Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6620 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 25/01/2022, dep. 01/03/2022), n.6620

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21396/2013 R.G. proposto da:

M.O., rappresentata e difesa dall’avv. Giampietro

Baldassarra, in forza di procura speciale a margine del ricorso, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Massimiliano

Passi, in Roma, Corso d’Italia, n. 92;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 701/39/2011 della Commissione tributaria

regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, depositata il 19

settembre 2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 gennaio 2021 dal consigliere Dott.ssa Pasqualina A. P. Condello.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. L’Agenzia delle entrate propose appello avverso la sentenza della C.T.P. di Frosinone che aveva accolto il ricorso proposto da M.O., esercente l’attività di vendita al dettaglio di mobili, avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato recuperato a tassazione maggiore imponibile ai fini Irpef, Irap e I.V.A. in relazione all’anno d’imposta 2001.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, la verifica aveva tratto origine da una segnalazione della Direzione Regionale del Lazio all’esito della quale la contribuente era stata invitata a fornire giustificazione in ordine alla differenza tra i valori esposti quali rimanenze iniziali e finali per gli anni d’imposta dal 2001 al 2004, essendo peraltro emerso, dall’analisi dei dati indicati nello studio di settore, per il quale la impresa non risultava né congrua, né coerente in relazione all’indice di ricarico, l’assenza di costi per energia elettrica e un valore dei beni strumentali assente ed incoerente con quello indicato per l’anno 1999.

La Commissione tributaria provinciale ritenne che lo studio di settore non potesse da solo supportare l’accertamento in assenza di ulteriori elementi, considerata anche la localizzazione dell’attività in un piccolo centro e ritenuto che la divergenza dei valori delle rimanenze fosse stata determinata dall’errata indicazione tra quelle dell’anno 1999 di un bene strumentale che in realtà non doveva essere indicato.

2. La Commissione tributaria regionale, riformando la sentenza di primo grado, ridusse il reddito d’impresa accertato ad Euro 24.000,00. Dopo avere osservato che la L. n. 146 del 1998, all’art. 10, aveva stabilito le modalità in sede di accertamento degli studi di settore e che il D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies convertito, con modificazioni, dalla L. n. 427 del 1993, aveva previsto che gli accertamenti di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 dovevano prendere le mosse da gravi incongruenze, richiamata la sentenza di questa Corte n. 18983 del 2007, motivò che nel caso di specie l’Ufficio aveva instaurato il contraddittorio, acquisendo la documentazione fornita, e che la contribuente non era riuscita a giustificare l’incongruenza fra ricavi dichiarati e risultanze degli studi di settore. Rilevò pure che era stata riscontrata l’assenza di costi per l’energia elettrica e la discordanza tra i valori dei beni strumentali e che nel corso degli anni, nella gestione dell’attività, la contribuente aveva tenuto un comportamento antieconomico con un incremento costante degli acquisti e delle rimanenze, non riuscendo a fornire giustificazioni plausibili se non quella che si trattava di attività commerciale svolta in un piccolo paese della Ciociaria e mantenuta al solo scopo di maturare i contributi pensionistici.

3. Contro la suddetta decisione d’appello M.O. ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi, mentre l’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso la contribuente, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, della L. n. 146 del 1998, art. 10, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies, comma 3, convertito dalla L. 29 gennaio 1993, n. 427 e dell’art. 2729 c.c., comma 1, sostiene che la sentenza impugnata è errata nella parte in cui accoglie parzialmente l’appello riducendo il reddito d’impresa ad Euro 24.000,00, sul presupposto che la normativa vigente prevede che l’accertamento derivante dagli studi di settore debba e possa prendere le mosse da gravi incongruenze. Censura, inoltre, la sentenza gravata nella parte in cui afferma che la contribuente non sarebbe riuscita a giustificare l’incongruenza tra i ricavi dichiarati e le risultanze degli studi di settore, poiché la C.T.R. non ha valutato, con specifico riguardo agli studi di settore, che la ricostruzione basata su indici presuntivi è da ritenersi insufficiente, non avendo l’Amministrazione motivato l’accertamento induttivo, e ribadisce, quindi, che i valori applicati dall’Ufficio, non essendo riscontrati da altre risultanze, si rivelano del tutto inidonei ad integrare i presupposti di cui all’art. 39 citato.

