Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6610 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6610 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 6165-2014 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente contro
BRUNO MAURIZIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
FLAMINIA 71, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO ACETO,
che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;

Data pubblicazione: 06/04/2016

- controricorrente
avverso il decreto n. 57798/2009 R.G.V.G. della CORTE
D’APPELLO di ROMA del 22/04/2013, depositata il 16/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 16.7.2013 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda
proposta da Maurizio BRUNO, nella qualità di erede di Antonio Bruno
(deceduto l’8.7.2007), intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non
patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio introdotto
dal suo dante causa dinanzi al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di
Napoli in data 31 marzo 1999 durato complessivamente nove anni, depositata la
sentenza il 22.4.2008, commisurato l’indennizzo in €. 5.250,00 per il periodo di
durata irragionevole del giudizio presupposto di sei anni, computata in tre anni la
ragionevole durata ordinaria per il primo ed unico grado.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso,
affidato a tre motivi, cui l’intimato ha resistito con controricorso, difese illustrate
anche da memoria ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
E’ preliminare l’esame dell’eccezione dedotta dal controricorrente ai sensi
dell’art. 366, comma 1, n. 3 c.p.c.: il ricorso è ammissibile nei limiti appresso
indicati, dato che, contrariamente a quanto assume il BRUNO, espone
sommariamente i fatti di causa, sotto i profili occorrenti per la soluzione delle
questioni sollevate in questa sede, ed inoltre, attraverso una lettura globale,

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24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI,

consente con sufficiente specificità di cogliere le ragioni per le quali si sollecita
l’annullamento del provvedimento impugnato.
Pur vero che l’Amministrazione ricorrente ha confezionato il ricorso con la
riproduzione dell’intero, letterale contenuto degli atti processuali, tuttavia detto
dato è contemperato dall’illustrazione, in termini argomentativi, delle domande e

motivi di ricorso, le considerazioni alla luce delle quali i giudici del merito sono
pervenuti alla conclusione oggetto di critica.
Del pari va poi respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per avere
l’Amministrazione ricorrente omesso gli estremi del decreto impugnato, perché
l’art. 366 n. 2 c.p.c. commina l’inammissibilità del ricorso soltanto se la parte cui
esso è diretto non ha sufficienti elementi per individuare inequivocabilmente la
sentenza impugnata, il che nella specie è da escludere essendo esattamente
trascritto l’intero provvedimento, per cui risultano indicati sia l’autorità
giudiziaria che l’ha emesso, sia il dispositivo del decreto, sia il numero e l’anno di
emissione, sia la data di pubblicazione del medesimo.
L’eccezione di inammissibilità, improponibilità e/o improcedibilità nei termini
sopra precisati va, dunque, rigettata in tutte le sue prospettazioni, salvo quanto si
andrà a precisare di seguito con riferimento ai singoli mezzi.
Premesso quanto sopra ed affermata la ammissibilità del ricorso, con il
primo motivo di ricorso, l’Amministrazione denuncia violazione e falsa
applicazione dell’art. 75 c.p.c., nonché l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per avere la corte di merito totalmente
omesso di considerare che dallo stesso ricorso (v. pag. 15) risulta che il dante
causa del BRUNO è deceduto nel corso dell’anno 2004 e non già 1’8.10.2007,
come erroneamente indicato nel decreto, per cui avendo il ricorrente agito
esclusivamente iure hereditatis, per il computo della durata dell’intero giudizio

presupposto si sarebbe dovuto fare riferimento a detta data anziché a quella di
definizione dell’intero giudizio (ossia il 22.4.2008).
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delle difese hinc inde, esponendo, nella parte dedicata allo svolgimento dei

Il motivo è fondato nei limiti di seguito espressi.
In tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, qualora la parte
costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di
ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento
dell’indennizzo, iure hereditatis, ma a tal fine deve tenersi conto del solo periodo

originario, mentre per la durata maturata dopo tale evento l’erede ha diritto al
riconoscimento dell’indennizzo, esercitando un diritto iure proprio, soltanto per
il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in
cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non
avendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale
rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 c.p.c., in quanto il sistema
sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89
del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello
Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal
ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi
modulabili in relazione al concreto paterna subito, il quale presuppone la
conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass. n. 23416
del 2009; Cass. n. 2983 del 2008).
Inoltre per consolidato orientamento di questa Corte (Cass. n. 26686 del 2006 e
Cass. n. 23055 del 2006) deve essere esclusa la fitolarità del diritto “iure proprio”
in capo all’erede non costituito nel processo presupposto (in tema, cfr., pure
Cass. n. 2969 del 2006 e Cass. n. 19032 del 2005), dal momento che anche per
tutto il tempo durante il quale, deceduta la parte originaria, gli eredi non abbiano
ritenuto di costituirsi o non siano stati chiamati in causa, pur esistendo un
processo, non vi è la parte che della sua irragionevole durata possa ricevere
nocumento. La necessità di una costituzione in giudizio della parte che invoca la
tutela della legge a sanzionare l’irragionevole durata è premessa indiscutibile per
una ragionevole operatività dell’intero sistema di cui alla L. n. 89 del 2001, ne’
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decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore

può operare in difetto di tale costituzione lo scrutinio sul comportamento della
parte delineato dall’art. 2, comma 2, della legge, non essendo esercitabili i poteri
di liquidazione equitativa dell’indennizzo correlati, ragionevolmente, al concreto
paterna che sulla parte ha avuto la durata del processo (di recente, Ca.ss. n. 4003
del 2014).

