Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6621 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 01/03/2022), n.6621

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24139/13 R.G. proposto da:

M.D., rappresentato e difeso, come da procura a margine del

ricorso, dall’avv. Dario Stevanato e dall’avv. Claudio Lucisano, con

domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via

Crescenzio, n. 91;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di secondo

grado di Trento n. 34/02/13 depositata in data 17 aprile 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 gennaio

2022 dal Consigliere Dott.ssa Pasqualina Anna Piera Condello.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. M.D. impugnò due avvisi di accertamento emessi ai fini del recupero di maggiore Irpef in relazione alle annualità 2003 e 2004.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, i redditi erano emersi in sede di verifica fiscale della M. s.r.l. (partecipata al 50 per cento dallo stesso M.D.), società esercente la vendita di carburanti, a favore della quale il contribuente, con rogito del 10 settembre 1999, aveva costituito sino al giorno 11 agosto 2011 un diritto di superficie sulla particella di terreno, di cui era proprietario, sulla quale insisteva un impianto di distribuzione di carburante.

In particolare, il contratto prevedeva quale prezzo della costituzione del diritto di superficie una somma fissa, pari a lire 60.450.000, già versata quanto a lire 4.650.000 e nel resto da pagare in dodici rate annuali dal 2000 al 2011, nonché una somma variabile, commisurata a lire 35 al litro per la quota di carburante venduto eccedente la quantità di 500.000 litri per ciascun anno solare fino al 31 dicembre 2002 e a lire 65 al litro per gli anni solari successivi, dal 1 gennaio 2003 al 18 agosto 2011, con pagamento periodico sulla base di rendiconti eseguiti al 31 dicembre di ogni anno e con rendiconto finale all’11 agosto 2011.

L’Amministrazione finanziaria aveva contestato il mancato assoggettamento a tassazione dei proventi percepiti dal M. per la concessione del diritto di superficie, sostenendo che costituissero redditi diversi ex art. 67 (già art. 81) del t.u.i.r., non dichiarati ai fini Irpef, comprensivi della parte fissa e di quella variabile.

2. L’adita Commissione tributaria di primo grado di Trento accolse il ricorso, motivando che i compensi erano stati percepiti dal M., in esecuzione della clausola contrattuale che prevedeva rendiconti periodici delle somme dovute dalla società, negli anni immediatamente successivi a quelli cui si riferivano i rendiconti, e che l’Ufficio aveva sottoposto ad imposizione redditi presunti mai percepiti dal contribuente negli anni oggetto di contestazione, “in violazione del principio di imputazione dei redditi previsti per la categoria dei redditi diversi, che si fonda sul criterio di cassa e non su quello di competenza”; quindi, dichiarò l’illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati “relativamente al maggior reddito accertato e derivante dai proventi conseguiti a titolo di compenso variabile, con assorbimento di ogni altra questione sollevata”.

3. Proposto appello principale dal M. – il quale lamentò l’omessa pronuncia sui motivi di impugnazione dedotti in via pregiudiziale e principale, nonché omessa motivazione sul loro (implicito) rigetto, con conseguente pregiudizio derivante dal parziale accoglimento del ricorso, che implicava l’assoggettabilità dei proventi ad Irpef, ancorché con imputazione a diversa annualità, e lo esponeva a nuovi avvisi di accertamento, come era già avvenuto riguardo al nuovo avviso di accertamento relativo all’anno 2005 – ed appello incidentale dall’Agenzia delle entrate, nella parte in cui i giudici di primo grado non avevano dichiarato che i compensi percepiti nell’anno 2004 erano imponibili nello stesso anno, la Commissione tributaria regionale dichiarò cessata la materia del contendere quanto all’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, rigettò l’appello incidentale e dichiarò, nel resto, inammissibile l’appello principale per difetto di interesse.

Osservò, con riferimento all’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004, che:

a) dopo la pronuncia della sentenza di primo grado l’Ufficio aveva provveduto a notificare, nel rispetto dei termini di decadenza, un nuovo avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005, imputando a questo i compensi tassati nell’anno 2004 con uno degli avvisi di accertamento annullati dal primo giudice, e l’avviso per il 2005 era stato impugnato dal M. dinanzi alla Commissione di primo grado, che, con sentenza del 25 luglio 2012, aveva rigettato il ricorso;

