Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6620 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 10/03/2021), n.6620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 23637 del ruolo generale dell’anno 2014

proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente –

contro

B.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Rita Menna per

procura speciale a margine del controricorso, elettivamente

domiciliato in Roma, via Albalonga, n. 7, presso lo studio dell’Avv.

Clementino Palmiero;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Molise, n. 42/2/13, depositata in data 10 luglio 2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dell’11 dicembre

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato a B.E., esercente l’attività di riparazioni meccaniche di autoveicoli, un avviso di accertamento con il quale aveva contestato maggiori ricavi non dichiarati a seguito di accertamento analitico-induttivo; avverso l’atto impositivo il contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso; avverso la sentenza del giudice di primo grado l’Agenzia delle entrate aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale del Molise ha rigettato l’appello, in particolare ha ritenuto che le percentuali di ricarico costituivano un mero indizio, di per sè privo, in assenza di ulteriori elementi, dei caratteri della gravità, precisione e concordanza, necessari per potere ritenere legittimo l’accertamento analitico-induttivo dell’amministrazione finanziaria;

avverso la sentenza del giudice del gravame ha quindi proposto ricorso per la cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura, cui ha resistito il contribuente depositando controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e art. 42, nonchè degli artt. 2727 e 2697 c.c.;

in particolare, parte ricorrente censura la sentenza per avere erroneamente ritenuto che la pretesa dell’amministrazione finanziaria non fosse basata su idonei elementi presuntivi, anche sotto il profilo del metodo ricostruttivo del maggior reddito mediante la percentuale di ricarico, e per non avere correttamente applicato le disposizioni in materia di riparto dell’onere della prova;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omessa motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in particolare per non avere tenuto conto di una serie di elementi presuntivi, addotti dall’ufficio a fondamento della propria pretesa, che dovevano legittimare l’accertamento analitico-induttivo e la ricostruzione dei maggiori redditi non dichiarati;

i motivi, che possono essere esaminati unitariamente, in quanto attengono alla questione dell’onere della prova in materia di accertamento analitico-induttivo, sono fondati;

la decisione censurata ha ritenuto illegittima la pretesa dell’amministrazione finanziaria facendo unicamente riferimento alla percentuale di ricarico applicata, ritenendo che la stessa non fosse supportata da altri elementi presuntivi, sicchè non poteva essere considerata dotata dei requisiti della gravità, precisione e concordanza;

va quindi considerato che, stando al contenuto dell’avviso di accertamento, la percentuale di ricarico, presa in considerazione dal giudice del gravame al fine di fondare la decisione di illegittimità della pretesa, era stata applicata al fine di determinare il maggior reddito non dichiarato in conseguenza dell’accertamento analitico-induttivo compiuto dall’amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente;

in particolare, la sussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d), era stata basata dall’amministrazione finanziaria su diverse circostanze, in particolare: a) la ditta aveva esibito le fatture registrate sul registro vendite, per un totale di 24, mentre per le ricevute fiscali sul registro dei corrispettivi ne erano state registrate 39, ma erano state esibite solo quelle dal n. 1 al n. 20; b) le ricevute fiscali non distinguevano i costi dei vari pezzi e quelli di manodopera; c) vi era una incongruenza nel rapporto costi/ricavi, confermata dal confronto tra le fatture e le ricevute fiscali emesse e le fatture di acquisto;

pertanto, l’accertamento-analitico induttivo era basato, secondo quanto emerge dall’atto impositivo, sulla parziale inattendibilità delle scritture contabili nonchè sulla riscontrata incongruenza del rapporto costi/ricavi, quindi su di un elemento presuntivo basato sulla non ragionevolezza sotto il profilo economico dell’attività svolta;

inoltre, una volta indicati, nell’atto impositivo, su quali elementi presuntivi si era basato l’accertamento analitico induttivo, l’ufficio accertatore aveva, poi, precisato che la determinazione dei ricavi veniva compiuta “applicando sul costo del venduto il ricarico del 100%, che corrisponde al minimo indicato dalla S. V.. Sul costo della manodopera, così come calcolato, si applica la maggiorazione del 30% come desunto dalle fatture emesse”;

