Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 661 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 661 Anno 2014
Presidente: CIRILLO ETTORE
Relatore: CONTI ROBERTO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 24758-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– ricorrente 2013
3304

contro

EURO AUTO SRL IN LIQUIDAZIONE;
– intimato –

avverso la sentenza n. 79/2010 della COMM.TRIB.REG.
di BOLOGNA, depositata il 09/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Data pubblicazione: 15/01/2014

udienza del 25/11/2013 dal Consigliere Dott. ROBERTO
GIOVANNI CONTI;
udito per il ricorrente l’Avvocato DE STEFANO che ha
chiesto il rinvio a nuovo ruolo, nel merito
accoglimento, salvo applicazione della novella del

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2012 su deducibilità costi imposte dirette;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.La Guardia di Finanza segnalava che la società Euro Car s.r.l. era stata individuata come
cliente della società fittizia Euro car Import export s.r.l. creata allo scopo di realizzare una frode
IVA del tipo carosello nell’ambito del commercio di autovetture provenienti da operatori
comunitari. Gli accertamenti svolti evidenziavano che la Euro car s.r.l. aveva registrato ed

operazioni. Sulla scorta di tali premesse l’Ufficio recuperava a tassazione per l’anno 2004 i costi
anzidetti, riprendendo maggiori IRES, IRAP ed IVA. oltre sanzioni.
2.La società contribuente impugnava il relativo avviso innanzi alla CTP di Modena che
accoglieva parzialmente il ricorso, confermando l’accertamento in ordine all’IVA.
3.Sull’appello principale proposto dall’Agenzia delle Entrate e sull’appello incidentale della
società contribuente la CTR dell’Emilia Romagna, con sentenza n.79/VIII/10, depositata il 9
luglio 2010, respingeva l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale dichiarando
deducibili i costi ai soli fini della determinazione dei redditi di cui all’art.6 comma 1 t.u.i.r.
n.917/86.
3.1 Osserva il giudice di appello, per quel che qui ancora rileva, come il reato di utilizzazione
fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art.2 D.lgs.n.74/2000
era integrato, quanto alle imposte dirette dalla sola inesistenza oggettiva o da quella relativa alla
diversità totale o parziale fra costi indicati e costi sostenuti, a differenza che per il tributo IVA,
rispetto al quale la fattispecie incriminatrice comprende anche l’inesistenza soggettiva, ovvero
quella relativa alla diversità fra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in
fattura. E poichè era pacifico che nel caso di specie si verteva in ipotesi di operazioni
soggettivamente inesistenti, doveva dichiararsi la deducibilità dei costi ai soli fini delle imposte
dirette, dovendosi respingere ogni altra domanda.
4.L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a d un’unica complessa
censura, alla quale la società contribuente, correttamente citata, non ha fatto seguire il deposito
di difese scritte.
MOTIVI DELLA DECISIONE

5.Con l’unica complessa censura l’Agenzia ha dedotto la violazione e falsa applicazione
dell’art.2 d.lgs.n.74/2000, in relazione all’art.6 dpr n.917/86 e dell’art.14 comma 4 bis
1.n.54711992, come modificato dall’art.2 c.8 della I.n.289/2002, nonché dell’art.109 DPR
n.917/86,in relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c. Lamenta che la CTR aveva errato nel
ritenere deducibili i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti rispetto alle imposte

utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, deducendo i costi derivanti da tali

dirette, poichè il combinato disposto degli art.2 c.8 1.n.2002 1.n.289/2002 1.n.74/2000 e I
1.n.74/2000 qualificava espressamente come reato l’utilizzazione di fatture relative ad
operazioni inesistenti, ivi comprendendo anche quelle soggettivamente inesistenti.
5.1 Peraltro, l’indeducibilità dei costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti trovava
conforto nei principi nazionali ed internazionali dai quali poteva evincersi con certezza il
divieto di conseguire benefici da attività di natura illecita.