b) la sostituzione dell’avviso annullato, seppure con sentenza non definitiva, aveva determinato in parte qua la cessazione della materia del contendere, come ritenuto dalla sentenza della Corte di Cassazione del 21 aprile 2011, n. 9197, che, pronunciandosi in un caso di sostituzione dell’atto impositivo da parte dell’Ufficio, dopo il suo annullamento giudiziale non ancora passato in giudicato, aveva osservato che l’emissione, nel potere di sostituzione, di un nuovo avviso di accertamento in luogo di uno precedente, illegittimo e annullato in sede giurisdizionale (seppure con decisione non definitiva), non poteva che implicare la definitiva caducazione dell’avviso sostituito, escludendo al contempo che potessero paventarsi indebite interferenze con il divieto di plurima imposizione sancito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 dal momento che, quand’anche coltivato, il giudizio relativo al primo avviso non poteva che sfociare in una declaratoria di cessazione della materia del contendere, essendo venuto meno, con la sostituzione, ogni interesse ad una decisione relativa ad un atto (il primo avviso) ormai deprivato di ogni portata impositiva, concentratasi, per effetto della sostituzione, nell’avviso che lo aveva rimpiazzato;

c) nella specie, si era verificato, con riguardo all’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, quanto rilevato dalla Corte di Cassazione, avendo l’Ufficio preso atto della sua illegittimità, a seguito dell’annullamento pronunciato per violazione del principio di imputazione dei redditi diversi secondo il criterio di cassa anziché di competenza, ed esercitato il potere di sostituzione, con la notifica di un nuovo avviso di accertamento, in cui aveva imputato all’anno d’imposta 2005 il reddito erroneamente imputato all’anno 2004 con l’avviso sostituito; il che aveva comportato la conseguente definitiva caducazione dell’avviso sostituito e la cessazione della materia del contendere limitatamente all’avviso di accertamento relativo all’anno 2004, non sussistendo alcun interesse del contribuente ad una decisione riguardante un atto ormai privato della sua portata impositiva.

Quanto all’impugnazione dell’avviso di accertamento relativo all’anno 2003, osservò che:

a) doveva preliminarmente accertarsi se sussistesse l’interesse del contribuente alla decisione sull’appello, considerato che aveva impugnato una sentenza di accoglimento del ricorso introduttivo e che l’Ufficio, con l’appello incidentale, chiedeva di riformare parzialmente la sentenza, dando attuazione al principio di cassa;

d) la ragione della mancata sostituzione dell’avviso di accertamento risiedeva nella presa d’atto dell’Amministrazione circa l’intervenuta decadenza quinquennale D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 2, per cui l’interesse del contribuente ad una decisione d’appello che accogliesse i motivi non esaminati dal primo giudice, diretti all’accertamento di un vizio di motivazione dell’avviso o dell’irrilevanza ai fini Irpef dei proventi in oggetto, sussisteva nella sola misura in cui si fosse ritenuto accoglibile l’appello incidentale, perché, altrimenti, una volta caducato l’avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2003, il contribuente non avrebbe potuto ottenere dall’accoglimento dell’appello alcun risultato utile;

c) l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate era infondato; invocando il potere-dovere del giudice di pronunciare anche nel merito del rapporto tributario, l’Amministrazione finanziaria lamentava che la Commissione di primo grado, oltre ad accertare la nullità dell’avviso di accertamento per l’anno 2003 per violazione del principio di imputazione del reddito per cassa, avrebbe anche dovuto statuire, in applicazione del medesimo principio, che i redditi percepiti dal M. nell’anno 2004 erano assoggettati ad imposizione riferita allo stesso anno; così facendo, tuttavia, la Commissione non avrebbe sostituito la propria valutazione a quella dell’Amministrazione nell’ambito dello stesso accertamento d’imposta, ma si sarebbe sostituita all’Amministrazione nell’emettere un nuovo atto impositivo, riferito ad un diverso periodo d’imposta – potere che non rientrava nella cognizione di impugnazione-merito attribuita al giudice quando l’atto impugnato fosse invalido per motivi non formali e diversi dal vizio di motivazione – aggirando la decadenza già maturata e violando il principio di autonomia dei periodi di imposta;

d) all’infondatezza dell’appello incidentale conseguiva l’inammissibilità dell’appello principale, per difetto di interesse alla decisione.

