Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6617 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6617 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA

sul ricorso 13259-2014 proposto da:
BONADONNA GIOVANNI, BONADONNA VINCENZO,
BONADONNA MARIA, BONADONNA LEONARDO,
BONADONNA GIUSEPPE, BONADONNA STEFANO, tutti n.q.
di eredi del sig. Filippo Bonadonna, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio degli avvocati FRANZA
– POZZAGLIA, rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIETTA
ALONGI CAMMALLERI, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

Data pubblicazione: 06/04/2016

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’
AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 1549/2010 RG.0 della CORTE D’APPELLO
di CALTANISSETTA del 18/02/2014, depositata il 07/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;
udito l’Avvocato Cannolkri Calogero (delega avvocato Antonietta
Alongi) difensore dei ricorrenti che ha chiesto raccoglimento del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 7 marzo 2014 la Corte d’appello di Caltanissetta
dichiarava estinto il procedimento di equa riparazione ex art. 6, paragrafo 1, della
Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, proposto da Stefano
BONADONNA, nella qualità di procuratore generale di Filippo Bonadonna, nei
confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, nel corso del quale aveva
precedentemente dichiarato il non luogo provvedere per mancata comparizione

e difende ope legis;

delle parti all’udienza del 4 aprile 2013, fissata per la discussione.
A sostegno del decreto adottato la corte territoriale — premesso di avere
esercitato i poteri di cui all’art. 182 c.p.c. e che all’esito si erano costituiti

Vincenzo, Maria, Leonardo, Giovanni, Giuseppe e Stefano Bonadonna, nella
qualità di eredi di Filippo Bonadonna, deceduto il 9.2.2010 — evidenziava che la
riassunzione del procedimento di equa riparazione era stata effettuata allorchè la
procura generale era estinta per morte del rappresentato, per cui la stessa doveva
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essere ritenuta priva di effetti. Aggiungeva che nessuna rilevanza poteva essere
riconosciuta alla memoria di prosecuzione in quanto pervenuta ben oltre il
termine di tre mesi previsto dall’art. 305 c.p.c..
Avverso il provvedimento i BONADONNA proponevano ricorso per

cassazione, deducendo con due motivi la violazione dell’art. 3, commi 5 e 6 della
omessa motivazione, nonché violazione degli artt. 182, 77 e 82 c.p.c.. Resisteva
con controricorso il Ministero intimato.

MOTIVI DELLA DECISIONE
L’esame delle due censure, nelle quali si articola il ricorso, deve essere preceduto

da quello della pregiudiziale eccezione di inammissibilità del ricorso formulata
dalla parte resistente, sotto il profilo del difetto di specificità e chiarezza dei
motivi di ricorso, in quanto non spiegherebbe le ragioni tecnico-giuridiche delle
violazioni di legge lamentate ovvero della dedotta insufficienza della
motivazione. L’eccezione è infondata.
Va rilevato che l’atto in questione, contrariamente all’assunto del
controricorrente, contiene l’indicazione specifica, corredata – laddove occorra dalla relativa trascrizione ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, degli
atti e dei documenti processuali (certificato di morte e dichiarazione sostitutiva di
atto di notorietà consolare, decreto impugnato) sui quali il ricorso stesso si
fonda. Le censure poste, infatti, sono formulate nel rispetto dei criteri formati
dettati dall’art. 366 c.p.c., rispettando i canoni della specificità, della pertinenza.
rispetto alla ratio decidendi che sostiene la pronuncia impugnata e del puntuale
richiamo agli atti e ai documenti di cui al ricorso, essendo la indicazione delle
norme asse ritamente violate accompagnata da argomentazioni idonee a
dimostrare, dal punto di vista dei ricorrenti, le ragioni del contrasto di alcune
affermazioni contenute nel decreto. D’altronde, anche laddove trattasi di
denuncia di vizio motivazionale, nel quale – a parere dei BONADONNA Ric. 2014 n. 13259 sei. M2 – ud. 24-09-2015
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legge n. 89 del 2001 in relazione agli artt. 737 e ss., 307 e 309 c.p.c., oltre ad

sarebbe incorso il decreto impugnato, è evidente che il ricorso si fonda
essenzialmente sulla stessa decisione impugnata. Sicché non è dato desumere,
dall’esame dell’atto, la denunciata violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 6).
L’eccezione di inammissibilità nei termini sopra precisati va, dunque, rigettata.

motivo i ricorrenti lamentano l’erroneità e la illegittimità dell’ordinanza del
4.4.2013 di non luogo a provvedere dal momento che il IV comma dell’art. 3

della legge n. 89 del 2001 dispone che il giudice provveda sulla domanda ai sensi
dell’art. 737 e ss. c.p.c., norma quest’ultima che prevede che i procedimenti in

camera di consiglio siano decisi con decreto, senza che sia richiesto l’impulso di
parte. Proseguono i ricorrenti che in seguito all’inusuale provvedimento di
N.LP., sul presupposto implicito che potesse anche significare cancellazione
della causa dal molo, era stata richiesta la riassunzione ex art. 307 c.p.c., in ordine
alla quale aveva provveduto il Presidente con provvedimento del 2.5.2013,
fissando udienza per la prosecuzione del processo, che avrebbe dovuto essere
interpretato quale istanza e contestuale revoca dell’originario provvedimento di
N.L1).. Alla successiva ordinanza del giudice della cognizione del 7/28.11.2013,
con la quale è stata richiesta la verifica della legitinafio ad processum, che ha
onerato la parte di giustificare i propri poteri, i BONADONNA hanno prestato
ottemperanza, per essere stato il giudizio volontariamente proseguito dai

