Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6610 del 23/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 23/03/2011), n.6610

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. FERRARA Ettore – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

M.E., M.A. nata l'(OMISSIS), M.

F., M.P., M.M., M.G., M.

E., M.C., M.M.R., MA.AR.,

MA.EL., MA.AN. nata il (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 140/2005 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 26/05/2005;

udita la relazione della, causa svolta nella pubblica udienza del

18/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO VALITUTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato RANUCCI, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per il nuovo ruolo per rinnovo

notifica in subordine accoglimento.

Fatto

1. Con sentenza n. 140/44/05, depositata 26.5.05, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, in riforma della decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli con la quale era stato rigettato il ricorso proposto da M.E., Ma.El., M.E., M.A., nata a (OMISSIS), M.F., M.M.R., M.G., M. P., M.M., M.A., nata a (OMISSIS), Ma.Ar. e M.C., avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, relativa all’eredità di M.F., accoglieva l’appello proposto dai contribuenti, diretto ad ottenere l’estensione, in favore di tutti i coobbligati, del giudicato favorevole di cui alla decisione della Commissione Tributaria Regionale della Campania n. 73/29/98, formatosi nei confronti della sola coerede M.E..

2. Il giudice d’appello riteneva, invero, che l’eccezione di decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento del maggior compendio ereditario – per tardività della notifica del relativo avviso, poichè effettuata a M.E. oltre il termine perentorio di cui al D.P.R. n. 637 del 1972 art. 26 – proposta dalla contribuente nel giudizio conclusosi con la sentenza n. 73/29/98, non costituisse un’eccezione personale, e non impedisse, quindi, l’estensione del giudicato favorevole agli altri coobbligati, ai sensi dell’art. 1306 c.c..

3. Per la cassazione della sentenza n. 140/44/05, ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando due motivi. I resistenti non hanno svolto attività difensiva. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

1. Rileva la Corte che il ricorso introduttivo del presente giudizio non è stato notificato agli intimati dall’Agenzia delle Entrate, atteso che la notifica effettuata presso l’avv. Aristide Caputo – che li aveva difesi nel giudizio di appello, e presso il quale i medesimi avevano eletto domicilio, come si evince dalla sentenza impugnata – non è andata a buon fine per irreperibilità del destinatario, come è possibile desumere dagli avvisi di ricevimento allegati agli atti.

Di tanto, del resto, ha dato atto la stessa Avvocatura Generale dello Stato nella memoria ex art. 378 c.p.c., nella quale ha chiesto, altresì, ai sensi del combinato disposto degli artt. 184 bis, 291, 294 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, la concessione di un nuovo termine per la notificazione del ricorso.

Sostiene, al riguardo, l’Avvocatura che nel caso di specie ricorrerebbero tutti gli estremi per la rimessione in termini richiesta, dovendo ritenersi imputabile allo stesso destinatario il mancato perfezionamento della notifica. Ed infatti, rileva la difesa erariale che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 – che nel processo tributario, per la specialità della materia si applicherebbe, secondo l’Avvocatura, con prevalenza sulla disciplina generale di cui all’art. 330 c.p.c. – impone alla parte, che all’atto della sua costituzione in giudizio abbia eletto domicilio, o dichiarato la propria residenza o la propria sede in un determinato luogo, di notificare alle altre parti costituite le eventuali variazioni del domicilio, della residenza o della sede.

Sicchè, qualora tale comunicazione non fosse effettuata -come nel caso concreto – il mancato perfezionamento del procedimento notificatorio sarebbe ascrivibile allo stesso destinatario, al quale, nel processo tributario, la legge impone di “venire incontro al notificante indicandogli dove deve effettuare la notificazione”.

2. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la richiesta di rimessione in termini, proposta dall’Avvocatura generale dello Stato, non può trovare accoglimento per diversi ordini di motivi.

2.1. Non può, infatti, anzitutto condividersi l’assunto dell’Avvocatura secondo cui al processo tributario si applicherebbe, in tema di notificazione del ricorso per cassazione, esclusivamente il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17 e non la previsione generale di cui all’art. 330 c.p.c, che non prevede, a differenza della norma speciale, l’onere per la parte costituita di comunicare alle altre parti eventuali variazioni della residenza dichiarata o del domicilio eletto all’atto della costituzione in giudizio.