4. Avverso la suddetta decisione M.D. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate mediante controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale dell’11 marzo 2021 il contribuente ha depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

All’esito della camera di consiglio il Collegio, con ordinanza resa in pari data, dando atto della pendenza di altro ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento emesso dall’Ufficio finanziario per l’anno d’imposta 2005 (iscritto al n. 23208/15 R.G.), ha disposto il rinvio a nuovo ruolo ai fini della trattazione congiunta dei ricorsi.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con l’unico motivo di ricorso il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., artt. 100 e 339 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 46 e art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Evidenzia che nel ricorso di primo grado aveva chiesto, in via principale, l’annullamento integrale degli avvisi impugnati, stante la non tassabilità ex art. 67, lett. b), del t.u.i.r. dei compensi incassati quali plusvalenze immobiliari realizzate oltre il quinquennio ed ex art. 67, lett. l), non trattandosi di corrispettivi ricevuti per obbligazioni di fare, non fare o permettere; aveva, inoltre, proposto altre domande in via pregiudiziale e subordinata.

La Commissione di primo grado aveva integralmente rigettato, sia pure implicitamente, l’eccezione di non tassabilità dei compensi percepiti, atteso che l’accoglimento del motivo di illegittimità degli avvisi di accertamento relativo all’errata imputazione temporale dei proventi, avanzato in via subordinata, dava per presupposta la tassabilità di tali somme; per tale motivo, aveva proposto appello, sottoponendo al riesame del giudice del gravame tutte le eccezioni rigettate implicitamente e dichiarate assorbite dal giudice di primo grado. L’interesse alla riforma della sentenza di primo grado sul punto era evidente, considerato che l’accoglimento della domanda principale avrebbe condotto ad una statuizione di non tassabilità dei compensi suscettibile, una volta divenuta definitiva, di acquisire autorità di cosa giudicata per tutti i periodi di imposta successivi (ossia anche per le annualità 2005, 2006 e 2007), grazie ai riflessi del giudicato favorevole.

La Commissione di secondo grado, con la decisione impugnata, aveva invece interpretato la sentenza di primo grado come di accoglimento totale del ricorso incardinato dal contribuente ed aveva erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione per carenza di interesse in relazione all’avviso per l’anno 2003 e per cessazione della materia del contendere in relazione all’avviso emesso per l’anno 2004.

Soggiunge il ricorrente che le medesime considerazioni valgono anche in merito alla pronuncia di cessazione della materia del contendere emessa per l’anno 2004, atteso che la pronuncia del giudice d’appello si fonda sul presupposto della “definitiva caducazione dell’avviso sostituito”, che è errato poiché permane il presupposto di imposta in relazione al compenso fisso, avendo il nuovo avviso “traslato” la pretesa nell’annualità 2005 solo per quanto riguarda il compenso variabile.

2. Il ricorso è fondato nei limiti che di seguito si espongono.

2.1. Con la sentenza n. 59/4/10 la Commissione tributaria di primo grado di Trento, come pacificamente emerge dallo stralcio della decisione ritrascritta dallo stesso contribuente nel ricorso per cassazione, ha dichiarato l’illegittimità degli avvisi di accertamento “relativamente al maggior reddito accertato e derivante dai proventi conseguiti a titolo di compenso variabile” – perché accertati in violazione del principio di imputazione dei redditi – ritenendo assorbita ogni altra questione sollevata.

Il giudice d’appello, dando atto che in data successiva alla pronuncia di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva provveduto a notificare, nel rispetto dei termini di decadenza, un nuovo avviso di accertamento per l’anno d’imposta 2005, imputando ad esso i compensi tassati nell’anno 2004 con uno degli avvisi di accertamento annullati dal primo giudice, ha ritenuto che la intervenuta sostituzione dell’avviso di accertamento annullato abbia determinato la cessazione della materia del contendere limitatamente all’impugnazione concernente l’avviso di accertamento relativo all’anno 2004.

2.2. La conclusione a cui è pervenuta la Commissione tributaria di secondo grado è conforme alla giurisprudenza di questa Corte di legittimità.

Del D.L. n. 564 del 1994, l’art. 2-quater convertito dalla L. n. 656 del 1994, attribuisce agli organi dell’Amministrazione finanziaria il potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati, e, per l’attuazione, il D.M. n. 37 del 1997, art. 2, comma 2, con una elencazione non esaustiva, stabilisce poi che l’annullamento d’ufficio è precluso in relazione ai motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria.

Sul piano generale, è necessario che l’esercizio di tale potere trovi giustificazione in ragioni di rilevante interesse generale, sicché non è a tal fine sufficiente l’interesse al mero ripristino della legalità violata, ma occorre piuttosto l’interesse pubblico a reperire entrate fiscali legalmente accertate (Cass., sez. 5, 20/11/2015, n. 23765).