marzo 1999, è incontestato che lo stesso sia deceduto il 23.10.2004 (non già
1’8.10.2007, come erroneamente indicato nel decreto), con la conseguenza che

risulta illogica e incoerente la mancata distinzione, nel computo della durata
complessiva del processo, delle diverse posizioni dell’originario ricorrente,
Maurizio Bruno, al fine del computo dell’equo indennizzo.
Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione nel denunciare
l’omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia,

lamenta che il giudice distrettuale abbia del tutto immotivatamente addebitato
all’amministrazione della giustizia il ritardo, omessa ogni considerazione sui

numerosi rinvii richiesti dalle parti, in particolare con riguardo al quinquennio
1999

2004, da riferire al comportamento processuale di detto dante causa.

Anche la seconda censura è fondata per quanto di seguito si viene ad esporre.
Occorre premettere che nel caso in esame, il decreto gravato è stato pubblicato
dopo 1’11 settembre 2012 e trova, dunque, applicazione il nuovo testo dell’art.
360 c.p.c., comma 2, n. 5, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54,
comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L 7 agosto 2012, n. 134, il
quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti”. A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, tale disposizione
si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di
entrata in vigore della legge di conversione (pubblicata sulla G.U. n. 187
dell’11.8.2012). Nel sistema l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c. n. 5 come
interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile
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Nella specie, introdotto il giudizio presupposto dal dante causa del BRUNO nel

restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di
fatto.
Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053, le Sezioni Unite hanno chiarito che la
riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal DAL. 22 giugno
2012, n. 83, art. 54 conv. in L 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si
tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all’esistenza della motivazione in sè, purché il vizio risulti dal testo della sentenza
impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale
anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale
e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione.
Dunque, per le fattispecie ricadenti ratione temporis nel regime risultante dalla
modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n.
83, art. 54 il vizio di motivazione si restringe a quello di violazione di legge. La
legge in questo caso è l’art. 132 c.p.c., che impone al giudice di indicare nella
sentenza “la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione”.

luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al

Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza
di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto
dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”.
Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure
formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano
svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè
di riconoscerla come giustificazione del decisum”.

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(\A

Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione
con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla
esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla
coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità
manifesta)” della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che

legge, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della
sentenza impugnata.
Tali vizi ricorrono nel caso in esame. Invero quanto alla valutazione dei rinvii di
udienza ai fini della L n. 89 del 2001, questa Corte ha affermato che dalla durata
complessiva del processo presupposto sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti
solo nei limiti in cui siano imputabili ad intento dilatorio o a negligente inerzia
delle stesse, e, in generale, all’abuso del diritto di difesa, restando addebitabili gli
altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato

giudiziario, salvo che ricorrano

particolari circostanze, che spetta alla P.A. evidenziare, riconducibili alla
fisiologia del processo” (Cass. n. 11307 del 2010; Cass. n. 6868 del 2011).
Nella specie risulta che la Corte d’appello ha considerato alcune vicende
processuali ai fini della valutazione della ragionevole durata del processo, in
particolare quanto alla sua complessità, definita ordinaria, ma ha omesso ogni
valutazione in ordine al comportamento delle parti e alla verifica di quali dei
rinvii menzionati nel ricorso fossero, e in quale misura, addebitatati alle parti e
non all’amministrazione della giustizia, e l’assoluta assenza di ogni valutazione
dell’elemento in questione ai fini della determinazione della irragionevole durata
— sebbene avesse formato oggetto di discussione fra le parti – integra il vizio di
motivazione denunciato, riconducibile al paradigma della assenza di motivazione
nei sensi di cui alla citata pronuncia.
Con il terzo motivo — proposto in via subordinata – l’Amministrazione
denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 legge n. 89 del 2001 e 112
c.p.c. in relazione all’art. 360 comma 1. n. 3 c.p.c. per essere stati liquidati gli
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determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di

interessi sull’indennizzo riconosciuto dalla domanda pur in mancanza di una

specifica domanda sul punto.
1a

censura è da ritenere assorbita, dovendo il giudice del rinvio riesaminare per

intero l’indennizzo.

Conclusivamente, sulla base delle considerazioni sopra svolte vanno accolti i

cassato in relazione ai motivi accolti, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte di
appello di Roma, in diversa composizione.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte, accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo;
cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione,
alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della W – 2^ Sezione Civile, il 24
settembre 2015.

primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; il decreto impugnato deve essere

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