Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6621 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. I, 18/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 18/03/2010), n.6621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14772008 proposto da:

E.V.B. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (c.f. (OMISSIS)), in persona del

Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ASIAGO 8, presso l’avvocato VILLANI LUDOVICO, rappresentata e difesa

dall’avvocato ACHILLI Massimo, giusta procura a margine del ricorso,

e al 31/12/09 con memoria di costituzione subentra il FALLIMENTO

E.V.B., con gli stessi difensori, come da autorizzazione del G.D. in

data 19/11/98, depositata il 7/1/10;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO TORNADO GEST S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona dei

Curatori Dott.ssa P.E., Dott. O.M., Rag.

G.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CONDOTTI

91, presso l’avvocato PAPPALARDO Marisa, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MOLINARI FRANCESCO, giusta procura a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MONZA, depositato il 05/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato LUDOVICO VILLANI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Monza in data 16 luglio 2007, E.V.B. s.r.l. propose opposizione allo stato passivo del Fallimento Tornado Gest s.r.l., con il quale era stata decretata la parziale esclusione dei crediti vantati dall’opponente nei confronti della società fallita. In particolare, era stato escluso il credito portato da effetti cambiari, per la mancata produzione degli effetti.

L’opponente sostenne che i titoli erano stati girati a creditori della stessa esponente, e che tuttavia la prova del credito era offerta da altra documentazione, consistente nel contratto d’appalto stipulato tra le parti il (OMISSIS), dagli avvisi di fattura, da una dichiarazione di riconoscimento di debito rilasciata dalla società poi fallita il (OMISSIS), e da un accordo di dilazione raggiunto il (OMISSIS). Di tali documenti, gli ultimi due erano stati allegati ad un ricorso per decreto ingiuntivo depositato presso il tribunale di Breno il 29 marzo 2006.

La curatela resistette all’opposizione.

Con decreto depositato il 5 dicembre 2007, il tribunale respinse l’opposizione, osservando che la produzione degli effetti cambiari era imposta dal R.D. 14 dicembre 1933, n. 166, art. 66 e R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 58; che, in mancanza, il credito sarebbe stato ammissibile con riserva della successiva produzione; che tuttavia nella fattispecie neppure tale ammissione con riserva sarebbe stata consentita, avendo la ricorrente ammesso l’impossibilità della produzione degli effetti, per averli girati a terzi; che i documenti prodotti non avevano data certa, perchè nel ricorso per decreto ingiuntivo allegato erano state espressamente escluse le cambiali in questione, peraltro neppure in quella sede prodotte anche soltanto in copia; che inammissibile era la produzione in sede di opposizione delle copie di dieci effetti cambiari non prodotti in sede di ricorso per insinuazione al passivo; che in ogni caso non era stata offerta la prova nè della riferibilità delle cambiali in questione al rapporto dedotto, nè della quantificazione del credito, perchè l’espressa esclusione del credito oggetto di promessa cambiaria dall’ambito della domanda aveva comportato l’esclusione della cognizione del giudice del monitorio in ordine all’an e al quantum del credito portato dagli effetti, e la limitazione della pronuncia alla residua parte del rapporto.

Per la cassazione del decreto ricorre l’E.V.B. s.r.l. con atto notificato il giorno 11 gennaio 2008, per tre motivi.

Successivamente, dichiarato il fallimento della società ricorrente, per essa si è costituito il curatore fallimentare.

Il fallimento resiste con controricorso notificato in data 11 febbraio 2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso si censura il decreto impugnato, per violazione degli artt. 2702 e 2704 c.c., nel punto in cui ha ritenuto privi di data certa, e pertanto inopponibili al fallimento, i due documenti (contratto di appalto, e riconoscimento di debito della società Tornado Gest) allegati al ricorso per decreto ingiuntivo depositato prima della dichiarazione di fallimento. Il quesito di diritto formulato in conclusione verte sull’idoneità del deposito presso la cancelleria del tribunale ad attribuire data certa ai documenti in questione.

Con il secondo motivo si censura, per violazione del R.D. n. 267 del 1942, artt. 96 e 98, l’impugnato decreto nel punto in cui ha dichiarato inopponibili al Fallimento i medesimi documenti prodotti dalla società ricorrente, sebbene essi – diversamente dalle copie degli effetti cambiar – non fossero stati contestati o disconosciuti dal fallimento. Il quesito di diritto conclusivo verte sulla legittimità del giudizio di irrilevanza ed inopponibilità di documenti non contestati nè disconosciuti dalla parte contro la quale sono stati prodotti.

I due motivi sono inammissibili. Nel decreto di esecutività dello stato passivo il credito vantato dalla ricorrente, e basato sui due titoli di cui al motivo, non era stato escluso del tutto, ma solo limitatamente alla parte corrispondente ai titoli cambiari. La decisione era stata motivata con l’argomento che i titoli medesimi non erano stati prodotti, e, in base alle allegazioni della stessa parte creditrice, non potevano esserlo, perchè girati a terzi; e che la produzione era richiesta anche nel caso che il credito fosse fatto valere con l’azione causale. Ne deriva che non potevano avere valore decisivo, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, i due documenti indicati in ricorso, se non per la parte non coperta dai titoli cambiari, per la quale tuttavia il credito era stato ammesso al passivo. Rispetto alla ratio decidendi, la discussione sulla data certa dei due titoli in questione è dunque ininfluente, perchè la validità della tesi sostenuta dalla ricorrente non potrebbe portare a cassare la sentenza, restando immune da censure la decisione di rifiutare l’ammissione al passivo dì crediti per i quali erano stati emessi effetti cambiari non prodotti in giudizio.