Questa Corte, sul punto, ha precisato (Cass., sez. 5, 19/03/2014, n. 6398) che il potere di autotutela in ambito fiscale va riguardato in un’ottica protesa a salvaguardare il soddisfacimento dell’interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legalmente accertate. Se, dunque, non pare potersi revocare in dubbio che a monte dell’azione amministrativa tributaria vi è l’esigenza di incamerare i mezzi finanziari nell’ambito delle prerogative e nei limiti stabiliti dalla legge, analoga esigenza non può che governare anche l’esercizio dei poteri di autotutela, nell’ambito dei quali potrà peraltro essere pienamente realizzato anche l’interesse del contribuente a non subire una tassazione superiore a quella prevista dalla legge e determinata secondo le norme che regolano l’accertamento tributario.

2.3. Con specifico riferimento alla autotutela cd. sostitutiva – che ricorre quando l’Amministrazione proceda, come nel caso in esame, ad annullare l’atto illegittimo ed a sostituirlo con un altro, di contenuto sostanzialmente identico, ma depurato dai vizi originari e che si differenzia dall’accertamento integrativo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 43, comma 3, che può essere emesso solo in presenza di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi – si è più volte affermato che essa trova fondamento nel “principio di perennità della potestà amministrativa” (Cass., sez. 5, 20/03/2019, n. 7751).

Dovendosi contemperare la tutela delle ragioni del contribuente e di quelle dell’Erario nella realizzazione del suo credito d’imposta, il relativo potere deve essere esercitato senza che lo stesso si risolva nella compressione dei diritti del contribuente (Cass., sez. 5, 26/03/2010, n. 7335; Cass., sez. 5, 8/07/2015, n. 14219; Cass., sez. 6-5, 17/06/2016, n. 12661) e deve essere esercitato entro il termine accordato per il compimento dell’atto stesso, e, dunque, sempre che non si siano verificate decadenze per l’attività di accertamento (in tal senso, Cass., sez. 5, 21/03/2018, n. 7033) o di riscossione.

L’emissione non può, inoltre, avere luogo in presenza di giudicato di merito formatosi sull’atto ritirato o sostituito.

2.4. Ciò posto, il giudice di appello ha, implicitamente, ritenuto che l’attività di sostituzione del primo avviso di accertamento per l’anno 2004 oggetto di annullamento, operata dall’Agenzia delle entrate con l’emissione di un nuovo avviso di accertamento per l’anno 2005, fosse del tutto legittima, essendo chiaramente stata effettuata per perseguire l’interesse pubblico alla utile riscossione delle imposte, essendo stato imputato all’anno d’imposta 2005 il reddito originariamente imputato all’anno 2004 con l’avviso sostituito.

Per effetto di tale sostituzione, a prescindere da ogni valutazione sulla fondatezza o meno delle doglianze fatte valere dal contribuente in giudizio e sull’eventuale errore nel quale era incorsa l’Amministrazione finanziaria, è venuto meno dal mondo giuridico l’avviso di accertamento annullato, ormai definitivamente rimosso, senza che ciò abbia comportato alcun vulnus per il diritto di difesa del contribuente.

Infatti, da una parte, lo stesso art. 2-quater citato prevede che il potere di ritiro o di sostituzione possa dispiegarsi anche in pendenza del giudizio sulla pretesa erariale, sicché da ciò discende l’inesistenza di alcun diritto del contribuente alla cristallizzazione della materia del contendere; dall’altro, rimosso con effetti ex tunc l’atto di accertamento illegittimo, il contribuente ben può impugnare, con pienezza di tutela, l’atto con il quale è stata nuovamente esercitata la pretesa fiscale, come è pacifico sia avvenuto nel caso in esame, stante la pendenza di autonomo giudizio promosso dal M. avverso l’avviso di accertamento per l’anno 2005.

La decisione impugnata si pone in linea con i principi enunciati da questa Corte, avendo la Commissione tributaria di secondo grado affermato che non si rinviene alcun interesse del contribuente ad una decisione “riguardante un atto ormai deprivato – parafrasando le parole della Cassazione (Cass., sez. 5, 21/04/2011, n. 9197) – di ogni portata impositiva, esclusivamente concentratasi, per la sostituzione, nell’avviso che lo ha rimpiazzato e che è stato autonomamente impugnato dinanzi al giudice tributario”.

