Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6611 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

M.F., in proprio e per conto dei coeredi, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA G. ANTONELLI 50, presso lo studio

dell’avvocato GENNARO GIOVANNI CARLO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BARLA GIORGIO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 49/2005 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 20/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’improcedibilita del ricorso in

subordina rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data 26 febbraio 2000 il sig. M.F., in proprio e per conto dei coeredi C.G., M.N., M.M.C. e M.A., presentava una dichiarazione di successione integrativa con la quale veniva dichiarato un immobile del valore di L. 88.200.000, non ricompreso nell’originaria denuncia di successione, presentata in data 22 marzo 1984.

Preso atto di quanto dichiarato dagli eredi, l’Ufficio procedeva alla riliquidazione dell’imposta, con avviso notificato in data 16 ottobre 2002.

In data 11 dicembre 2002 gli eredi M. presentavano una ulteriore dichiarazione rettificativa con la quale – premesso che il valore di L. 88.200.000 esposto nella dichiarazione integrativa del 26.2.2000 era erroneo, perchè corrispondente al valore dell’immobile riferito all’anno 2000 e non all’anno di apertura della successione – indicavano detto valore in L. 6.600.000 e chiedevano contestualmente che l’avviso di liquidazione venisse ritirato in autotutela. Avendo l’Ufficio mantenuto fermo l’avviso di liquidazione, gli credi M. lo impugnavano davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di forino, che respingeva il ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale di Torino, adita dai contribuenti con l’appello, riformava la sentenza di primo grado, annullando l’avviso di liquidazione e disponendo che l’imposta fosse calcolata con riferimento al valore imponibile risultante dalla dichiarazione rettificata.

A fondamento della propria decisione la Commissione Tributaria Regionale argomentava che la dichiarazione di successione, come ogni altra dichiarazione fiscale, si sostanzia, in una dichiarazione di scienza, come tale modificabile ed emendabile anche dopo la scadenza del termine per la relativa presentazione; che l’Ufficio deve tener conto delle modifiche formulate dal contribuente, salvo che. nel frattempo non sia intervenuto alcun avviso di accertamento del maggior valore; che pertanto l’imposta avrebbe dovuto essere liquidata in base al valore indicato dal contribuente nella dichiarazione di rettifica, salvi i poteri ufficiosi di verifica della congruità di tale valore.

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla scorta di un solo motivo rubricato come: art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 346 del 1992 artt. 27 e segg.

(specialmente artt. 28 e 31).

Gli eredi M. si sono costituiti nel giudizio di cassazione depositando controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 18.1.011 in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente assume che la Commissione Tributaria Regionale avrebbe errato nel ritenere che la possibilità, per gli eredi, di modificare la denuncia di successione dopo il decorso del relativo termine risulti preclusa solo dalla emissione di un avviso di accertamento di maggior valore e non anche dalla emissione dell’avviso di liquidazione fondato sul contenuto della dichiarazione che gli eredi pretenderebbero di modificare.

Il ricorso è fondato.

La questione della possibilità, per il contribuente, di ritrattare o modificare la denuncia di successione è stata già affrontata da questa Corte con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 14088/2004, della cui motivazione è opportuno riportare il seguente stralcio:

“Applicando – in chiave sistematica – i principi, qui condivisi, enunciati dalle richiamate sentenze 15063/2002 e 17394/2002, pure la dichiarazione di successione costituisce momento dell’iter procedimenlale, finalizzato all’accertamento dell’obbligazione tributaria, e si esaurisce in una mera esternazione di scienza o di giudizio. Ne derivano, in linea di principio, la emendabililà e la ritrattabilità, sottratte al termine fissato per la dichiarazione medesima (art. 31 cit.): esso attiene alle modalità di adempimento di un obbligo – e non all’esercizio di un potere -, onde il mancalo rispetto non inciderà sull’efficacia della dichiarazione, potendo solo comportare l’applicazione delle sanzioni corrispondenti (così, per tulle, fra le più recenti, Cass. 10494/2003 citata), l “momento” procedimenlale si conclude con l’emissione, da parte dell’ufficio, dell’atto impositivo, sulla base dei dati emergenti dalla dichiarazione, che avrà, per ciò stesso, esaurito la sua funzione.

Dopo tale momento – che peraltro esula dalla fattispecie in esame – l’esigenza che dalla dichiarazione non derivi l’assoggettamento del suo autore ad oneri diversi e più gravosi di quelli che la legge pone a suo carico, potrà ricevere tutela solo nel processo tributario e secondo le regole di esso (in tale diversa prospettiva, va inquadrala Cass. 12458/2001, segnalala, nell’ordinanza di rimessione, quale più recente espressione in senso contrario alla emendabilità della dichiarazione di successione). Da ciò consegue che la dichiarazione (cd. denuncia di successione è emendabile finchè non intervenga un avviso di accertamento di maggior valore.”.

