Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6615 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 01/02/2022, dep. 01/03/2022), n.6615

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28838/2015 proposto da:

A.S., A.A. ed A.R., tutti rappresentati

e difesi in giudizio dall’avv. Giuseppe Bonanno di Palermo, come da

procura in atti, el.dom.ti in Roma, Via Monte Zebio 25, presso lo

studio dell’avv. Massimo Errante;

– parte ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– parte controricorrente –

Ricorso n. 28838/15 avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale

del Lazio n. 2535/10/15 del 5/5/2015;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1Afebbraio

2022 dal Consigliere Giacomo Maria Stalla;

udito il Procuratore Generale Dott. Alberto Cardino che ha concluso

per il rigetto.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. A.S., A. e R. propongono cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione loro notificato il 18.2.2011 per “imposte principali ed accessorie” relativamente alle dichiarazioni nn. 12 e 13, vol. 16274 sulla successione del loro dante causa A.L., deceduto il (OMISSIS).

La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:

– l’avviso opposto costituiva il ricalcolo dell’imposta dovuta a seguito della sentenza n. 47/9/07 con la quale la commissione tributaria regionale del Lazio aveva ritenuto definibile, L. n. 289 del 2002, ex art. 16 la lite già radicata contro gli originari avvisi di liquidazione notificati nel 1998 per imposta di successione, ipocatastale ed Invim;

– diversamente da quanto ritenuto dai giudici di primo grado con la sentenza Commissione Tributaria Provinciale Roma n. 640/54/13, la suddetta sentenza n. 47/9/07 aveva sì dichiarato cessata la materia del contendere per intervenuta definizione della lite ai sensi della citata L. n. 289 del 2002 ma aveva al contempo disposto che l’ufficio provvedesse al ricalcolo di quanto dovuto a titolo di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 16;

la necessità del ricalcolo, proprio in esito alla ritenuta definibilità della lite, scaturiva dal fatto che le imposte catastali, ipotecaria e l’Invim non potevano formare oggetto di condono; che le somme effettivamente versate in sede di condono, ma non riconosciute valide per la definizione, dovevano essere considerate come acconto sulle imposte dovute; che la sanzione per la tardiva presentazione della denuncia di successione non veniva riscossa in applicazione del principio del favor rei in caso di definizione;

priva di fondamento era dunque la tesi dei contribuenti secondo cui la citata sentenza n. 47/9/07 avrebbe avuto natura meramente dichiarativa (esaurendosi nella dichiarazione di cessata materia del contendere, insuscettibile di esecuzione), là dove essa conteneva invece anche un’altra statuizione, non gravata, comportante appunto il ricalcolo al quale l’Agenzia delle Entrate aveva ottemperato con l’avviso di liquidazione qui opposto. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

I contribuenti hanno depositato memoria.

Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione L. n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso gli A. lamentano – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e L. n. 289 del 2002, art. 16. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che la sentenza n. 47/9/07 cit. non conteneva alcun comando giuridico di ricalcolo del dovuto, essendosi limitata a dichiarare cessata la materia del contendere per avvenuta definizione della lite e conseguente estinzione dell’obbligazione tributaria (in primis per imposta principale di successione). Nel ritenere che la sentenza in questione avesse disposto il ricalcolo, la commissione tributaria regionale aveva dunque violato i limiti oggettivi del giudicato.

p. 2.2 Il motivo è infondato.

Va in linea generale premesso che “in tema di giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in un diverso giudizio, la deducibilità con ricorso per cassazione della violazione dell’art. 2909 c.c., ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è possibile solo nel caso in cui il giudice di merito abbia erroneamente accertato ed interpretato il giudicato” (Cass. n. 17175/20 ed altre); e che, inoltre, “la violazione della cosa giudicata, in quanto importa disapplicazione dell’art. 2909 c.c., è denunciabile in Cassazione, ma il controllo di legittimità deve limitarsi all’accertamento degli estremi legali per la efficienza del giudicato esterno nel processo in corso, senza potersi sindacare l’interpretazione che del giudicato stesso abbia dato il giudice di merito, perché essa rientra nella sfera del libero apprezzamento di quest’ultimo e, quindi, è incensurabile in sede di legittimità, quando l’interpretazione stessa sia immune da errori giuridici o da vizi di logica” (Cass. n. 14297/17 ed altre).

