall’Erario quali obblighi di “permettere” ex art. 67, lett. l), del t.u.i.r.; Cass., sez. 6-5, 18/10/2018, n. 26143 in fattispecie di tassazione di somme percepite per la superficie concessa su terreno agricolo; Cass., sez. 5, 4/12/2019, n. 31642, intervenuta in fattispecie di cessione del diritto di sfruttamento di una cava marmifera (assimilato ad una cessione di usufrutto ex art. 67, lett. h), del t.u.i.r.), con cui si è precisato che “tutte le ulteriori ipotesi di cessione o di costituzione a titolo oneroso degli altri diritti reali e, quindi, anche la costituzione del diritto di usufrutto, sono disciplinate, in materia tributaria, dall’art. 9, comma 5, del t.u.i.r.; in tal caso le plusvalenze maturate in relazione a tali fattispecie sono regolate, al pari delle cessioni a titolo oneroso, dall’art. 67, lett. a) e b) del t.u.i.r.”).

8.8. La combinata applicazione dell’art. 9, comma 5, e art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r. al caso in esame, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale sopra richiamato, porta a qualificare le somme oggetto di accertamento nei termini di plusvalenze immobiliari, ma non assoggettabili a tassazione, in quanto maturate oltre il limite temporale del quinquennio dall’acquisto o dalla costruzione previsto dal citato art. 67, lett. b), del t.u.i.r..

8.9. L’Agenzia delle entrate, in controricorso, ha sostenuto che “l’equiparazione prevista dal citato art. 9, comma 5, del t.u.i.r. può operare esclusivamente qualora vengano posti a confronto due valori omogenei in altri termini, il corrispettivo percepito a seguito della concessione del diritto di superficie può essere correttamente inquadrato nella fattispecie delineata all’art. 67, comma 1, lett. b), del t.u.i.r., esclusivamente nell’ipotesi in cui il medesimo diritto reale sia stato, in precedenza, acquistato a titolo oneroso”.

La distinzione, richiamata dalla difesa erariale, fondata sul titolo di acquisto – gratuito o oneroso – del diritto reale di godimento, non trova riscontro nel testo di legge e non si pone in linea con gli stessi documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria.

Invero, di recente, con la circolare n. 6/E del 2018 l’Agenzia delle entrate, tenuto conto dell’orientamento espresso dalla sentenza n. 15333 del 2014 di questa Corte, ha affermato che devono intendersi ormai superati i chiarimenti in precedenza resi con la circolare n. 36/E del 19 dicembre 2013 – che precisava che il trattamento fiscale di tali corrispettivi si differenziava in base alle modalità di acquisizione del diritto reale di superficie – ed ha affermato che la formulazione generica dell’art. 9, comma 5, del t.u.i.r. consente di ritenere che l’equiparazione effettuata dalla norma debba operare indistintamente ogni volta in cui si configuri la costituzione o la cessione, a titolo oneroso, di diritti reali di godimento e, nel caso specifico, del diritto di superficie e, di conseguenza, che “alla costituzione ed alla cessione di diritti reali di superficie deve essere comunque applicata la normativa prevista per le cessioni a titolo oneroso e, in particolare, quella contenuta negli artt. 67 e 68 del t.u.i.r.”.

9. La fondatezza del quarto motivo esime il Collegio dallo scrutinio degli altri motivi di ricorso, che rimangono assorbiti.

10. In conclusione, va accolto il quarto motivo, assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, considerato che, in difetto del presupposto impositivo, ogni altra questione prospettata deve ritenersi superata, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con l’accoglimento dell’originario ricorso del contribuente.

Le spese delle fasi del giudizio di merito, avuto riguardo all’andamento del giudizio, possono essere integralmente compensate tra le parti.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

accoglie il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti motivi del ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di merito.

Condanna la controricorrente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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