Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6619 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 10/03/2021), n.6619

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 28598 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– ricorrente principale –

contro

Il Forno Valsesiano di C.R. & C. s.n.c., in persona del

legale rappresentante, nonchè i soci in proprio C.R. e

Ca.An.Ma., rappresentati e difesi dall’Avv. Raimondo

Fulcheri per procura speciale a margine del controricorso,

elettivamente domiciliati in Roma, via Marianna Dionigi, n. 29,

presso lo studio dell’Avv. Marina Milli;

– controricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Piemonte, n. 4/14/13, depositata in data 23 gennaio

2013;

udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio dell’11 dicembre

2020 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

 

Fatto

RILEVATO

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla società “Il Forno Valsesiano di C.R. & C. s.n.c.”, un avviso di accertamento con il quale, a seguito di accertamento analitico-induttivo, aveva determinato, relativamente all’anno di imposta 2005, maggiori ricavi non dichiarati e minori costi deducibili; separati avvisi di accertamento erano stati notificati ai soci a titolo di maggiori redditi di partecipazione non dichiarati; avverso gli atti impositivi la società ed i soci avevano proposto ricorso, contestando la modalità di accertamento e gli elementi presuntivi sui quali l’amministrazione finanziaria aveva fondato la rideterminazione del maggior reddito; la Commissione tributaria provinciale di Vercelli aveva parzialmente accolto il ricorso, riducendo l’importo dei maggiori redditi non dichiarati; avverso la sentenza del giudice di primo grado la società ed i soci avevano proposto appello principale e l’Agenzia delle entrate appello incidentale;

la Commissione tributaria regionale del Piemonte ha accolto l’appello principale della società e dei soci annullando gli avvisi di accertamento, in particolare ha ritenuto che assumeva rilevanza decisiva il fatto che gli atti impositivi erano stati notificati cinque giorni dopo la notificazione del verbale di contraddittorio con il quale era stata chiusa l’attività istruttoria consistente nel controllo della documentazione contabile richiesta ed esibita dalla società contribuente; non poteva, in particolare, condividersi la linea difensiva dell’amministrazione finanziaria secondo cui la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, aveva riguardo solo al caso di ispezione, accesso e verifiche fiscali condotte nei locali destinati all’esercizio dell’attività, mentre, nel caso di specie, vi era stato un controllo compiuto sulla base dei documenti prodotti; l’avviso di accertamento, inoltre, non faceva alcuna indicazione delle ragioni di urgenza che avevano reso necessario emettere gli atti impositivi prima del decorso del termine dilatorio;

avverso la sentenza del giudice del gravame ha quindi proposto ricorso per la cassazione l’Agenzia delle entrate affidato a due motivi di censura, cui hanno resistito la società ed i soci depositando controricorso, contenente ricorso incidentale, affidato a un unico motivo di censura.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso principale si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, per avere pronunciato sulla questione della violazione del contraddittorio endoprocedimentale, atteso che la stessa era stata prospettata per la prima volta in appello, quindi in violazione del divieto di ius novorum in sede di gravame;

il motivo è infondato;

dall’esame del contenuto dell’originario ricorso della società, come riprodotto da entrambe le parti nei loro atti difensivi, si evince che la stessa aveva contestato l’insussistenza, nel caso di specie, dei presupposti oggettivi per potere procedere ad un accertamento analitico-induttivo nei propri confronti, in particolare che non sussistevano elementi presuntivi da cui potere evincere che le scritture contabili non fossero attendibili;

in questo contesto, la stessa aveva, altresì, evidenziato che l’attività dell’amministrazione finanziaria si era svolta in difetto di un verbale di ispezione e della conseguente instaurazione di un effettivo contraddittorio e in questo senso conduce la seguente affermazione, contenuta nel ricorso, come riprodotta dalla società controricorrente: “Considerato che l’ufficio non ha portato alcuna prova dell’inattendibilità delle scritture contabili, anche perchè non le ha minimamente esaminate, non ha redatto il processo verbale, non ha concesso al contribuente il termine per replicare”;

