Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6613 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6613 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 8216-2014 proposto da:
LANIA CETTINA VANDA, LANIA ELISA, elettivamente
domiciliate in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 155, presso
lo studio dell’avvocato CLAUDIA ZI-IARA BUDA, che le rappresenta
e difende unitamente all’avvocato GAETANO RIZZO giusta procura
in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

63v3

Data pubblicazione: 06/04/2016

PORTOGHESI 12, presso ‘AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
controricorrente –

avverso il decreto n. 262/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 10 maggio 2013 presso la Corte d’appello di
Catanzaro Elisa e Cettina Vanda LANIA, agendo in proprio e quali eredi di
Vincenza Marzano (deceduta il 3.2.1999), hanno proposto opposizione ex art. 5
ter legge n. 89 del 2001 avverso il decreto presidenziale, del 13 aprile 2013, che in

parziale accoglimento della domanda di equa riparazione, aveva liquidato in
favore delle stesse Lania, per la sola posizione di eredi, la complessiva somma di
€. 4.900,00, rigettata ogni altra loro pretesa. Insistevano le predette affinché
venisse loro riconosciuto un equo indennizzo per l’ingiustificata durata di un
procedimento iniziato dalla loro de cuius con atto di citazione in riassunzione,
notificato il 4 luglio 1984, introdotto dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria e
concluso con sentenza della Corte di appello reggina depositata il 4 luglio 2011.
Precisavano le eredi della Marzano che il giudizio presupposto, durato
complessivamente per ventisette anni e due mesi, si era svolto per entrambi i
gradi con le parti originarie, mai dichiarato l’evento interruttivo del decesso della
loro dante causa, e ciò nonostante il gravame era durato tredici anni e cinque
mesi, di cui undici anni e cinque mesi indennizzabili in favore delle eredi iure
proprio.

Ric. 2014 n. 08216 sei. M2 – ud. 24-09-2015
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CATANZARO del 3/10/2013, depositato il 14/10/2013;

Nella contumacia del Ministero della giustizia, la Corte di Appello di Catanzaro
ha rigettato l’opposizione quanto alla durata indennizzabile, accogliendola sul

quantum, per non avere le opponenti assunto la qualità di parti dopo il decesso
della madre.
Per la cassazione di tale decreto hanno proposto ricorso le LAMA, sulla base di
controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
Con l’unico motivo le ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2 della Legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della CEDU, per

non avere riconosciuto loro, jure pmprio, l’indennizzo per la durata eccessiva del
grado di appello, per il periodo intercorrente tra il decesso della de cuius e la sua
conclusione, pur in mancanza della loro costituzione, non avendo le stesse dato
causa alle lungaggini processuali.
Il ricorso è privo di fondamento.
Nel caso di specie — come correttamente evidenziato dalla corte di merito – vi è
la necessità di distinguere l’azione esercitata dalle originarie ricorrenti iure
hemditatis da quella relativa alla durata non ragionevole del processo da loro

proseguito iure proprio.
In tema di equa riparazione

ai sensi

della L n. 89 del

2001,

qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del
termine di ragionevole durata del processo – contrariamente a quanto asserito
dalle ricorrenti – l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio,
soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal
momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità
di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione
processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in
Ric. 2014 n. 08216 sez. M2 – ud. 24-09-2015
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un unico complessivo motivo; il Ministero intimato ha resistito con

quanto il sistema sanzionatoti° delineato dalla CEDU e tradotto in norme
nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena
pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie
a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non
patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna

rapida conclusione (Cass. n. 23416 del 2009; Cass. n. 2983 del 2008). In altri
termini, non può assumersi come riferimento temporale di determinazione del
danno l’intera durata del procedimento, ma è necessario procedere ad una
ricostruzione analitica delle diverse frazioni temporali al fine di valutarne
separatamente la ragionevole durata, senza, tuttavia, escludere la possibilità di un
cumulo tra il danno morale sofferto dal dante causa e quello personalmente
patito dagli eredi nel frattempo intervenuti nel processo, non ravvisandosi
incompatibilità tra il pregiudizio patito iure proprio e quello che lo stesso soggetto
può far valere pro quota e iure successionis, ove già entrato a far parte del patrimonio
del proprio dante causa (in termini, Cass. n. 21646 del 2011; nello stesso senso:
Cass. n. 10517 del 2013; Cass. n. 995 del 2012; Cass. n. 1309 del 2011; Cass. n.
13803 del 2011).
In proposito, giova ricordare che di recente (Cass. n. 4004 del 2014) questa Corte

nel ribadire il principio di cui sopra ha chiarito che a diverse conclusioni in
merito alla computabilità del periodo tra il decesso dell’originaria parte nel
giudizio presupposto e la costituzione dei suoi eredi non può neanche pervenirsi,
traendo spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 585
del 2014, che, dirimendo un contrasto tra sezioni semplici in merito alla
possibilità che il contumace nel processo presupposto possa far valere il diritto

all’equa riparazione per la non congrua durata dello stesso, ha statuito la
equiparazione – ai fini della possibile insorgenza del diritto al ristoro del danno
non patrimoniale – tra parti costituite e parti chiamate a partecipare a quel
giudizio, ma in esso non intervenute, proprio alla luce dei postulati predetti.
Ric. 2014 n. 08216 sei. M2 – ud. 24-09-2015
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subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua

Non può neanche sottacersi che nella recente sentenza – di irricevibilità – della
Seconda Sezione della CEDU del 18 giugno 2013, in causa Fazio e altri c. Italia,
si è affermato che la qualità di erede di una parte nel procedimento presupposto
non conferisce, di per sé, il diritto a considerarsi vittima della, eventualmente
maturata, durata eccessiva del medesimo e che l’interesse dell’erede alla
costituzione nello stesso, dato che solo attraverso l’intervento nel procedimento
l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare e di influire sull’esito dello stesso.
Sotto detto profilo, pertanto, il motivo è da respingere, per avere la corte
distrettuale correttamente considerato il diritto delle ricorrenti all’indennizzo
maturato iure proprio con decorrenza dalla data di costituzione delle stesse (in

qualità di eredi) nel giudizio presupposto.
Ne consegue che la Corte di appello ha fatto buon governo dei principi sopra

enunciati ai fini del computo della durata complessiva del giudizio, quanto alla
posizione vantata iureproprio dalle ricorrenti nel giudizio di appello.
Conclusivamente, alla luce delle considerazioni sopra svolte, il ricorso va
respinto, con conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese del
giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo.
Risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato
esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla
dichiarazione di cui al T.U. approvato con il D.P.R 30 maggio 2002, n. 115, art.

conclusione rapida della causa difficilmente è conciliabile con la sua mancata

13, comma 1-quater, introdotto dalla L 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma
17.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

Ric. 2014 n, 08216 sez. M2 – ud. 24-09-2015
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condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di
cassazione, che liquida in complessivi €. 500,00 per compensi, oltre a spese
prenotate e prenotande a debito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2^ Sezione Civile, il 24

settembre 2015.

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