Cass.n.17377/2009- unitamente ai principi in tema di abuso del diritto, di matrice UE, espressi
dalla Corte di Giustizia a partire dalla sentenza 21 febbraio 2006 causa C-255/02 e Corte giust.
21.2.2006, C-223/03.
5.3 Aggiunge la ricorrente, sotto altro profilo, che il riconoscimento della deducibilità dei costi
per operazioni soggettivamente inesistenti in presenza di operazione illecita sussumibile
nell’ambito delle c.d. frodi carosello realizzava la lesione di un principio generale di
correlazione tra deduzione dei costi da parte del contribuente che lo sostiene e tassazione dei
ricavi da parte di chi riceve il corrispettivo. Infatti, in tali ipotesi, il costo che il cessionario
intende dedurre non si traduce in ricavo tassabile per alcuno, nè per il cedente reale che non
figura formalmente come parte dell’operazione nè per il soggetto fittiziamente interposto che è
normalmente una mera cartiera che non dichiara nè paga le imposte. Ciò che era accaduto, nel
caso di specie con riguardo alla società Euro car Import export srl che nel caso di specie, come
risultava dalle indagini svolte, era stata la società emittente delle fatture, la quale non aveva mai
versato nè imposte dirette nè IVA. In definitiva, secondo la ricorrente la frode perpetrata
dall’altra parte del rapporto impediva l’esercizio del diritto di deduzione da parte del
contribuente(che sapeva o avrebbe dovuto sapere) di contrattare con un evasore. Sicché solo al
contribuente in buona fede rispetto alla sua partecipazione alla frode poteva riconoscersi il
diritto alla deduzione dei costi.
5.4 Evidenzia, infine, l’erroneità della decisione sotto il profilo della lesione dei principi odi
inerenza. Se, infatti, il principio di inerenza, da intendere come nesso funzionale che lega il
costo alla vita dell’impresa, era pacifico impedisse, in materia di IVA, di giustificare la
deducibilità dei costi in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti le quali, per
l’appunto, rompevano detto nesso, non era possibile che ai fini delle imposte dirette si potesse
giungere a conclusioni diverse.
6. Il motivo è fondato per le considerazioni di seguito esposte.
6.1 Giova premettere che secondo la giurisprudenza penale di questa Corte – Cass. sez. 3, 14
gennaio 2010 n. 10394 e Cass. sez. 3, 14 giugno 2012 n. 25765 – ha effettivamente ritenuto,

5.2 In proposito l’Agenzia richiama l’orientamento espresso da questa Corte-

come affermato dal giudice di appello, integrato il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2,
con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, cioè quella relativa alla
diversità, totale o parziale, tra costi indicati e i costi sostenuti, includendo peraltro nella
fattispecie criminosa riguardante l’Iva anche l’inesistenza soggettiva, cioè quella relativa alla
diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e il soggetto indicato in fattura.
6.2 Ed invero, successivamente al deposito della sentenza impugnata, è entrata in vigore la

2012, n. 44 il quale, prevedendo la sostituzione della L. n. 537 del 1993, art. 4, comma 4 bis, ha
stabilito che, nella determinazione dei redditi di cui all’art. 6, 1 comma, del testo unico delle
imposte sui redditi, “non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle
prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili
come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o,
comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art.
424 c.p.p., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata sulla
sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p. Qualora intervenga una
sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’articolo 530 del codice di procedura penale
ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’articolo 425 dello stesso
codice fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa ovvero una sentenza definitiva di
non doversi procedere ai sensi dell’articolo 529 del codice di procedura penale, compete il
rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione
prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”, aggiungendo, al 3 comma, che “le
disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 245
dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in
essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli, tenuto conto
anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti
emessi in base al citato comma 4 bis, previgente non si siano resi definitivi. Resta ferma
l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la
determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività
produttive”.
6.3 Tale disciplina è applicabile anche alla fattispecie per cui è processo, in forza dell’art.8
comma 3, in forza del quale “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2, si applicano, in luogo di
quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4 bis, previgente, anche per
fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più
favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute,

novella introdotta dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 1, convertito con L. 26 aprile

salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4 bis previgente non si siano resi definitivi;
resta ferma l’applicabilità delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2, anche
per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle
attività produttive”.
6.4 Orbene, la sicura incidenza retroattiva della normativa sopravvenuta rispetto alla vicenda
per cui è processo- già affermata da questa Corte(Cass.n.8011/2013)- e la pertinenza della
ex officio

della stessa-Cass.

n.

21382/2008;Cass. n. 16642 del 01/10/2012-.
6.5 Ciò posto non appare rilevante, in questa sede, esaminare la questione -ventilata in dottrinarelativa alla portata dell’espressione ” direttamente utilizzati” e quindi verificare se la stessa
comprenda non soltanto i costi dei beni e servizi direttamente sostenuti per la commissione di
un delitto non colposo, ma anche quelli strumentali o correlati ad attività illecite (fra i quali i
costi di beni e servizi acquistati per una finalità lecita ma poi, in concreto, utilizzati per
commettere il delitto).
6.6 Rileva, invece, che nell’ambito del processo tributario la disposizione di cui il D.L. 2 marzo
2012, n. 16, art. 8 “…si è limitata a precisare una regola per le procedure di accertamento
tributario ai fini delle imposte sui redditi” senza apportare “alcun riflesso sulle disposizioni
penali relative all’incriminazione di condotte fraudolente” (Cass. sez. 3, 4 aprile 2012 n.
40559;Cass.pen.n.36916/2013-.
6.7 Ciò vuol dire che tale disposizione ha sicuramente effetti nel processo tributario, pur non
innovando il quadro della penale responsabilità in dipendenza di condotte ascrivibili alla
fattispecie incriminatrice di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Principio, quest’ultimo, ribadito
da Cass.pen.n.41694/2013, alla cui stregua “… l’invocata disposizione [art.8 ult.cit. n.d.r.] si è
limitata a precisare una regola per le procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte
sui redditi, stabilendo che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i
componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o
servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in
deduzione, norma che non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all’incriminazione
di condotte fraudolente…”
6.8 Detto questo va tuttavia precisato che la disposizione introdotta nel 2012, pur trovando
applicazione nella vicenda qui esaminata, non elida affatto la tematica relativa all’inerenza del
costo che il contribuente intende operare ove questo tragga origine da un’operazione
soggettivamente inesistente.
6.9 Infatti, questa Corte, ha sul punto chiarito di recente che “… Resta comunque aperto il