2. Con il secondo motivo, denunciando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché omessa motivazione, la contribuente lamenta che la C.T.R. indica in Euro 13.000,00 il reddito d’impresa, omettendo di specificare gli elementi dai quali ha desunto detto reddito, rendendo di fatto impossibile un controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento. Precisa, al riguardo, che i giudici di appello non evidenziano nella motivazione il sistema di calcolo elaborato, sulla base del quale sono pervenuti ad una pronuncia di riforma parziale, cosicché la decisione è carente nell’esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui essa è fondata, nonché sulle prove poste a base del decisum.

3. I motivi, strettamente connessi, possono essere trattati congiuntamente e sono infondati.

3.1. Con le doglianze in esame la contribuente, anche sotto l’apparente deduzione di vizi di violazione di legge, censura, in realtà, l’apprezzamento dei fatti e delle prove svolto dai giudici di merito, al fine di sostituire alla valutazione da questi effettuata una più consona alle proprie concrete aspirazioni.

Invero, la ricorrente contesta alla C.T.R. di essere incorsa nella violazione delle disposizioni normative richiamate nella rubrica del primo motivo d’impugnazione, per avere ritenuto che l’Ufficio abbia offerto elementi presuntivi connotati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza, idonei a supportare l’accertamento, ma non evidenzia, in concreto, l’errore commesso dai giudici di merito, giacché sotto tale angolazione la decisione presa si rivela immune da vizi.

Sul punto, infatti, la C.T.R., sebbene con motivazione sintetica, nell’osservare che l’Ufficio finanziario, instaurato il contraddittorio, all’esito dell’acquisizione della documentazione, ha riscontrato l’assenza di costi per l’energia elettrica e la discordanza tra i valori dei beni strumentali, oltre che un comportamento antieconomico nella condotta della contribuente caratterizzato da un incremento costante degli acquisti e delle rimanenze, ha ritenuto che il quadro circostanziale dedotto fosse idoneo a supportare l’accertamento, in difetto di prova di segno contrario, non offerta dalla odierna ricorrente, che, al fine di giustificare l’incongruenza rilevata fra ricavi dichiarati e risultanze degli studi di settore, ha addotto come giustificazione il solo fatto che l’attività commerciale veniva svolta in un piccolo paese e che era stata mantenuta al solo scopo di maturare i contributi pensionistici. In tal modo hanno in sostanza ritenuto non validamente giustificato lo scostamento rilevato tra redditi dichiarati e redditi presunti sulla base dell’applicazione dello studio di settore e, quindi, da una parte, assolto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, l’onere di dimostrare l’applicabilità in concreto dello standard prescelto, e, dall’altra, mancante la prova contraria gravante sulla contribuente, facendo corretta applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009.

L’apprezzamento di fatto operato dalla C.T.R. non può essere rimesso in discussione in sede di legittimità attraverso una rivalutazione dei medesimi elementi probatori già infruttuosamente sottoposti al vaglio dei giudici di merito perché ciò equivarrebbe ad una richiesta di rinnovazione del giudizio che risulta congruamente motivato.

3.2. Quanto appena detto impone di escludere anche il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonché il difetto assoluto di motivazione, dedotti con il secondo motivo di impugnazione.

3.2.1. Al riguardo è utile evidenziare che la motivazione è apparente e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo quando, benché graficamente esistente, non renda tuttavia percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., sez. U, 3/11/2016, n. 22232; Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053). La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, per cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronti con le risultanze processuali (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053, cit.).

3.2.2. Inoltre, il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 può essere dedotto soltanto in caso di omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione ed appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati perché non pertinenti, e restando estranea a detto vizio di legittimità qualsiasi contestazione volta a criticare il “convincimento” che il giudice si è formato in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova (Cass., sez. U, 7/04/2014, n. 8053; Cass. sez. 3, 10/06/2016, n. 11892; Cass., sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).

3.3.3. Ebbene, nel caso in esame, la motivazione della sentenza impugnata, là dove i giudici regionali indicano in Euro 13.000,00 il reddito di impresa, non concretizza una ipotesi di motivazione apparente e va esente anche dal vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 considerato che la disposta riduzione del reddito originariamente accertato trova giustificazione nella localizzazione dell’attività commerciale, che, come sottolineato dalla C.T.R., veniva svolta in un piccolo centro della Ciociaria, circostanza questa che ha fatto presumere che la contribuente avesse conseguito un minor reddito d’impresa.

4. In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 25 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

 

 

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