Ora, nel caso di specie la commissione tributaria regionale ha individuato una ragione decisoria chiara ed univoca nel senso che la definibilità della lite comportava la cessazione della materia del contendere, ma la concreta estinzione dell’obbligazione presupponeva comunque che l’ufficio – preso atto della dichiarata definibilità L. n. 289 del 2002, ex art. 16 – ricalcolasse l’importo dovuto.

Risulta dai fatti di causa, ricostruiti in ricorso, che nel giudizio concernente la definibilità della lite era intervenuta l’ordinanza non definitiva del 9/9/2005 con la quale la commissione tributaria regionale, dichiarata la sussistenza dei presupposti per la fruizione del condono, sospendeva il giudizio per permettere l’effettiva definizione. A seguito di ciò l’agenzia delle entrate, con memoria illustrativa del 3 aprile 2007, dichiarava che “l’ufficio in autotutela ed in conformità alla circolare dell’agenzia delle n. 22 del 28 Aprile 2003, provvederà a determinare le imposte effettivamente dovute sulla base del ricalcolo L. n. 289 del 2002, ex art. 16”.

E’ proprio a seguito di questa dichiarazione che interveniva la più volte menzionata sentenza n. 47/9/07, nella quale la commissione tributaria regionale testualmente osservava: “il collegio, visto infine che lo stesso uffici) dichiara che con atto di autotutela ed in conformità alla circolare n. 22 del 2003 dell’agenzia delle entrate, provvederà al ricalcolo delle imposte sulla base della L. n. 289 del 2002, art. 16 con compensazione di quanto già versato dai ricorrenti, ritiene cessata la materia del contendere”, disponendo poi appunto in tal senso” (PQM: “dichiara cessata la materia del contendere”). L’interpretazione che di questo giudicato ha dato la sentenza oggi impugnata non può dunque reputarsi affetta da errori logici o giuridici, anche considerato che essa individua le ragioni per le quali il ricalcolo preannunciato dall’Ufficio doveva ritenersi necessitato, non potendo altrimenti aver pratico corso la definizione ex L. n. 289 del 2002, pur in presenza dei relativi presupposti quanto all’imposta di successione.

E queste ragioni di “obbligo” per l’Ufficio sono state individuate, come detto, nella ritenuta esigenza che dal condono venissero scorporate le imposte catastali, ipotecaria e l’Invim; che quanto già versato per il condono fosse riconteggiato in acconto; che fosse espunto l’importo per sanzioni.

Va d’altra parte osservato che la decisione di cui alla sentenza n. 47/9/07 ben avrebbe potuto (dovuto) essere impugnata dai contribuenti qualora questi ultimi avessero ritenuto già perfezionata la definizione ex L. n. 289 del 2002 senza necessità di ricalcolo alcuno e, pertanto, erronea ed illegittima la stabilita connessione tra la cessata materia del contendere ed il ricalcolo prospettato dall’Ufficio.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002 cit., art. 16. Per non avere la commissione tributaria regionale considerato che, qualora non si fosse ritenuta preclusiva la sentenza n. 47/9/07, l’atto di ricalcolo qui opposto era stato comunque emesso in violazione dell’art. 16 in questione, dal quale doveva desumersi che, in ipotesi di solo parziale definizione dell’imposta principale di successione e di totale non definibilità dell’imposta ipotecaria, catastale e dell’Invim, l’ufficio doveva procedere alla notificazione di un nuovo atto di diniego di condono, suscettibile di impugnazione ovvero di acquiescenza da parte dei contribuenti, i quali avrebbero in quest’ultimo caso potuto coltivare la lite sulle originarie contestazioni (impugnando al contempo tanto la sentenza sul merito quanto il diniego di condono se notificato in pendenza dei termini di impugnazione).

p. 3.2 Il motivo è infondato.