Ed invero, ben al contrario, questa Corte ha già più volte chiarito che la disposizione di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, si applica ai soli atti da notificarsi nel corso dei giudizi dinanzi, alle Commissioni Tributarie, atteso che la norma in questione costituisce eccezione all’art. 170 c.p.c., relativo alle sole notificazioni endoprocessuali, e non all’art. 330 c.p.c., applicabile, invece, al processo tributario in forza del richiamo, contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 e art. 49 alle norme processuali codicistiche.

Ne consegue, pertanto, che alla proposizione del ricorso per cassazione avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali devono ritenersi esclusivamente applicabili le norme del codice di procedura civile e, quindi, con riguardo al luogo della notificazione del ricorso, non già la disposizione speciale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, (contenente la suddetta previsione dell’onere di comunicare eventuali variazioni di residenza o di domicilio), bensì la disciplina generale di cui all’art. 330 c.p.c. (cfr., in tal senso, Cass. S.U. 29290/08, Cass. 15523/09, 3419/05).

2.2. Ad ogni buon conto, seppure volesse accedersi alla diversa tesi – secondo cui è applicabile, anche alla notifica del ricorso per cassazione, esclusivamente il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, – deve comunque rilevarsi che tale norma è stata sempre interpretata da questa Corte nel senso che l’onere di notificazione della variazioni del domicilio eletto, o della residenza o della sede, sia previsto, dalla norma in esame, con riferimento al solo domicilio autonomamente eletto dalla parte, in un qualsiasi luogo da essa prescelto.

Per contro, l’elezione del domicilio effettuata dalla medesima parte presso lo studio del procuratore, ha la mera funzione di indicare la sede dello studio del difensore costituitosi in giudizio. Ne consegue che, in tale ipotesi, il procuratore domiciliatario non ha l’onere di comunicare il cambiamento di indirizzo del proprio studio, essendo, viceversa, onere del notificante di effettuale apposite ricerche per individuare il nuovo luogo di notificazione, ove quello a sua conoscenza sia stato mutato. Anche nel caso in questione, invero, la notificazione del ricorso deve essere sempre e comunque effettuata al domicilio reale del difensore, anche se non vi sia stata comunicazione – alla quale la parte non era tenuta – del trasferimento alla controparte, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 17, (conf. Cass. 26313/05, 2776/09, 19134/10).

Non giova, pertanto, alla difesa erariale, per le ragioni suesposte, neppure invocare la previsione speciale di cui alla suddetta norma dettata per il processo tributario.

2.3. Deve, infine, considerarsi che, quand’anche si volesse – in via di mera ipotesi – imputare ai destinatari della notifica il mancato perfezionamento della stessa nel termine perentorio di cui all’art. 327 c.p.c., dovrebbe comunque ritenersi applicabile, nella specie, il principio secondo cui è pur sempre onere del notificante di richiedere all’ufficiale giudiziario, a fronte della mancata notifica dell’atto, la ripresa del procedimento notificatorio entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuto conto dei tempi necessari per conoscere, con a comune diligenza, l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie. Per vero, è di tutta evidenza che – in siffatta ipotesi – la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio, certamente incompatibile con il principio della ragionevole durata del processo, enunciato dall’art. 111 Cost., comma 2 (v., in tal senso, Cass. S.U. 17352/09).

Ebbene, va rilevato che nel caso di specie – come dichiarato dalla stessa Avvocatura dello Stato, e come è desumibile dagli avvisi di ricevimento in atti – l’ufficiale giudiziario ebbe a restituire l’atto da notificare fin dal luglio 2006, per irreperibilità del destinatario, laddove la richiesta di un nuovo termine per la notifica del ricorso è stata rivolta – non già, in epoca immediatamente successiva, all’ufficiale giudiziario – bensì a questa Corte e solo nel dicembre 2010, con la memoria ex art. 378 c.p.c., ossia dopo ben quattro anni e cinque mesi dall’esito negativo della notifica.

Se ne deve necessariamente inferire la violazione, nella specie, del suddetto principio di ragionevole durata dei processo, introdotto nel nostro ordinamento fin dal 1999 (per effetto della L. cost. n. 2 del 1999 e, pertanto, temporalmente applicabile alla fattispecie concreta.

3. Per tutte le ragioni esposte, dunque, il ricorso proposto dall’Avvocatura Generale dello Stato deve essere dichiarato inammissibile.

4. Nulla per le spese, attesa la mancata costituzione degli intimati.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione; dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 marzo 2011

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