Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6611 del 10/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 10/03/2021, (ud. 11/12/2020, dep. 10/03/2021), n.6611

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27839/2013 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Consorzio Etruria s.c.r.l. in liquidazione e concordato preventivo,

Nadir srl in liquidazione, in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall’avv.

Salvatore Paratore, con domicilio eletto in Roma, via Tagliamento n.

55 presso lo studio dell’avv. Nicola di Pierro;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 97/13/12, depositata il 19 ottobre 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’11 dicembre

2020 dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 97/13/12, depositata il 19 ottobre 2012, la Commissione tributaria regionale della Toscana respingeva l’appello principale proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, e quello incidentale proposto da Consorzio Etruria s.c.a r.l. e Nadir srl avverso la sentenza n. 72/19/10 della Commissione provinciale tributaria di Firenze che aveva accolto i ricorsi delle società contribuenti contro l’avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA 2005.

La Commissione tributaria regionale, per quanto rileva ai fini del presente giudizio, osservava in particolare che non era affatto vero che la CTP fiorentina avesse basato la propria decisione sull’intervenuta abrogazione del D.L. n. 223 del 2006, art. 35, commi 2-3, (rettifica valori della transazioni immobiliari sulla base dei valori OMI), giacchè anzi, preso atto di ciò, aveva altresì negativamente valutato le ulteriori prove indiziarie allegate dall’Ente impositore a sostegno delle proprie pretese creditorie; quindi confermava tale giudizio nel merito dei primi giudici.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resistono con controricorso le società contribuenti, che successivamente hanno depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la motivazione insufficiente/illogica circa un fatto controverso/decisivo per il giudizio, poichè la CTR ha omesso di considerare gli elementi fondanti l’avviso di accertamento impugnato ed in particolare le stime degli immobili, la cui vendita da parte delle società contribuenti è oggetto delle riprese fiscali, effettuate dall’Istituto bancario erogatore dei mutui ipotecari agli acquirenti, quali evidenzianti un rilevante scostamento con i prezzi “ufficiali” dichiarati.

La censura è inammissibile.

Il mezzo infatti non è soltanto “titolato” secondo il paradigma della versione previgente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma è anche articolato di conseguenza, sicchè, non essendo pacificamente applicabile tale disposizione processuale (sentenza impugnata depositata dopo l’11 settembre 2012, entrata in vigore della disposizione che l’ha novellata), ne deriva de plano l’inammissibilità del mezzo medesimo.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la ricorrente subordinatamente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo controverso, secondo la previsione attualmente vigente della disposizione processuale.

La censura è infondata.

Va ribadito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

E’ evidente che la motivazione della sentenza impugnata non corrisponde affatto al paradigma della nuova versione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, secondo l’interpretazione datane dal citato arresto giurisprudenziale delle SU di questa Corte, come poi del tutto consolidatosi.

La CTR toscana infatti ha sinteticamente, ma compiutamente, preso in considerazione le prove indiziarie allegate dall’Ente impositore a sostegno delle proprie pretese creditorie, tuttavia ad esse negando efficacia probatoria secondo lo standard legale della prova presuntiva c.d. “semplice”.

Anche su tale specifico profilo decisionale la motivazione della sentenza impugnata si pone dunque ben oltre il “minimo costituzionale”.

In ogni caso, questa valutazione ed il correlativo giudizio di merito non possono essere sindacati in questa sede, secondo i principi di diritto che “Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante” (Cass., n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640194 – 01) e che “La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione” (Cass., n. 19547 del 04/08/2017, Rv. 645292 – 01).

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al

pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 7.200,00 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2021

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