La commissione tributaria regionale ha osservato (sent. pag.5) che: “I contribuenti peraltro non contestano il contenuto dell’atto impugnato, ma appuntano le proprie doglianze sulla circostanza che l’ufficio abbia disposto un nuovo atto di liquidazione delle imposte. Ma ciò scaturiva dalla più volte menzionata sentenza n. 47 la quale si pronunciava, oltre che sulla legittimità e regolarità del condono, anche sulla necessità di un nuovo atto di ricalcolo delle imposte anche alla luce della circolare n. 22 del 2003 dell’agenzia delle entrate e tenuto conto di quanto già versato dai contribuenti”.

Si evince dunque come il convincimento della commissione tributaria regionale sia stato nel senso della definitività ed intangibilità della valutazione di legittimità e regolarità del condono così come già resa dalla sentenza n. 47/9/07, non impugnata.

Ebbene, questo presupposto evidenzia l’erronea prospettiva della doglianza, dal momento che nella specie non si trattava di re-instaurare ex novo la procedura di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 16 (anche a mezzo di notifica di un diverso ed ulteriore provvedimento di diniego), quanto unicamente di dare corso, con i dovuti ricalcoli così come stabiliti dal giudice tributario, ad un condono già definito.

Il che non permette di ravvisare nella decisione impugnata la violazione di legge che i contribuenti vorrebbero, tanto più considerato che il diritto di difesa di questi ultimi si è comunque estrinsecato nella impugnabilità ed effettiva impugnazione dello stesso provvedimento di ricalcolo comportante la nuova liquidazione del dovuto.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa motivazione sul perché la sentenza n. 47/9/07 contenesse due distinte statuizioni (non meglio identificate) ed avesse ritenuto necessario il ricalcolo.

p. 4.2 Il motivo è destituito di fondamento, atteso che la commissione tributaria regionale, lungi dall’omettere ogni motivazione sul punto, si sofferma sulla esatta interpretazione della sentenza n. 47/9/07, evidenziando la pluralità ed articolazione del suo contenuto decisorio.

Ed anche il richiamo alla presenza in essa di “due statuizioni” viene riferito senza incertezza ed equivocità alcuna proprio alla su richiamata connessione tra la dichiarata cessazione della materia del contendere sui presupposti di definibilità della controversia L. n. 289 del 2002, ex art. 16 (prima statuizione) e la prescrizione di ricalcolo da parte dell’ufficio (seconda statuizione). Depone del resto in tal senso, all’evidenza, il fatto che la motivazione della commissione tributaria regionale sul punto si basi anche sulla esplicita ed argomentata enucleazione di tutti i profili che rendevano nella specie necessario tale ricalcolo, in ciò una volta di più individuandosi la “seconda statuizione” ormai coperta dal giudicato sulla sentenza n. 47/9/07.

p. 5.1 Con il quarto motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 40 e D.P.R. n. 131 del 1986, art. 76 (qualora la Commissione Tributaria Regionale avesse ritenuto che il ricalcolo trovasse legittimazione in queste disposizioni), dal momento che l’imposta principale di successione doveva essere liquidata, a pena di decadenza, nel termine di tre anni dalla data di presentazione della denuncia, senza possibilità di recupero frazionato in pendenza di giudizio, e che questo termine era nella specie ampiamente decorso. Inoltre le disposizioni da ultimo citate regolavano il pagamento della diversa imposta “complementare” di registro, o di successione, scaturente da un maggior valore accertato, ipotesi qui non ricorrente.

p. 5.2 Il motivo è infondato perché a sua volta affetto dalla già evidenziata erroneità di prospettiva; là dove non si trattava nella specie di recuperare l’imposta di successione complementare così come rinveniente dalle originarie dichiarazioni rettificate nel valore dei cespiti denunciati (con applicazione delle norme di cui si assume la violazione), bensì di quantificare gli importi dovuti per dare corso al condono ex L. n. 289 del 2002; dunque all’esito di un evento sopravvenuto, costituito dalla pendenza del giudizio e dalla pronuncia resa in tal senso dal giudice della sentenza n. 47/9/07.

