Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6613 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 01/02/2022, dep. 01/03/2022), n.6613

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3387/2015 proposto da:

A.T., A.R., figli della de cujus B.A.,

nonché Be.Lu., B.L. e B.V., quali

rispettivamente coniuge e figli del de cujus B.T., tutti

rappresentati e difesi in giudizio dall’avv. Antonio Petillo di

Roma, come da procura in atti, presso il quale sono ivi el.dom.ti in

P.za Libertà 10;

– parte ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello

Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– parte intimata –

Ricorso n. 3387/15 avverso sentenza Commissione Tributaria Centrale

Sez. Roma n. 16 dell’8.1.2014;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1.2.2022 dal

Consigliere Giacomo Maria Stalla;

udito il Procuratore Generale Dott. Alberto Cardino che ha concluso

per l’inammissibilità ovvero il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

p. 1. A.T., A.R., figli della de cujus B.A., nonché Be.Lu., B.L. e B.V., quali rispettivamente coniuge e figli del de cujus B.T., propongono cinque motivi di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria centrale ha respinto il ricorso dei contribuenti relativo all’avviso di accertamento 2.7.91 di rettifica del valore di taluni fabbricati e terreni siti in (OMISSIS), già fatti oggetto di dichiarazione di successione a seguito del decesso del dante causa B.V. (successione apertasi l’11.7.86).

La commissione tributaria centrale, in particolare, ha osservato che:

– l’avviso di accertamento in questione doveva ritenersi sufficientemente motivato perché facente richiamo ai criteri astratti di stima del maggior valore dei cespiti immobiliari dichiarati, né i contribuenti avevano subito pregiudizio di sorta nell’esercitare il proprio diritto di difesa in tutti i gradi del giudizio;

quanto al merito, l’avviso di accertamento andava confermato nei limiti di quanto già ritenuto dalla commissione tributaria di secondo grado, secondo cui la maggiore stima derivava da un accertamento UTE, ed anche in considerazione del fatto che i contribuenti “potevano usufruire di una valutazione con i coefficienti automatici con la presentazione dell’apposita istanza prevista dal D.L. n. 70 del 1988, art. 12 anche per le successioni aperte anteriormente a tale data”;

mentre per alcuni cespiti (terreni di cui ai nn. 1, 2, 4, 5) il valore dichiarato doveva ritenersi congruo, per altri cespiti (numeri 3, 6) era invece congruo il maggior valore accertato; per i cespiti residui, sulla base della documentazione fotografica e della successiva certificazione catastale, il valore accertato doveva infine essere abbattuto del 30%.

L’agenzia delle entrate ha depositato atto tardivo di costituzione al solo fine dell’eventuale discussione in udienza.

Fissato all’udienza pubblica odierna, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, sopravvenuto art. 23, comma 8-bis, inserito dalla legge di conversione L. n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza fisica del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione del citato D.L. n. 70 del 1988, art. 12 dal momento che si trattava di disposizione (non retroattiva) entrata in vigore successivamente tanto all’apertura della successione di B.V. (11 luglio 1986) quanto alla relativa dichiarazione (3 gennaio 1987).

p. 2.2 Il motivo è infondato.

La Commissione Centrale – nel richiamare e fare propria la decisione della Commissione Tributaria di II grado – ha ritenuto la legittimità del comportamento dell’amministrazione finanziaria che aveva proceduto alla rettifica di valore basandola su una stima dell’UTE. Ciò perché si trattava, nella specie, di appurare l’effettivo valore di mercato degli immobili, senza possibilità di ricorso ad automatismo di sorta; da qui la valutazione di congruità nel merito del dichiarato, ovvero dell’accertato, nonché l’abbattimento percentuale operato dal giudice in ragione delle caratteristiche dei vari cespiti caduti in successione.

In sostanza, nella sentenza qui censurata si individua con sufficiente chiarezza una ragione decisoria volta ad escludere l’accesso al regime di valutazione automatica e, pertanto, volta a negare la preclusione dell’accertamento di maggior valore da parte dell’amministrazione finanziaria.

Ora, per quanto questa ragione decisoria faccia “anche” riferimento quale elemento ostativo alla preclusione – al mancato esercizio da parte dei contribuenti della facoltà di cui al D.L. n. 70 del 1988, art. 12 (argomento non pertinente stante il difetto, sul punto, di efficacia retroattiva della disposizione da ultimo citata, sopravvenuta alla successione), resta fermo che il “decisum” (insussistenza della preclusione) della Commissione Centrale risulta comunque corretto in diritto, stante il presupposto fattuale (qui pacifico) della mancata iscrizione a catasto degli immobili oggetto di stima.

