Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6612 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6612

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA FINANZE in persona del Ministro pro tempore,

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

M.C.C., M.C.M., elettivamente

domiciliate in ROMA VIALE DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio

dell’avvocato AMBROSIO GIUSEPPE, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ORLANDI CLAUDIO, giusta delega in calce;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 23/2005 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 15/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il resistente l’Avvocato AMBROSIO, che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Ministero delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate ricorrono per cassazione contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Milano che – confermandola sentenza di primo grado che aveva accolto, sul punto, il ricorso proposto dalle sig.re M.C. M. e C. avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta sulla loro successione a C.G. – aveva ritenuto che ai fini della liquidazione di detta imposta non potesse trovare applicazione la presunzione di esistenza nell’attivo ereditario di denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario, prevista dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, comma 2.

A tale conclusione la Commissione Tributaria Regionale era giunta argomentando che la suddetta presunzione risultava vinta dall’inventario dei beni ereditar redatto dal custode giudiziario nominato con il provvedimento di sequestro dell’intero asse ereditario disposto dal tribunale di Milano nell’abito di una causa tra coeredi; inventano che la Commissione Tributaria Regionale giudicava equivalente, per gli effetti di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, comma 2, all’inventario redatto ai sensi dell’art. 769 c.p.c., espressamente menzionato da tale disposizione.

La difesa erariale pone a fondamento del ricorso due distinti motivi:

art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, comma 2.

Art. 360 c.p.c., n. 5. Insufficiente contraddittoria e illogica motivazione circa un punto decisive della controversia.

Le intimate si sono costituite nel giudizio di cassazione depositando controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 18.1.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

L’eccezione di inammissibilità per decadenza ex art. 327 c.p.c. è infondata. La sentenza impugnata è stata depositata il 15.2.2005 e non è stata notificata; il termine annuale (un anno più 46 giorni di sospensione feriale) scadeva quindi il 2.4.2006; il ricorso è stato consegnato agli ufficiali giudiziari, per la notifica a mezzo posta, in data 1.4.06, come si evince dal timbro col numero cronologico e la data “1 APR 2006” apposto sulla prima pagina del ricorso (sulla idoneità de timbro contenente il numero cronologico dell’ufficio degli ufficiali giudiziari, anche non firmato, a documentare la data di consegna di un atto per la notifica, vedi le sentenze di questa Corte nn. 14294/07, 7440/08, 22003/08); pertanto il ricorso va giudicato tempestivo ai sensi dell’art. 149 c.p.c., nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica recata dalla L. n. 263 del 2005, quale risultante dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 477/2002.

La Corte deve peraltro rilevare di ufficio l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Quest’ultimo non è stato parte del giudizio di secondo grado (a cui ha partecipato solo l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate), cosicchè non ha alcun titolo che lo legittimi a partecipare al presente giudizio. Sussistono giusti motivi, in considerazione del fatto che la giurisprudenza in argomento di questa Corte si è formata in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per disporre la compensazione delle spese del presente giudizio di cassazione tra il Ministero e la parte resistente.

Quanto al ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate, esso risulta affidato a due motivi.

Con il primo motivo si censura l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata interpretando il D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, nel senso che la presunzione, prevista in detta disposizione, di esistenza nell’attivo ereditario di denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse possa essere vinta non solo dall’inventario redatto ai sensi dell’art. 769 c.p.c., espressamente menzionato dalla norma, ma anche da un inventario dei beni ereditari redatto da un custode giudiziario nominato nell’ambito di un procedimento cautelare di sequestro giudiziario.

Con il secondo motivo si censura il difetto di motivazione della sentenza sul punto decisivo relativo alle ragioni che nel caso concreto avrebbero consentito di equiparare l’efficacia probatoria del verbale del custode nominato in sede di sequestro giudiziario dei beni ereditari all’inventario redatto ai sensi dell’art. 769 c.p.c..

(1 primo motivo è fondato e dal suo accoglimento discende assorbimento del secondo.

Questa Sezione ha già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 15532 del 2006, che l’omissione delle formalità prescritte per la completezza del documento (inventario, ndr), o la redazione del medesimo oltre il termine massimo stabilito dalle norme surrichiamate, lo rendono inidoneo a provare il contrario dell’indicata presunzione. Quindi, avuto riguardo al richiamo dell’art. 769 cod. proc. civ., contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1990 e alla ratio di quest’ultimo, èda escludere che assumano rilevanza, ai fini dell’imposta di successione, inventari compilati ed utilizzati a fini diversi da quelli indicati nel medesimo art. 769 cod. proc. civ. e perciò, per vincere la presunzione di cui al precitato art. 9, comma 2, l’inventario deve esser strumentale all’accettazione beneficiata dell’eredità e valido sostanzialmente e formalmente, e cioè deve esser completo – ossia comprendere realmente tutti i beni facenti parte dell’attivo relitto – e deve esser stato redatto secondo il regime formale dettato, in via generale, dall’art. 769 c.p.c., e ss., e art. 192 disp. att. c.p.c. e, in particolare, per quelli del corrispondente tipo, tra cui, per quelli afferenti alla accettazione beneficiata, sia stato preceduto dall’adempimento, della preventiva simulazione, quando questa sia prescritta a pena di invalidità dell’inventario (Cass. 4578/1990).

La pronuncia citata si inserisce nel solco di un costante orientamento della Corte secondo cui l’inventario – per superare la presunzione fissata dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, comma 2, – deve essere redatto secondo il regime dettato, in via generale, dagli artt. 769 c.p.c. e segg. e art. 192 disp. att. c.p.c. e, in via particolare, dalle norme proprie dell’istituto per la cui realizzazione è stato predisposto sin dall’origine (sentenza n 11993/2006 e, successivamente, nn. 5974/2007 e 9767/09); da tale orientamento non vi è ragione di discostarsi e pertanto la sentenza impugnata va cassata, per aver erroneamente ritenuto che la presunzione di cui al D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 9, possa essere superata da un verbale redatto da un soggetto (custode giudiziario, coadiuvato dall’ufficiale giudiziario) diverso dai soggetti (cancelliere o notaio) di cui agli artt. 769 e segg. c.p.c. e senza il rispetto delle forme previste in tali articoli e nell’art. 192 disp att. c.p.c..

Poichè il ricorso proposto dalle contribuenti contro l’avviso di liquidazione si fonda esclusivamente – per la parte che non è stata già respinta con il capo non appellato della sentenza di primo grado – sul dedotto superamento della presunzione di esistenza nell’attivo ereditario di denaro, gioielli e mobilia D.Lgs n. 346 del 1990, ex art. 9, comma 2, non c’è necessità di ulteriori accertamenti di fatto e dunque la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., col rigelo dell’impugnativa dell’avviso di liquidazione.

Le spese dei gradi di merito e quelle del giudizio di legittimità vanno a carico delle intimate.

PQM

La Corte accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., rigetta l’opposizione avverso l’avviso di liquidazione.

Condanna le signore M. e C.M.C. a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità – che liquida in Euro 5.000 per onorari, oltre spese prenotate a debito – e dei gradi di merito, che liquida in euro 2.000 per onorari e 200 in diritti per ciascuno dei gradi di merito.

Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero dell’Economia e delle Finanze e compensa le spese tra il Ministero e le intimate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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