Esaurita tale questione preliminare, deve ora rilevarsi che con il primo

successori a titolo universale del rappresentato Filippo Bonadonna entro il
termine di tre mesi assegnato dall’ordinanza collegiale. In altri termini, è stato

compiuto dai ricorrenti non una riassunzione senza poteri, ma soltanto un atto
endoprocessuak, per il quale avevano pieni poteri. D’altra parte il procuratore
generale della originaria parte è anche erede del rappresentato, sicchè anche sotto
detto aspetto il suo atto doveva essere considerato idoneo a ripristinare il
rapporto processuale, sebbene non l’integrità del contraddittorio. Erronea anche

la decisione che ha ritenuto non provata la sua qualità di erede che risultava per
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tabulas dalla stessa procura generale; inoltre l’atto notorio consiste nella

riproduzione del certificato storico di famiglia del de cuius.
Con il secondo motivo i ricorrenti, nel denunciare la violazione e falsa
applicazione dell’art. 182 c.p.c. in relazione agli artt. 77 e 82 c.p.c., lamentano che

il giudice distrettuale non abbia tenuto conto della sanatoria obbligatoria
Le due censure — da trattare congiuntamente per la contiguità argomentativa —
sono fondate.
La legge 24 marzo 2001 n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di
violazione del termine ragionevole del processo), al riguardo si limita a
richiamare, all’art. 3, comma 4, la disciplina prevista dagli artt. 737 e segg. c.p.c.
in tema di procedimenti in camera di consiglio, con poche integrazioni.
Questa Corte ha avuto occasione di precisare che in tema di equa riparazione per
violazione del termine di ragionevole durata del processo, il provvedimento di
“non luogo a provvedere” emesso dalla corte d’appello in caso di mancata
comparizione delle parti nel procedimento di cui alla L 24 marzo 2001 n. 89 art.
3 è assimilabile ad un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo ai
sensi dell’art. 181 c.p.c., comma 1, seconda parte, cui consegue la possibilità della
riassunzione del procedimento, che, ove abbia luogo nel termine di cui all’art.
307 c.p.c., fa salvi gli effetti sostanziali e processuali dell’originario ricorso, ivi
compreso l’impedimento della decadenza derivante dall’inosservanza del termine
di cui alla legge n. 89 cit., art. 3 (Cass. 11. 7549 del 2010).
Tanto chiarito, venendo al merito della questione posta, parte ricorrente si duole
che il giudice non abbia ritenuto il procuratore della parte colpita dall’evento
interruttivo legittimato a provvedere alla riassunzione in base alla procura
originariamente rilasciatagli, nonostante la giurisprudenza di legittimità costante
sul punto.
Invero questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che la fattispecie cui l’art.
300 c.p.c. ricollega l’effetto interruttivo del processo consta di due elementi
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retroattiva di cui al novellato art. 182 c.p.c., applicabile ratione temporis.

essenziali, rispettivamente costituiti dall’evento previsto come causa di
interruzione e dalla relativa comunicazione formale ad opera del procuratore, in
difetto della quale il rapporto processuale continua a svolgersi come se l’evento
non si fosse verificato; pertanto, il procuratore della parte colpita dall’evento
intert-uttivo non dichiarato è legittimato a provvedere, in base alla procura

per analogo evento riguardante un’altra parte e formalmente dichiarato (Cass. n.
318 del 1991). Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, questa
Corte non ha mai mutato giurisprudenza sul punto della ultrattività del mandato
in favore del difensore, secondo la richiamata previsione di cui all’art. 300 c.p.c.,
per tutto il corso della medesima fase processuale in cui si è verificato l’evento
interi-univo relativo al cliente (cfr., fra le molte, di recente, Cass. n. 9480 del
2014; ma già, Cass. n. 8263 del 1996; Cass. n. 5387 del 2009; Cass. n. 6701 del
2009; Gss. n. 18425 del 2010 e Cass. n. 1760 del 2012), e gli stessi precedenti
delle Sezioni Unite – le sentenze n. 15783 del 2005 e n. 10706 del 2006 — ne
danno conferma.
Ne consegue che dovendosi riconoscere in capo al procuratore della parte
colpita dall’evento interruttivo non dichiarato la legittimazione a provvedere, in
base alla procura originariamente rilasciatagli, alla riassunzione del processo che
era stato cancellato, ed avendo il giudice rilevato d’ufficio un difetto di
rappresentanza, con assegnazione di un termine per la regolarizzazione della
costituzione in giudizio per promuovere la sanatoria ex art. 182, comma 2, c.p.c.,
cui le parti hanno ottemperato, nel ricorso di tutti i presupposti di legge per la
prosecuzione, il procedimento non poteva essere dichiarato estinto.
Il provvedimento va pertanto cassato con rinvio alla Corte di appello di
Caltanissetta in diversa composizione per l’esame nel merito della domanda.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del
giudizio di cassazione.

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originariamente rilasciatagli, alla riassunzione del processo che sia stato interrotto

P.Q.M.

La Corte, accoglie il ricorso;
cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione,
alla Corte di appello di Caltanissetta, in diversa composizione.

settembre 2015.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2^ Sezione Civile, il 24

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