Situazione fattuale in effetti ostativa anche alla (teorica) applicazione del regime sostitutivo automatico previsto dalla normativa all’epoca vigente, secondo cui (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52, comma 4, rilevante anche per l’imposta di successione): “Non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sul reddito (…)”.

Si è sul punto stabilito (v. Cass. n. 7676/03, così anche Cass.n. 13110/08) che: “In tema di imposta di registro, ai fini dell’applicazione del criterio automatico di valutazione degli immobili – previsto dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, – relativamente agli atti ed alle scritture anteriori all’entrata in vigore del citato decreto, ai sensi dell’art. 79 del medesimo, occorre pur sempre che l’immobile oggetto di trasferimento fosse già dotato di rendita catastale, tenendo anche conto che il D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12 (convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154), nel prevedere l’applicazione, su richiesta del contribuente, del criterio automatico di valutazione anche ai trasferimenti relativi agli immobili non ancora censiti in catasto con attribuzione di rendita, limita espressamente la propria efficacia agli atti ed alle scritture intervenuti a decorrere dalla sua entrata in vigore”.

In motivazione, si è osservato (Cass. n. 7676/03 cit.) che l’art. 52, comma 4 cit. “non stabilisce come l’Ufficio debba effettuare la valutazione; si “limita” a vietarla nel caso in cui sussistano i presupposti di legge stabiliti (…). In mancanza di questi, l’ufficio, se ritiene che il valore dichiarato o il corrispettivo pattuito sia inferiore al valore venale, è libero di procedere all’accertamento dello stesso (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, commi 3 e 4 e art. 52, comma 1).

I presupposti per “bloccare” l’azione di accertamento (eventualmente, anche in presenza di una dichiarazione di valore manifestamente infedele) sono i seguenti:

a) che il valore o prezzo dichiarato non sia inferiore a quello risultante dai parametri catastali, indicati dalla legge;

b) che l’immobile sia già accatastato, perché, altrimenti, mancherebbe il parametro di riferimento”.

A quest’ultimo proposito (mancato accatastamento in contesto di non applicabilità retroattiva dell’art. 12 D.L. cit.), veniva richiamato quanto già stabilito da questa Corte di legittimità (Cass. civ. sent. 4247/1997) secondo cui: “L’applicazione della norma del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, comma 4, testo unico sull’imposta di registro – che esclude la sottoposizione a rettifica da parte dell’ufficio del registro del valore o del corrispettivo dichiarati nell’atto nel caso in cui essi non siano inferiori al cosiddetto valore catastale dell’immobile – presuppone necessariamente che all’immobile oggetto del trasferimento sia già stata attribuita una rendita catastale, e all’originaria carenza di questo requisito non può supplire l’avvenuta attribuzione di detta rendita durante la pendenza del giudizio tributario d’impugnazione dell’avviso di accertamento, come si evince sia dal tenore letterale della citata disposizione, sia dalla limitazione all’applicazione retroattiva del criterio di valutazione automatica posta dal medesimo D.P.R. n. 131 del 1986, art. 79 sia dalla prevista non retroattività del D.L. n. 70 del 1988, art. 12 convertito con modificazioni dalla L. n. 154 del 1988, che ammette, a determinate condizioni, la valutazione automatica anche per gli immobili privi di rendita catastale”.

p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c., per aver ascritto ai contribuenti una domanda di riconoscimento di un valore immobiliare inferiore a quello accertato dall’ufficio, nonostante che essi avessero invece sempre chiesto, nei vari gradi di giudizio, una pronuncia di avvenuta preclusione per l’ufficio di disporre l’accertamento in questione, trattandosi di immobili denunciati con applicazione di criteri automatici (per i terreni, utilizzando il coefficiente di rivalutazione riferito alla dichiarazione dei redditi per l’anno 1985 ex art. 15 c.p.c.; per i fabbricati, all’epoca privi di rendita catastale, utilizzando le rendite catastali dei fabbricati similari già censiti nella stessa via).

p. 3.2 Il motivo è destituito di fondamento, se solo si consideri che secondo quanto osservato nella disamina del motivo che precede – la Commissione Centrale è addivenuta ad una stima del valore di mercato degli immobili secondo quanto già ritenuto dal giudice di II grado; ed in questa decisione è di per sé insito il rigetto del motivo di opposizione con il quale i contribuenti intendevano far valere la preclusione all’accertamento da parte dell’Ufficio.

E’ su tale presupposto che il giudice di merito si è poi trovato ad operare una verifica degli effettivi valori immobiliari qui imponibili (in alcuni casi rettificando al ribasso i valori accertati nell’avviso opposto), ciò risultando imposto dalla ritenuta inapplicabilità del regime automatico.

Dunque, non si è trattato di una “sostituzione” di domanda ovvero di una omessa pronuncia in ipotesi rilevanti ex art. 112 c.p.c., quanto di adeguamento della decisione ad una realtà processuale che, esclusa la preclusione, imponeva al giudice di entrare nel merito della stima.

