Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6612 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6612 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 7825-2014 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che 10 rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro

PIRAS ELIANA e PIRAS MARINELLA;
– intimate –

avverso il decreto n. 53384/2010 R.V.G. della CORTE D’APPELLO
di ROMA del 3/06/2013, depositato il 13/09/2013;

C-306
_35

Data pubblicazione: 06/04/2016

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 13.9.2013 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda

ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale conseguente alla durata
non ragionevole di un giudizio introdotto dalla loro dante causa dinanzi al
Tribunale di Cagliari, con atto di citazione notificato 1’8 gennaio 1988, definito in
unico grado con sentenza depositata il 27 aprile 2009, commisurato l’indennizzo
in €. 13.250,00 pro quota e in €. 3.000,00 ciascuna (per essersi le stesse costituite
in proprio a seguito del decesso dell’attrice, il 9.2.2006) per il periodo di durata
irragionevole del giudizio presupposto superiore ai quattro anni.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso,
affidato a due motivi; in sede di legittimità le intimate PIRAS non hanno svolto
difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 112 e 75 c.p.c., nonché l’art. 2 della legge n. 89 del
2001 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per avere la corte di merito
totalmente omesso una pronuncia sulla eccezione introdotta fin dal primo atto
difensivo dall’allora resistente di difetto di legittimazione attiva delle ricorrenti
con riguardo al titolo indennitario azionato in via successoria, senza peraltro
avere dato specifica prova della loro qualità di erede, l’unico titolo in via esclusiva
dedotto.
La censura è priva di pregio.

Ric. 2014 n. 07825 sez. M2 – ud. 24-09-2015
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proposta da Eliana e Marinella PIRAS, quali eredi di Anna Maria Mura, intesa ad

Questa Corte ha costantemente affermato che il diritto alla trattazione delle
cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art. 6, paragrafo 1, della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, specificamente richiamato dalla L 24 marzo 2001, n. 89, art. 2,
solo con riferimento alle cause “proprie” e, quindi, esclusivamente in favore delle
favore di soggetti che siano ad essa rimasti estranei (Cass. 14 maggio 2010 n.
11761; Cs. 12 luglio 2011 n. 15250; Cass. 8 maggio 2012 n. 7024).
Ciò posto, nella specie, pur esercitando le ricorrenti un diritto in qualità di eredi
della madre, le stesse risultano costituite personalmente nel giudizio presupposto,
deceduta la loro dante causa nel corso del processo avente una durata
irragionevole — come si evince dalla lettura del decreto impugnato (v. pag. 2,
primo cpv) – per cui non si pone in questa sede alcuna questione di difetto di
prova della legittimazione attiva, trattandosi di accertamento superato in questa
sede dall’essere le resistenti titolari di causa propria.
Con il secondo motivo, in via subordinata rispetto alla prima doglianza,
l’amministrazione deduce con la ulteriore censura — insistendo nella violazione

delle medesime norme sopra invocate — che la corte di merito non avrebbe
erroneamente considerato l’incidenza della data del decesso della dante causa
(avvenuto il 9.2.2006, v. decreto impugnato) nella determinazione della durata
irragionevole del processo presupposto, prese in esame frazioni temporali
successive alla data di decesso della dante causa, pur unitariamente considerato il
periodo per l’equa riparazione. Aggiunge la ricorrente che il decreto impugnato

avrebbe operato una meni operazione di scomputo del termine di durata
ragionevole, prescindendo

da

ogni valutazione della rilevanza del

comportamento processuale delle parti e dell’incidenza di fattori di altra natura.
La doglianza è fondata.
Occorre premettere che, nel caso di specie, le Piras risultano avere esercitato la
pretesa indennitaria spendendo la qualità di eredi di Anna Maria Mura, sebbene
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“parti” della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in

esse si siano anche costituite nel giudizio presupposto dopo il decesso della dante
causa.
Ciò posto, in tema di equa riparazione ai sensi della L n. 89 del 2001, qualora la
parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di
ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento
decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore
originario, giacchè l’erede ha diritto al riconoscimento dell’in. dennizzo, iure
proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con
decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua
volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della
sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110
c.p.c., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in
norme nazionali dalla L n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una
pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni
riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non
patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto paterna
subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua
rapida conclusione (Cass. n. 23416 del 2009; Cass. n. 2983 del 2008.)
Risulta quindi illogico, pur a fronte della riconosciuta distinzione delle diverse
posizioni assunte nel processo presupposto dalle Piras, attribuire alle stesse oltre
al diritto all’equo indennizzo vantato iure hereditatis, quello spettante iure
proprio, seppure non richiesto.
Alla luce delle considerazioni sopra svolte, rigettato il primo motivo di
ricorso, va accolto il secondo e il decreto impugnato deve essere cassato in
relazione alla censura accolta.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito, ai
sensi dell’art. 384 c.p.c., e conseguentemente il danno non patrimoniale deve

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dell’indennizzo, iure hereditatis, dovendosi a tal fine tenere conto del periodo

essere determinato nella sola somma complessiva pro quota di €. 13.250,00, con
gli interessi legali dalla domanda.
Ferma la statuizione sulle spese di merito, le spese del giudizio di cassazione
vanno interamente compensate fra le parti stante la peculiarità della fattispecie e

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo del ricorso, rigettato il primo;
cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e decidendo nel merito
determina l’indennizzo in favore delle Piras solo iure hereditatis in €. 13.250,00
pro quota, oltre interessi legali dalla domanda;
Confermata la statuizione sulle spese di merito, dichiara interamente compensate
fra le parti le spese processuali del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2^ Sezione Civile, il 24
settembre 2015.

la sola parziale fondatezza del ricorso.

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