Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6609 del 06/04/2016


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 6609 Anno 2016
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: FALASCHI MILENA

SENTENZA
sul ricorso 6160-2014 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende ope le,gis;
– _ricorrente contro
GIAMETTA GENNARO, elettivamente domiciliato in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato LUIGI ALDO CUCIN ELLA giusta procura a margine
del controricorso;

6305

_13

Data pubblicazione: 06/04/2016

- controricorrente avverso il decreto n 56824/2009 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 29/04/2013, depositato il 16/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 16.7.2013 la Corte d’appello di Roma ha accolto la domanda
proposta da Gennaro GIAMMETTA, in proprio e nella qualità di erede di Maria
Chirico, intesa ad ottenere l’equa riparazione del danno non patrimoniale
conseguente alla durata non ragionevole di un giudizio in materia successoria
introdotto dinanzi al Tribunale di Napoli in data 28.4.1989 durato
complessivamente oltre venti anni, per essersi estinto il 7.4.2009, commisurato
l’indennizzo in €. 445,00, quale pro quota del diritto vantato iure hereditatis e in
€. 12.000,00 il diritto vantato iure proprio, per il periodo di durata irragionevole
del giudizio presupposto di sedici anni, computata in sei anni la ragionevole
durata ordinaria per il primo ed unico grado in considerazione della risoluzione
di questioni collaterali (usucapione appartamento), dell’ulteriore aumento per
l’intervento della sentenza parziale.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della giustizia ha proposto ricorso,
affidato a cinque motivi, cui l’intimato ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata.
E’ pregiudiziale l’esame dell’eccezione di improcedibilità (recte:
inammissibilità) del ricorso formulata dal controricorrente per tardività, che è del
tutto infondata essendo stata richiesta dalla difesa erariale la notificazione del
ricorso il 3 marzo 2014, a fronte di un decreto depositato il 16 luglio 2013,

Ric. 2014 n. 06160 sez. M2 – ud. 24-09-2015
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24/09/2015 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI.

avvenuta la notifica il successivo 5 marzo 2014. Infatti il ricorso per cassazione è
stato proposto nel termine annuale d’impugnazione, atteso che l’art. 327 e.p.c.,
come novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46 mediante riduzione del termine
lungo da un anno a sei mesi, si applica, ai sensi dell’art. 58 della medesima legge,
ai giudizi instaurati, e non alle impugnazioni proposte, a decorrere dal 4 luglio

controversie i cui atti introduttivi del giudizio di primo grado siano anteriori,
come nella specie, a quella data (ex nriultis, Cass. n. 6784 del 2012).
Del pari sono infondate anche le eccezioni di inammissibilità formulate
dal controricorrente con riferimento al contenuto del ricorso, atteso che la difesa
erariale — dopo avere compiutamente descritto le vicende — ha evidenziato le
parti della decisione sottoposte a critica ed ha sviluppato censure dotate di un
adeguato grado di specificità, come di seguito si chiarirà con l’illustrazione dei
singoli motivi.
Procedendo all’esame dei motivi, con il primo l’Amministrazione denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., nonché l’art. 2 della legge n. 89
del 2001 in relazione all’art. 360 cotnrna 1 n. 3 c.p.c. per avere la corte di merito
totalmente omesso di considerare che il ricorrente ha agito esclusivamente iure
proprio, con la conseguenza che avrebbe dovuto computare la durata dalla data
di intervento dello stesso nel giudizio presupposto, ossia dal deposito dell’atto di
costituzione il 20.7.1999, scomputando il periodo ragionevole.
Il motivo – che lamenta l’erroneità del decisum del giudice di appello nella parte
in cui è stata ritenuta esperita la domanda di indennizzo anche iute hereditas —
non ha giuridico fondamento.
L’ interpretazione della domanda giudiziale, della sua portata, della sua estensione
e dei suoi limiti sotto il profilo del divieto di ius novorum costituisce, difatti, per
costante e condivisa giurisprudenza di questa Corte regolatrice, compito
esclusivo del giudice di merito, la cui attività interpretativa risulta incensurabile in
sede di legittimità se, come nella specie, correttamente e congruamente motivata.
Ric. 2014 n. 06160 sez. M2 – ud. 24-09-2015
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2009, onde la perdurante validità del termine annuale d’impugnazione per le

Il contenuto degli atti di parte hanno, difatti, correttamente indotto la Corte di
merito a ritenere proposta la domanda di danno non patrimoniale anche con
riferimento ad una pretesa vantata a titolo ereditario.
Con il secondo motivo di ricorso l’Amministrazione

insistendo nella

violazione delle medesime norme sopra invocate, nonché dell’art. 112 c.p.c.