va quindi osservato che, con riferimento alla riscontrata incongruenza del rapporto costi/ricavi nell’avviso di accertamento in esame, secondo questa Corte (Cass. civ., 2 novembre 2020, n. 24222; Cass. 1/05/2018, n. 13884) deve ritenersi legittima, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, la rettifica induttiva del reddito d’impresa operata in presenza di contabilità formalmente regolare quando, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., comma 1, possa fondatamente ritenersi che l’entità del reddito dichiarato si ponga in evidente contrasto con il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza;

inoltre, in relazione agli altri elementi presuntivi valorizzati nell’avviso di accertamento, basati sulla non attendibilità delle scritture contabili, questa Corte (Cass. civ., 29 marzo 2019, n. 8845; (Cass. civ., 31 ottobre 2018, n. 27804) ha affermato che, in tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo;

sicchè, secondo quanto sopra esposto, la parziale inattendibilità delle scritture contabili nonchè la sussistenza di circostanze che possono indurre a ritenere che l’attività è stata svolta in modo antieconomico, possono costituire, ove debitamente valutati dal giudice del merito, elementi presuntivi sui quali fondare la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo;

ciò precisato, va quindi osservato che il giudice del gravame ha ritenuto che la pretesa dell’amministrazione finanziaria non fosse basata su idonei elementi presuntivi dotati della gravità precisione e concordanza, incentrando, tuttavia, la considerazione unicamente sul profilo della percentuale di ricarico che, invero, ha costituito solo il criterio concretamente applicato per determinare, una volta riscontrati le incongruenze e la parziale tenuta della contabilità, i maggiori ricavi non dichiarati, in tal modo non facendo corretta applicazione dei principi giurisprudenziali esposti, con conseguente violazione di legge;

è altresì da ritenersi fondato anche il secondo motivo di ricorso;

a tal proposito, va precisato che, sebbene parte ricorrente, nell’articolare il presente motivo, abbia, in rubrica, fatto riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella formulazione previgente alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), non più applicabile alla presente controversia (atteso che la sentenza è stata pubblicata in data successiva alla entrata in vigore dell’intervento normativo in esame), tuttavia dal contenuto del motivo di censura in esame si evince che, in sostanza, ciò che parte lamenta è l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, non tenuti in considerazione dal giudice del gravame, sicchè, sotto tale, prospettiva, è stato correttamente prospettato il vizio di motivazione in esame secondo la disciplina applicabile ratione temporis;

va quindi osservato che, con riferimento alla questione della percentuale di ricarico applicata, cui parte ricorrente si sofferma con il secondo motivo di ricorso, in sede di svolgimento del processo il giudice del gravame ha evidenziato che la rettifica del reddito dichiarato era stata compiuta “sulla base di ricostruzione operata in applicazione delle percentuali di ricarico mediamente riscontrate nel settore di appartenenza”, mentre nell’avviso di accertamento è precisato che “la ricostruzione dei ricavi viene compiuta applicando sul costo del venduto il ricarico del 100%, che corrisponde al minimo indicato dalla S.V.. Sul costo della manodopera, così come calcolato, si applica la maggiorazione del 30% come desunto dalle fatture emesse”;

sicchè, in realtà, il giudice del gravame non ha tenuto conto di una circostanza fattuale, relativa al fatto che le percentuali di ricarico concretamente applicate erano risultate dal confronto tra le fatture di acquisto e quelle di vendita, quindi desunte sulla base di atti provenienti dallo stesso contribuente e, in quanto tale, rilevante e decisiva ai fini della definizione della controversia;

in conclusione, i motivi sono fondati, con conseguente accoglimento del ricorso e cassazione della sentenza con rinvio alla Commissione tributaria regionale anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie il ricorso, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Molise, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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