Con il terzo motivo si censura, per violazione del R.D. n. 267 del 1942, art. 99, come modificato dal D.Lgs. n. 5 del 2006, l’affermazione, nell’impugnato decreto, dell’inammissibilità della produzione di documenti nuovi nel giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimentare, sebbene la norma invocata consenta espressamente l’autorizzazione del giudice alla produzione di nuovi documenti. Il quesito conclusivo verte sulla legittimità della dichiarazione d’inammissibilità della produzione, nel giudizio di opposizione allo stato passivo, di documenti nuovi rispetto a quelli prodotti con l’istanza d’ammissione al passivo fallimentare in assenza di specifico diniego di autorizzazione da parte del giudice a norma della L. Fall., art. 99, e sui limiti delle nuove produzioni documentali in sede di opposizione allo stato passivo.

Occorre premettere che, a seguito della Novella D.Lgs. n. 5 del 2006, il procedimento di opposizione al passivo, disciplinato nell’art. 99, legge fallimentare, si svolge come impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo, che abbia in tutto o in parte respinto le richieste del creditore ricorrente. Il giudizio è introdotto con un ricorso che deve contenere, tra l’altro, l’indicazione specifica a pena di decadenza, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti (L. Fall., nuovo testo art. 99, comma 2, n. 4). I documenti prodotti, in particolare, possono essere anche nuovi, vale a dire non prodotti nel giudizio di verifica del passivo (cfr. Cass. 11 settembre 2009 n. 19697), purchè riferibili alla domanda in quella sede originariamente proposta; e quest’ultima verifica è compiuta d’ufficio dal tribunale, come in qualsiasi giudizio ordinario, e come è d’altra parte desumibile dalla previsione del giudizio di ammissibilità delle prove, nel comma settimo della disposizione citata, secondo il testo stabilito originariamente dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, applicabile ratione temporis alla fattispecie (comma nono nel testo stabilito dal successivo decreto correttivo, D.Lgs. 12 settembre 2007 n. 169).

La specifica comminatoria di decadenza, contenuta nella cit. L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, comporta che nel corso del giudizio di opposizione il ricorrente non possa produrre altri documenti, diversi da quelli prodotti con il ricorso in opposizione e ammessi dal tribunale.

Vero è che il comma ottavo della stessa disposizione (L. fall., art. 99, nel testo stabilito dalla Novella n. 5 del 2006) prevedeva che il tribunale, se necessario, potesse assumere informazioni anche d’ufficio, e potesse autorizzare la produzione di ulteriori documenti, evidentemente diversi da quelli già ammessi o in ogni caso prodotti in precedenza, e quindi anche con il ricorso in opposizione. In tal modo, al tribunale erano stati conservati (prima del successivo intervento del legislatore, attuato con il D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) dei poteri d’ufficio, propri del giudizio camerale disciplinato dall’art. 738 c.p.c..

E’ a questa speciale previsione che il mezzo d’impugnazione fa riferimento, laddove invoca la possibilità di un’autorizzazione del tribunale alla produzione di ulteriori documenti nel giudizio di opposizione al passivo, in effetti prevista dalla norma nonostante l’intervenuta decadenza (che qui è presupposta dalla parte, come deve ritenersi in ragione del quesito, nonostante l’insufficiente esposizione del fatto processuale in ordine al momento della produzione); ed in relazione a queste facoltà, appunto, il resistente fallimento obietta che l’autorizzazione in questione non era stata neppure chiesta dalla parte, e che la mancanza di autorizzazione non può valere quale autorizzazione implicita.

Quei poteri ufficiosi, tuttavia, devono essere intesi in coerenza con la diversa collocazione assunta in un giudizio fondamentalmente improntato, a differenza di quanto avveniva prima della Novella n. 5 del 2006, al principio dispositivo, e basato quindi sulle regole dell’onere della prova. La produzione di ulteriori documenti, pertanto, è giustificata, se si tratti di documenti ritenuti dal tribunale indispensabili alla decisione, oppure in ragione della precedente provata impossibilità di produrli, secondo un principio generale che trova applicazione anche nel giudizio di appello.

L’autorizzazione del tribunale non può invece essere invocata dalla parte per supplire alla decadenza in cui sia incorsa con il suo precedente comportamento omissivo; sicchè il mancato esercizio di quel potere d’ufficio, seguito dal decreto che definisce il giudizio, dimostrando che l’uso di esso non era indispensabile alla decisione, non è di regola sindacabile in sede di legittimità.

Nel caso portato all’esame della corte, non soltanto non si allega di aver chiesto al tribunale l’autorizzazione a produrre quegli ulteriori documenti, ma non si espongono neppure le ragioni per le quali i documenti in questione non erano stati in precedenza proposti.

In conclusione, il mezzo deve essere rigettato in forza del seguente principio di diritto:

Secondo la disciplina introdotta dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nel giudizio d’impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo, fondamentalmente improntato al principio dispositivo, e basato sulle regole dell’onere della prova, il potere del tribunale fallimentare di autorizzare la produzione di ulteriori documenti, diversi da quelli prodotti con il ricorso in opposizione, secondo quanto previsto dalla L. Fall., art. 99, comma 8, nel testo stabilito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, anteriormente alle modifiche apportate dal D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, art. 6, comma 4, è funzionale alla loro eventuale indispensabilità per la decisione, e può trovare giustificazione nella precedente provata impossibilità di produrli, ma non può essere invocato dalla parte per supplire alla decadenza in cui sia incorsa con il suo precedente comportamento omissivo; sicchè il suo mancato esercizio, seguito dal decreto che definisce il giudizio, dimostrando che l’uso di esso non era indispensabile alla decisione, non è di regola sindacabile in sede di legittimità.

Al rigetto del ricorso segue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

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