si

liquidato un indennizzo pro quota iure hereditatis, che oltre a non essere stato
richiesto, atteneva ad un soggetto in capo al quale mancava la prova della
legittimazione attiva.
Anche detto motivo è privo di pregio.
Questa Corte ha costantemente affermato che il diritto alla trattazione delle
cause entro un termine ragionevole è riconosciuto dall’art. 6, paragrafo 1, della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali, specificamente richiamato dalla L 24 marzo 2001, n. 89, art. 2,
solo con riferimento alle cause “proprie” e, quindi, esclusivamente in favore delle
“parti” della causa nel cui ambito si assume avvenuta la violazione e non anche in
favore di soggetti che siano ad essa rimasti estranei (Cass. 14 maggio 2010 n.
11761; Cass. 12 luglio 2011 n. 15250; Cass. 8 maggio 2012 n. 7024).
Ciò posto, nella specie, pur esercitando il ricorrente — in parte – un diritto in
qualità di erede, lo stesso risulta costituito personalmente nel giudizio
presupposto, deceduta la sua dante causa nel corso del processo avente una
durata irragionevole — come si evince dalla lettura del decreto impugnato (v. pag.
2) – per cui non si pone una questione di difetto di prova della legittimazione
attiva, trattandosi di accertamento superato in questa sede dall’essere il resistente

titolare di causa propria.
Con il terzo motivo la ricorrente nel denunciare l’omessa e/o insufficiente

motivazione su un fatto decisivo della controversia, lamenta che il giudice
distrettuale abbia del tutto immotivatamente addebitato all’amministrazione della
giustizia il ritardo, omessa ogni considerazione sui numerosi rinvii richiesti dalle
Ric. 2014 n. 06160
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sez.

M2 – ud. 24-09-2015

duole che la corte di merito, incorrendo in vizio di ultra petizione, abbia

parti, con un blocco dell’attività decisoria fino al 1993, come appare evidente
dalla adozione della decisione parziale nel 1995. Aggiunge, altresì, che la corte di
merito non avrebbe tenuto conto delle trattative che pendevano nell’ultimo anno
ovvero nel 2008, tant’è che portavano all’abbandono della causa per accordo
transattivo nei primi mesi del 2009.

Questa Corte ha affermato il principio, condiviso dal Collegio, per cui “in tema
di diritto all’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, per la
valutazione della ragionevole durata del processo deve tenersi conto dei criteri
cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. 1, della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamato dalla norma interna, deve
riconoscersi soltanto il valore di precedente, non sussistendo nel quadro delle
fonti meccanismi normativi che ne prevedano la diretta vincolatività per il
giudice italiano. Anche in tale prospettiva, l’accertamento della sussistenza dei
presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la complessità del caso,
il comportamento delle parti e la condotta dell’autorità – così come la misura del
segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile
all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di
ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto,
appartiene alla sovranità del giudice di merito e può essere sindacato in sede di
legittimità solo per vizi attinenti alla motivazione” (Cass. n. 24399 del 2009).
In tema di valutazione dei rinvii di udienza ai fini della L. n. 89 del 2001, questa
Corte ha chiarito che “ai fini della eventuale ascrivibilità, nell’area della
irragionevole durata del processo, dei tempi corrispondenti a rinvii eccedenti il
termine ordinatorio di cui all’art. 81 disp. att. c.p.c., la violazione della durata
ragionevole non discende, come conseguenza automatica, dall’essere stati
disposti rinvii della causa di durata eccedente i quindici giorni ivi previsti, ma dal
superamento della durata ragionevole in termini complessivi, in rapporto ai
Ric. 2014 n. 06160 sei. M2 – ud. 24-09-2015
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La censura è fondata per quanto di seguito si viene ad esporre.

parametri, di ordine generale, fissati dall’art. 2 della legge suddetta. Da tale durata
sono detraibili i rinvii richiesti dalle parti solo nei limiti in cui siano imputabili ad
intento dilatorio o a negligente inerzia delle stesse, e, in generale, all’abuso del
diritto di difesa, restando addebitabili gli altri rinvii alle disfunzioni dell’apparato
giudiziario, salvo che ricorrano particolari circostanze, che spetta alla P.A.

Cass. n. 6868 del 2011).
Nella specie, risulta che la Corte d’appello ha considerato alcune vicende
processuali ai fini della valutazione della ragionevole durata del processo, quanto
alla sua complessità, definita ordinaria, salvo prolungarne la ordinarietà a sei anni
in considerazione della risoluzione di questioni collaterali (usucapione
appartamento) ovvero dell’intervento di sentenza parziale, ma ha omesso ogni
valutazione in ordine al comportamento delle parti e alla verifica di quali dei
rinvii menzionati nel ricorso fossero, e in quale misura, addebitatali alle parti e
non all’amministrazione della giustizia.
La assoluta assenza di ogni valutazione dell’elemento in questione ai fini della
determinazione della irragionevole durata integra il vizio di motivazione
denunciato.
Con il quarto motivo l’Amministrazione denuncia violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 2 legge n. 89 del 2001 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360

comma 1 n. 3 c.p.c. per essere stati liquidati gli interessi sull’indennizzo
riconosciuto dalla domanda pur in mancanza di una specifica domanda sul
punto.
Con il quinto ed ultimo motivo nel denunciare un vizio di motivazione,
l’amministrazione lamenta che la corte di appello abbia determinato il parametro

per la liquidazione dell’indennizzo sulla base di E. 1.000,00 per anno di ritardo
quantunque vi fossero plurimi elementi di segno riduttivo, quali la complessità
superiore alla media, come da orientamento di cui alla sentenza di legittimità n.
21840 del 2009.
Ric, 2014 n. 06160 sez. M2 – uti. 24-09-2015
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evidenziare, riconducibili alla fisiologia del processo” (Cass. n. 11307 del 2010;

Dall’accoglimento del terzo mezzo, sulla base delle considerazioni sopra svolte,

vanno ritenute assorbite le censure di cui al quarto ed al quinto motivo; il decreto
impugnato deve essere cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio, per
nuovo esame, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del

P.Q.M.

La Corte, rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo, assorbiti il quarto
e quinto;
cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le
spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Roma, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI – 2″ Sezione Civile, il 24
settembre 2015.

giudizio di cassazione.

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