Il ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe fondato il proprio convincimento sul presupposto della “definitiva caducazione dell’avviso sostituito” che risulta errato “stante il permanere del presupposto di imposta in relazione al compenso fisso, avendo il nuovo avviso “traslato” la pretesa nell’annualità 2005 solo per quanto riguarda il compenso variabile” (pag. 22 del ricorso per cassazione), ma tale assunto non è condivisibile, se si considera, come accertato dal giudice di merito, che l’Ufficio, dopo l’annullamento pronunciato per violazione del principio di imputazione dei redditi diversi secondo il criterio di cassa anziché di competenza, ha esercitato il potere di sostituzione, con la notifica del nuovo avviso di accertamento per l’anno 2005, imputando a tale anno il reddito inizialmente imputato per errore all’anno 2004 con l’avviso sostituito, comprensivo sia del compenso fisso che di quello variabile.

3. Sono, invece, fondate le censure rivolte alla sentenza gravata nella parte in cui dichiara l’inammissibilità dell’appello principale, per difetto di interesse, in relazione all’avviso di accertamento per l’anno 2003.

3.1. Il ricorrente imputa ai giudici d’appello di non avere compreso che la sentenza di primo grado era di accoglimento parziale, essendo stato il ricorso accolto soltanto in relazione all’erronea imputazione del maggior reddito accertato derivante dai proventi conseguiti a titolo di compenso variabile, ed evidenzia che sussisteva il suo interesse a promuovere un giudizio di impugnazione per ottenere la riforma della sentenza ed una decisione in merito alla quaestio iuris concernente la tassabilità dei proventi percepiti a titolo di canone per la cessione della proprietà separata di un impianto di distribuzione di carburanti di sua proprietà, attuata ex art. 952 c.c., comma 2.

3.2. Per consolidata giurisprudenza di legittimità, l’interesse all’impugnazione, quale manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire e la cui assenza è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento (Cass., sez. 2, 7/03/2002, n. 3330; Cass., sez. 2, 30/06/2006, n. 15084), deve essere individuato in un interesse giuridicamente tutelato, identificabile nella possibilità di conseguire una concreta utilità o un risultato giuridicamente apprezzabile, attraverso la rimozione della statuizione censurata, non prospettandosi, perciò, sufficiente al riguardo la configurabilità di un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica non suscettibile di produrre riflessi pratici sulla soluzione adottata (Cass., sez. U, 19/05/2008, n. 12637).

L’interesse ad impugnare, dunque, postula la soccombenza nel suo aspetto sostanziale, correlata al pregiudizio che la parte subisca a causa della decisione (Cass., sez. 2, 04/05/2012, n. 6770; Cass., sez. 2, 20/10/2016, n. 21304), e va apprezzato in relazione all’utilità giuridica che può derivare al proponente il gravame dall’eventuale suo accoglimento (Cass., sez. 1, 12/04/2013, n. 8934; Cass., sez. L, 11/07/2014, n. 16016; Cass., sez. 1, 11/09/2015, n. 17969).

3.3. Nel caso di specie, ricorrono i predetti presupposti.

Invero, il giudice di primo grado, nel dichiarare l’illegittimità dell’avviso di accertamento per l’anno 2003 limitatamente al maggior reddito accertato derivante dai proventi conseguiti a titolo di compenso variabile, sul presupposto che l’imposizione dovesse seguire il principio di cassa e non quello di competenza, e dichiarando contestualmente “assorbita ogni altra questione sollevata”, ha implicitamente ritenuto la tassabilità dei proventi fissi.

Il contribuente e’, quindi, risultato soccombente in senso sostanziale rispetto alla domanda avanzata in via principale nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, con la quale chiedeva l’integrale annullamento dell’avviso di accertamento per insussistenza dei presupposti di cui all’art. 67 del t.u.i.r., e, pertanto, lo stesso aveva un concreto interesse ad impugnare la sentenza di primo grado al fine di ottenere una statuizione di totale non tassabilità dei compensi che comportasse la caducazione della pretesa fiscale anche in relazione ai compensi percepiti nell’anno 2003. E tale interesse, ovviamente, permaneva a prescindere dalla fondatezza o meno dell’appello incidentale spiegato dall’Agenzia delle entrate.

Ne discende che, sul punto, la sentenza va cassata non avendo la Commissione tributaria di secondo grado fatto corretta applicazione dell’art. 100 c.p.c..

4. In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti di cui in motivazione e la sentenza va cassata limitatamente all’avviso di accertamento per l’anno 2003, con rinvio alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, per il riesame, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata limitatamente all’avviso di accertamento per l’anno 2003 e rinvia alla Commissione tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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