Tanto più che, come si precisa nella parte rievocativa della sentenza impugnata, i contribuenti avevano nei precedenti gradi di giudizio sempre insistito per l’ottenimento di una pronuncia che confermasse la congruità dei valori da essi dichiarati. E questa pronuncia è poi in effetti stata resa, sebbene eliminata (ed anzi, proprio perché eliminata), l’applicabilità del regime automatico.

p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso si sostiene la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – per contraddittorietà, dal momento che essa imputava ai contribuenti di non aver presentato la richiesta di cui al D.L. 70 del 1988, art. 12 con riguardo a delle rendite catastali (di immobili similari) che poi vennero in effetti attribuite in sede di accatastamento dei fabbricati in questione, ma quindi annullate con decisione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 279 dell’8 ottobre 2007.

p. 4.2 Il motivo è destituito di fondamento.

Perché sia riscontrabile un’ipotesi di vera e propria nullità della sentenza per assenza di motivazione occorre che quest’ultima risulti meramente apparente ovvero totalmente incomprensibile nella individuazione della ragione che sorregge la decisione.

Nel caso di specie si lamenta una contraddittorietà in realtà insussistente, essendo la ragione decisoria della commissione centrale come detto – agevolmente individuabile nel rigetto della tesi dei contribuenti secondo cui, in presenza di regime automatico di valutazione, ogni accertamento di maggior valore sarebbe stato precluso per legge.

Ciò è quanto si evince dalla motivazione censurata, secondo la quale una volta esclusa la preclusione da regime automatico, doveva il giudice tributario entrare “nel merito” per addivenire alla ricostruzione degli elementi della fattispecie impositiva mediante attribuzione agli immobili del valore imponibile loro proprio.

Il che rispondeva ad una logica lineare e niente affatto contraddittoria o basata su affermazioni tra loro inconciliabili.

p. 5.1 Con il quarto motivo di ricorso si lamenta “omessa e contraddittoria motivazione” – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dal momento che la questione dell’omessa istanza ex art. 12 D.L. citato era emersa per la prima volta solo avanti alla commissione tributaria di secondo grado, e che la commissione centrale aveva erroneamente negato valore probatorio alla circostanza fattuale allegata dai contribuenti, secondo cui la mancanza di rendite catastali sui fabbricati legittimava l’utilizzo di quelle unitarie già esistenti sugli immobili similari.

p. 5.2 Il motivo è inammissibile.

Il vizio così denunciato deve trovare inquadramento nella nuova disciplina dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012 convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 2012 (sentenza impugnata pubblicata dopo l’11 settembre 2012); disciplina in base alla quale la sentenza può essere impugnata, in sede di legittimità, non più per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia” (previgente formulazione dell’art. 360, n. 5 in esame), bensì nei ben più ristretti limiti dell'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

In ordine a tale nuova formulazione – applicabile anche al ricorso per cassazione proposto avverso sentenze del giudice tributario – si è affermato (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014) che: “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (così, in seguito, Cass. n. 12928/14; Cass. ord. n. 21257/14; Cass. 2498/15 e numerosissime altre).

Ora, nella specie la questione dell’istanza ex art. 12 D.L. cit. costituiva elemento giuridico della fattispecie, e non fattuale, così da non poter rientrare nella doglianza formulata.

Inoltre, per le già indicate ragioni, l’insussistenza – all’epoca – di accatastamento con attribuzione di rendita, costituiva circostanza, non omessa, ma considerata dalla Commissione Centrale, la quale proprio per il mancato accatastamento (qui rilevante nella sua dimensione prettamente fattuale) ha escluso il ricorso al criterio automatico di stima, con ciò prendendo conseguentemente a base la menzionata perizia UTE disposta dall’Ufficio.

p. 6.1 Con il quinto motivo di ricorso si deduce nuovamente la questione della mancata presentazione dell’istanza ai sensi del D.L. n. 70 del 1988 cit., ma sotto il profilo della omessa pronuncia circa l’eccezione di irretroattività di quest’ultima normativa, con conseguente applicabilità del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 52 a sua volta comportante la preclusione dell’accertamento erariale.

p. 6.2 II motivo è infondato per le ragioni (non decisività dell’argomento asseritamente pretermesso) già indicate nel disattendere il primo motivo di ricorso. Va anzi segnalato come proprio la formulazione di un vizio di violazione e falsa applicazione normativa ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) (come nella prima doglianza) si ponga in evidente contraddizione con l’autonomo assunto di un’omessa pronuncia sul medesimo punto.

Il ricorso va dunque rigettato.

Nulla si provvede sulle spese, stante il mancato svolgimento di difese da parte dell’amministrazione convenuta.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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