Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6620 del 18/03/2010

Cassazione civile sez. I, 18/03/2010, (ud. 12/01/2010, dep. 18/03/2010), n.6620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 4653/2005 proposto da:

DI STEFANO CESARE S.N.C., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24,

presso il Sig. GARDIN LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato

LOPARDI Stefano, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO ATERNO TRASPORTI – SOCIETA’ COOPERATIVA A.R.L. (P.I.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA A. TRAVERSARI 55, presso

l’avvocato MARZANO GIUSEPPE, rappresentato e difeso dall’avvocato

CIUCCI Berardino, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 227/2004 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 23/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12/01/2010 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato S. LOPARDI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso li per l’accoglimento del primo

motivo con assorbimento del secondo motivo.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 8 settembre 1990, la Di Stefano Cesare s.n.c. citò davanti al Tribunale di L’Aquila il Consorzio Aterno Trasporti Cooperativa a r.l. di cui era socia, chiedendo l’annullamento della 17 gennaio 1990 e Delib. Consiglio amministrazione 9 giugno 1990 le quali, in violazione di norme statutarie avrebbero alterato i criteri di distribuzione degli incarichi di lavoro, e la condanna della convenuta al risarcimento dei danni.

Nelle more del giudizio le deliberazioni impugnate furono sostituite con altra del 5 settembre 1995. Il Tribunale, con sentenza in data 11 ottobre 2000, dichiarò quindi cessata la materia del contendere per la domanda di annullamento delle deliberazioni, e respinse la domanda di risarcimento dei danni.

La società attrice propose appello, che fu respinto dalla Corte d’appello di L’Aquila con sentenza 23 aprile 2004. La corte premise che in causa era stata accertata sia l’illegittimità delle deliberazioni impugnate e sia la loro potenziale dannosità, perchè introduttive di criteri di assegnazione dei trasporti tali da discriminare la società Di Stefano, a causa dell’omessa operatività in concreto del criterio di parità tra tutti i consorziati in termini di rimuneratività. La corte osservò tuttavia che la parte non aveva offerto elementi di prova in ordine ai trasporti che nel periodo controverso (17 gennaio 1990 – 5 settembre 1995) sarebbero spettati alla Di Stefano, e che invece sarebbero stati assegnati ad altri consociati, e sui ricavi che detti trasporti avrebbero consentito di acquisire; e che il consulente tecnico non aveva risposto al quesito per carenza di documentazione e per impossibilità di acquisire ulteriori parametri valutativi. In mancanza di prova del danno non era possibile neppure una liquidazione equitativa.

Avverso la sentenza, non notificata, ha proposto ricorso per Cassazione la Di Stefano Cesare s.n.c. con atto notificato in data 11 febbraio 2005 per due motivi.

Il Consorzio Aterna Trasporti a r.l. resiste con controricorso notificato il 15 marzo 2005.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si censura per vizi di motivazione l’affermazione della corte territoriale che non era stata data la prova del danno.

Il motivo è infondato. Il giudice d’appello ha motivato la sua decisione con l’affermazione che, sebbene le deliberazioni illegittime fossero potenzialmente dannose per la società appellante, non era stata data la prova che il danno si fosse in concreto verificato. Tra l’affermazione della potenzialità del danno e quella della mancanza della prova della sua concreta realizzazione non vi è contraddizione. Generica, ed inammissibile, è per contro la doglianza in ordine all’omesso esame della perizia giurata depositata dalla parte. La corte d’appello, avendo esaminato il documento in questione, ha ritenuto che esso contenesse solo ipotesi non suffragate da fatti concreti. La società ricorrente, censurando l’affermazione, aveva l’onere di precisare quali sarebbero i fatti concreti, trascurati dalla corte di merito, che nel documento in questione contraddicevano quel giudizio, riportandone a tal fine i passi pertinenti, per consentire a questa corte il controllo di legittimità richiesto.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione del principio del ricorso alla liquidazione equitativa del danno.

Il mezzo è infondato. Secondo la costante giurisprudenza di questa corte, la liquidazione equitativa del danno, ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., presuppone che il pregiudizio economico del quale la parte reclama il risarcimento sia certo nella sua esistenza ontologica, mentre se tale certezza non sussiste, il giudice non può procedere alla quantificazione del danno in via equitativa, non sottraendosi tale ipotesi all’applicazione del principio dell’onere della prova quale regola del giudizio, secondo il quale se l’attore non ha fornito la prova del suo diritto in giudizio la sua domanda deve essere rigettata (tra le molte, cfr. Cass. 2 settembre 2008, n. 22061; 30 gennaio 2003, n. 1443; 5 aprile 2003, n. 5375; 30 maggio 2002, n. 7892; 24 maggio 2001 n. 7093; 3 marzo 1994, n. 2124; 16 marzo 1977, n. 1055; 12 gennaio 1977, n. 153; 14 gennaio 1971, n. 54).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte Suprema di Cassazione, il 12 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2010

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