in sostanza, già con il ricorso introduttivo del giudizio la società contribuente aveva postulato la violazione del principio del contraddittorio, profilo che, in sede di appello, risulta riaffermato in termini più specifici mediante l’espresso riferimento alla previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, senza che, tuttavia, ciò abbia comportato un ampliamento del thema decidendum prospettato in sede di ricorso originario;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per avere erroneamente ritenuto che la suddetta previsione fosse applicabile anche al caso di specie in cui l’amministrazione finanziaria aveva effettuato unicamente un controllo sulla posizione fiscale della società contribuente senza, tuttavia, svolgere alcuna attività di accesso, ispezione o verifica;

il motivo è fondato;

occorre osservare, in primo luogo, che l’accertamento oggetto del giudizio non trae origine da controlli, ispezioni, verifiche od accessi di qualunque tipo presso la società contribuente, in quanto è pacifico che l’amministrazione finanziaria aveva notificato alla società un invito alla produzione delle scritture contabili relative all’anno 2005 e che la contribuente vi aveva successivamente provveduto;

sicchè la fattispecie è riconducibile al cd. accertamento “a tavolino”, ossia senza essere accompagnato da una attività dell’amministrazione finanziaria di accesso nella sfera diretta del contribuente;

ne deriva che, secondo la disciplina positiva vigente ratione temporis, non sussisteva un generale obbligo di contraddittorio preventivo avuto riguardo ai tributi non armonizzati ed è inapplicabile la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (Cass., Sez. Un., 29 luglio 2013, n. 18184, seguita da Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823, che ha specificato che “in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”);

d’altro lato, con riguardo ai tributi armonizzati, in particolare all’Iva, pure oggetto del presente giudizio, l’obbligo del contraddittorio preventivo discende direttamente dalla disciplina unionale alla luce dell’interpretazione offerta dalla Corte di Giustizia UE: in tale evenienza, peraltro, ove l’Amministrazione non sia stata rispettosa dell’obbligo di contraddittorio, l’atto, in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze (Cass. civ, 15 gennaio 2019, n. 701), è invalido purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass. Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass. civ., 27 luglio 2018, n. 20036; Cass. civ., 29 ottobre 2018, n. 27420) (cd. prova di resistenza);

ciò precisato, va quindi osservato che, nella presente vicenda, relativamente ai tributi non armonizzati in contestazione, la mancanza di un accesso, ispezione o verifica presso la sede della società preclude l’applicazione della previsione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7;

nè può dirsi fondato il riferimento compiuto dai controricorrenti in sede di controricorso alla decisione di questa Corte 11 settembre 2013, n. 20770, in quanto la suddetta pronuncia se, da un lato, ha riaffermato il principio secondo cui è necessaria la redazione del processo verbale anche in mancanza di indagini istruttorie e di accesso finalizzato al solo reperimento di documentazione, d’altro lato, ha altresì ribadito che il presupposto è comunque che sia stato effettuato un accesso nei locali destinati all’esercizio dell’attività o negli altri luoghi indicati dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52, circostanza non sussistente nel caso di specie;

l’assenza di accessi, ispezioni o verifiche presso la società contribuente, anche se finalizzato esclusivamente all’acquisizione documentale esclude, quindi, la necessità della formazione di uno specifico processo verbale di constatazione da notificare alla medesima nonchè la sussistenza di un obbligo specifico di contraddittorio preventivo in tema di imposte non armonizzate;

con riferimento, poi, all’Iva, la pronuncia censurata non ha in alcun modo enunciato in ordine alla sussistenza, al caso di specie, della prova di resistenza e, in particolare, alle ragioni che i controricorrenti avrebbero potuto far valere;

con l’unico motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 39, comma 1, lett. d) e dell’art. 2729 c.c., vengono ripresentati i motivi contenuti negli originari ricorsi e non esaminati dalla Commissione tributaria regionale relativamente alla illegittimità degli avvisi di accertamento per difetto di motivazione e per insussistenza degli elementi di prova presuntiva;

il motivo è inammissibile;

ed invero, il mezzo all’esame, proposto come condizionato all’esito del ricorso principale, è inammissibile per carenza di interesse, alla luce del principio più volte affermato da questa Corte, che va ribadito in questa sede, secondo cui il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello (Cass. civ., 16 gennaio 2015, n. 658; Cass. civ., 7 marzo 2016, n. 4472); in conclusione, è fondato il secondo motivo di ricorso principale, infondato il primo, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato, con conseguente cassazione della sentenza censurata e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il secondo motivo di ricorso principale, infondato il primo, inammissibile il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza censurata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Piemonte, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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