disposizione al caso di specie, impone il rilievo

problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza,
competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr Cass. n. 10167/2012): ma di un
siffatto accertamento non vi è traccia nel giudizio. Anche in tema di imposte dirette, così come
in tema di Iva, con riferimento al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente
inesistenti (differentemente che per quello delle fatture emesse in assoluta assenza di
corrispondenti prestazioni commerciali) l’ accertamento rigoroso della l’esigenza della tutela

Corte di Giustizia: cfr. sent. 6.7.2006 nelle cause riunite C-439/04 e C-440/04 e sent. 12.1.2006
nelle cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), nel senso che in ogni caso, in funzione dei
principi della tutela dell’affidamento e della certezza del diritto, l’esercizio del diritto alla
detrazione dell’iva versata a soggetto diverso dal cedente/prestatore che ha, tuttavia, emesso la
fattura non può essere negato se non sulla base di oggettivi elementi presuntivi che inducano ad
escludere la “buona fede” del committente/cessionario, che questi, cioè, non abbia avuto (e non
abbia potuto avere, avendo in proposito adottato tutte le ragionevoli precauzioni) la
consapevolezza di partecipare, con il proprio acquisto, ad illecito fiscale dell’emittente delle
fatture contestate o di altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni (v. Cass.
13.3.2013, n. 6229; Cass. 23560/12, 23626/11).
6.10 Sul piano dell’onere della prova, ciò comporta che mentre spetta all’Ufficio finanziario che
contesta la deduzione dimostrare, sia pure in via indiziaria, che l’operazione cui essa si riferisce
è soggettivamente inesistente, spetta invece al contribuente provare di non avere avuto
consapevolezza, alla luce dei principi sopra evidenziati, della rilevata falsità, trattandosi di
condizione necessaria al fine di ottenere la deduzione, in applicazione alla regola generale
secondo cui, essendo il costo una voce che riduce il reddito imponibile, esso deve essere
provato dal contribuente e tale prova si estende a tutte le condizioni richieste dalla legge ai fini
del riconoscimento della deduzione. Con l’ulteriore precisazione che tale prova non può essere
validamente fornita dal privato soltanto dimostrando che la mercè è stata effettivamente
ricevuta e ne è stato versato il corrispettivo, trattandosi di circostanze non concludenti. La
prima in quanto insita nella nozione di operazione soggettivamente inesistente, nella
definizione data dalla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, la seconda perchè
relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sè a dimostrare l’estraneità del
committente/cessionario alla frode. Tanto precisato, va detto che la sentenza impugnata non
appare conforme ai principi sopra esposti. Difetta un’appropriata indagine, da condurre sulla
base delle prove offerte dalle parti, sia in ordine alla dedotta inesistenza soggettiva delle
operazioni contabilizzate, che con riguardo alla non consapevolezza della società acquirente in

della “buona fede” del contribuente, è stato stemperato (sulla scorta della giurisprudenza della

merito alla reale identità del cessionario.-cfr. Cass.n.12503/2013-.
6.11 Ora, è evidente il contrasto fra l’indirizzo testè esposto, inaugurato da Cass. n.10167/2012
e poi condiviso anche da Cass.n.3258/2013, Cass.n.7701/2013, Cass.n.8011/2013,
Cass.3258/2013, Cass.23314/2013, Cass.n.11667/2013, e la sentenza impugnata, la quale si è
limitata ad affermare la deducibilità dei costi per operazione soggettivamente inesistenti
rispetto ale imposte sui redditi, senza svolgere alcuna analisi in ordine alla concreta inerenza dei

6.12 Nei limiti sopra indicati la censura avanzata dall’Agenzia delle Entrate merita di essere
accolta.
7. La sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della ctr dell’Emilia
Romagna per nuovo esame, la quale si atterrà ai principi sopra esposti, pure provvedendo alla
liquidazione delle spese del procedimento di legittimità
PQM
la Corte
Accoglie il ricorso.Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR dell’Emilia
Romagna, la quale si atterrà ai principi sopra esposti, pure provvedendo alla liquidazione delle
spese del procedimento di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della V sezione civile il 25 novembre 2013 in Roma.

costi anzidetti, alla stregua dei principi sopra affermati.

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