Va anzi considerato come il motivo in esame risulti finanche inammissibile nella parte in cui, attraverso la denunciata violazione di legge, vorrebbe porre in questa sede in discussione il potere-dovere dell’ufficio di ricalcolare il dovuto per consentire la definizione della lite ai sensi della legge menzionata; aspetto della cui intangibilità già si è detto.

p. 6.1 Con il quinto motivo di ricorso si lamenta subordinatamente – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c.. Per non avere la commissione tributaria regionale pronunciato sugli altri motivi di contestazione del ricalcolo dai contribuenti dedotti nel ricorso originario, poi ritenuti assorbiti dalla sentenza di primo grado e, quindi, reiterati in appello nelle controdeduzioni depositate il 24 dicembre 2014.

Motivi segnatamente concernenti: – la congruità degli importi inizialmente versati per la definizione della lite; – l’impossibilità per l’ufficio di richiedere il pagamento di ulteriori somme per imposte ipotecaria e catastale, dal momento che questi tributi erano già stati pagati per intero: una prima volta in sede di autoliquidazione 29 settembre 1997 ed una seconda volta per l’ulteriore importo del 50% in sede di definizione agevolata; – l’obbligo dell’amministrazione finanziaria, qualora non si fosse ritenuta definibile la lite sull’imposta ipo-catastale e l’Invim, di procedere al rimborso di quanto a tali titoli già percepito, senza possibilità di compensazione; – violazione del ne bis in idem nel momento in cui l’ufficio tornava a pretendere, in carenza di potere, l’imposta principale di successione già richiesta con gli originari avvisi di liquidazione del 24 novembre 1998; – l’avvenuta decadenza sia dall’accertamento sia dalla riscossione dell’imposta così come liquidata con gli originari avvisi teste’ menzionati; – illegittimità dell’avviso di liquidazione qui opposto per difetto di motivazione sui calcoli seguiti.

p. 6.2 Il motivo è parzialmente fondato.

Dalle risultanze di causa, riportate per autosufficienza nel ricorso per cassazione e negli atti a quest’ultimo allegati, risulta che i contribuenti avessero contestato l’atto di ricalcolo anche per vizi suoi propri di quantificazione, cioè indipendentemente dal potere dell’ufficio di emanarlo e dalla asserita preclusività della sentenza n. 47/9/07.

Orbene, questi motivi di contestazione dell’avviso di liquidazione in ricalcolo non sono stati affrontati nella sentenza qui impugnata, fatta eccezione per quello concernente la motivazione del ricalcolo stesso, in ordine al quale la commissione tributaria regionale ha espresso il convincimento di infondatezza, posto che “viene peraltro allegato all’atto un prospetto di liquidazione che rende comprensibile il calcolo ed il risultato delle operazioni eseguite”.

E’ però mancata una pronuncia sugli altri motivi di contestazione del ricalcolo, il che determina in effetti la violazione, sul punto, dell’art. 112 c.p.c. e la necessità di cassazione con rinvio della sentenza impugnata.

Il giudice del rinvio dovrà dunque esaminare nel merito i motivi di contestazione riferibili all’avviso di liquidazione in ricalcolo ex se e relativi alla sola quantificazione del dovuto; dunque i motivi diversi da quelli – già decisi e respinti – concernenti il potere-dovere di ricalcolo stesso da parte dell’ufficio, ovvero la sufficienza motivazionale dell’avviso medesimo in ordine ai criteri seguiti dall’Ufficio nelle operazioni di riconteggio ad esso sottese.

Il Giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

PQM

La Corte:

accoglie in parte il quinto motivo di ricorso, respinti gli altri;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla commissione tributaria regionale del Lazio la quale, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

 

 

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