Le Sezioni Unite hanno dunque chiarito che il momento fino al quale il contribuente può modificare la denuncia di successione è “l’emissione, da parte dell’ufficio, dell’atto impositivo, sulla base dei dati emergenti dalla dichiarazione, “e non – come si legge nella sentenza impugnata e sostiene il controricorrente – l’emissione di un atto di rettifica del valore dei beni caduti in successione e conseguente riliquidazione della maggior imposta.

E’ ben vero che nella sentenza in esame la Sezioni Unite concludono i”argomentazione sopra trascritta con l’affermazione, poi riportata nella massima ufficiale, “Da ciò consegue che la dichiarazione (cd.

denuncia) di successione è emendabile finchè non intervenga un avviso di accertamento di maggior valore”. Ma tale conclusione è funzionale a ricondurre il ragionamento svolto in sentenza alla fattispecie oggetto di causa (nella quale, appunto, la dichiarazione di successione era stata emendata prima dell’emissione di un avviso accertamento di maggior valore dei cespiti caduti in successione) e non limita la portata del ragionamento stesso, secondo cui la denuncia del contribuente, in quanto “momento dell’iter procedimentale, finalizzalo all’accertamento dell’obbligazione tributaria”, esaurisce la sua funzione (e dunque non può più essere emendata) “con l’emissione, da parie dell’ufficio, dell’atto impositivo”; a nulla rilevando se l’atto impositivo si basi su detta denuncia (risolvendosi in una mera liquidazione) o si basi su un accertamento di maggior valore.

In questo senso, del resto, si è orientata la giurisprudenza successiva, tra cui è opportuno ricordare, oltre alla sentenza 16725/2005, citata dalla ricorrente, anche Cass. 5361/06, che, in fattispecie identica a quella oggi in esame (rettifica della denuncia di successione presentata dal contribuente dopo che l’Ufficio aveva liquidato l’imposta sulla base dell’originaria dichiarazione), ha rilevato: “Il potere di emenda è stato in concreto esercitato dopo la notifica dell’avviso di liquidazione, formulato sulla base dei dati non ancora corretti. Tale rilievo … mentre non vale ad incidere sulla legittimità della (già avvenuta) liquidazione, non può precludere la facoltà del contribuente di rettificare l’errore:

ma, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, lascia a carico di quest’ultimo tutti gli oneri di dimostrazione sulla correttezza della rettifica proposta. “Infine la sentenza 20852 del 2007 ha ulteriormente precisato: “In tema d’imposta di successione, la facoltà di ritrattare e modificare la dichiarazione può essere esercitata dal contribuente anche dopo la scadenza del termine di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 31, salva l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e segg., e con effetti diversi, a seconda che la modifica abbia luogo prima della notificazione dell’avviso di liquidazione della maggiore imposta, ovvero successivamente alla stessa: nel primo caso, infatti, l’Ufficio è tenuto a rispettare le risultanze della correzione, fermo restando l’esercizio dei suoi poteri in ordine ai valori emendati, ma con onere della prova a carico dell’Amministrazione, mentre nella seconda ipotesi, pur non potendo considerarsi precluso l’esercizio della facoltà di correzione, quest’ultima, venendo necessariamente ad operare in sede contenziosa, pone a carico del contribuente l’onere di dimostrare la correttezza della modifica proposta”.

La sentenza impugnata ha dunque errato nell’annullare l’impugnato avviso di liquidazione per il solo fatto che esso fosse fondato su un valore del cespite maggiore di quello dichiarato dai contribuenti nella denuncia di rettifica presentata l’11.12.2002, dopo la notifica dell’avviso stesso. L’avviso di liquidazione si basava infatti sui valori dichiarali dai contribuenti nella denuncia del 26.2.2000; una volta emesso tale avviso, i contribuenti potevano far valere la difformità del valore effettivo del cespite rispetto al valore (da loro stessi dichiarato) sulla cui base era stata liquidata l’imposta soltanto offrendo la prova di tale difformità nell’ambito e secondo le regole dei giudizio tributario. La Commissione Tributaria Regionale quindi avrebbe dovuto verificare in concreto se i contribuenti avevano offerto in giudizio idonea prova del fatto che il valore del cespite fosse non già quello da loro dichiarato nella denuncia del il 26.2.2000, ed assunto a base della liquidazione dell’imposta operata dall’Ufficio, bensì quello da loro dichiarato nella denuncia di rettifica dell’11.12.2002. Tale verifica è mancata completamente e pertanto la sentenza impugnata va cassata e la causa va rimessa ad altra sezione ella stessa Commissione Tributaria Regionale, che dovrà verifica se i contribuenti abbiano ritualmente offerto le prove necessario alla soddisfazione dell’onere, su di loro gravante, di dimostrare che il valore del cespite caduto in successione è quello dichiarato nella denuncia di successione dell’11.12.2002 e non quello dichiarato nella denuncia di successione del 26.2.2000 ed assunto a base dell’impugnato avviso di liquidazione.

Si rimette al giudice di rinvio la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando la causa ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale di Torino che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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