Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6608 del 06/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6608 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 24200-2014 proposto da:
ITALFERR SPA, in persona dell’institore, elettivamente domiciliata in
ROMA, L.G. 1-i’ARAVElll i 22, presso lo studio dell’avvocato ENZO
MORRICO, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
MANCA LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN
TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato
ANTONINO DIF,RN A, che la rappresenta e difende giusta procura a
margine del controricorso;
con troricorrente contro

Data pubblicazione: 06/04/2016

FERSERVIZI SPA, in persona del suo institore, elettivamente
domiciliata in ROMA, L.G. FARAVE13,1 22, presso lo studio
dell’avvocato ENZO MORRICO, che la rappresenta e difende giusta
procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

contro
MANCA LUCIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAN
TOMMASO D’AQUINO 116, presso lo studio dell’avvocato
ANTONINO DIERNA, che la rappresenta e difende giusta procura a
margine del controricorso;

controticorrente
nonchè contro
OBIETTIVO LAVORO SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2604/2014 della CORTF, D’APPELLO di
ROMA, depositata il 16/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIKNZO.
FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio delll 1
febbraio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente
relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c. (ritrascritta epurata dai
refusi) :
“Con sentenza del 16.4.2014, la Corte di appello di Roma, in
accoglimento del gravame proposto da Manca Lucia, ed in riforma della
sentenza del Tribunale, accertava la illegittimità della causale apposta al
primo dei contratti di lavoro interinale conclusi con la Obiettivo Lavoro in
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML ud. 11-02-2016
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controricorrente e ricorrente incidentale –

favore di ltalferr s.p.a. e dichiarava che tra Manca Lucia e quest’ultima
società si era instaurato un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin
dalla data di conclusione del contratto, condannando la società al
pagamento, in favore dell’appellante, della indennità risarcitoria ex art.
32 della legge 183/2010, nella misura di sei mensilità dell’ultima

legge, dal 28.1.2003 al saldo.
Esclusa la ricorrenza di un’ipotesi di risoluzione consensuale del
rapporto per l’inerzia prolungata della Manca rispetto all’azione
giudiziale, rilevava la Corte che, con riferimento alle esigenze di natura
temporanea legittimanti il ricorso al lavoro temporaneo, doveva ritenersi,
alla luce dell’insegnamento giurisprudenziale di legittimità tratto dalle
pronunzie nn. 21837/2012 e 1148/2013, che la causale riportata nel
contratto “punte di intensa attività”, che si limitava a richiamare una delle
ipotesi previste dal ccril (“incrementi produttivi a carattere temporaneo”),
fosse del tutto generica, in quanto non aggiungeva alcuna
specificazione che consentisse di individuare le ragioni dell’asserito
aumento e della necessità di ricorso al lavoro interinale.
In particolare, evidenziava che nella esposizione in fatto la società
aveva dedotto che in ragione del tipo di attività svolta si era trovata a
fronteggiare picchi di attività cui non riusciva a far fronte con il proprio
organico, con drastica riduzione delle attività lavorative, e che, a partire
dal 2000, per la realizzazione di commesse di competenza RFI per la
successiva realizzazione della tratta della linea TAV, si era reso
necessario il ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo, ma che a tanto
doveva seguire la prova non solo dell’effettiva realizzazione della
commessa, ma anche il raffronto fra dati oggettivi atto a dimostrare
l’incremento di attività, laddove nulla la società aveva indicato.
Per la cassazione della decisione ricorre la società ltalferr, affidando
l’impugnazione a cinque motivi, cui resiste la Manca, con controricorso.
La società Obeittivo Lavoro è rimasta intimata.

kic. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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retribuzione globale di fatto, pari ad euro 1200,00, oltre accessori di

Anche la società Federservizi, che aveva stipulato successivo contratto
di fornitura di lavoro temporaneo, resiste con controricorso, proponendo
ricorso incidentale avverso l’indicata decisione, affidato ad unico motivo.
Con il primo motivo, la ricorrente principale denunzia violazione e falsa
applicazione dell’ad 1372, comma I, c.c., rilevando come sia stata

che non ha tenuto conto della circostanza che il comportamento della
Manca, inerte e concludente, non sia consistito nella mera inerzia, ma in
atteggiamenti volti a confermare la risoluzione del rapporto, stante il
valore dichiarativo da attribuirsi non solo all’esecuzione del contratto ma
anche alla sua inesecuzione. A ciò dovendo aggiungersi la
considerazione in ordine all’esistenza di altro principio, quale quello
dell’affidamento, in connessione con l’esigenza della certezza dei
rapporti giuridici e della buona fede in ogni fase contrattuale e la
rilevanza ai fini considerati di altre norme del diritto del lavoro tendenti a
contenere la conflittualità tra lavoratore ed impresa entro circoscritti limiti
temporali.
Con il secondo motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione
dell’art. 1, comma 2, lett. c), 5 I. 196/97, dell’ ad. 3, comma 3, e dell’art.
10 I. 196197, sul rilievo che il contratto di fornitura non deve contenere
l’indicazione dei motivi di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo ai
sensi della L. n.196 del 1997, art. 1, comma 5, dovendo tali ragioni
essere indicate unicamente nel contratto per prestazione di lavoro
temporaneo, ovvero nel contratto stipulato tra il lavoratore e la società di
fornitura e che ogni vicenda relativa al contratto di lavoro temporaneo è
da imputare esclusivamente ai rapporti intercorrenti tra società fornitrice
e lavoratrice, nei cui confronti devono essere fatte valere le pretese
azionate. Ciò diversamente che nell’ipotesi di mancanza di forma
scritta, che determina l’assunzione del lavoratore che presti la sua
attività a favore dell’impresa utilizzatrice da parte di quest’ultima.
Aggiunge che nel caso specifico il ricorso al lavoro temporaneo era
consentito dalla legge o dal contratto collettivo con riguardo all’esigenza
di far fronte ad incrementi produttivi a carattere temporaneo e di
kic. 2014 n, 24200 sez. ML – uct. 11-02-2016
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erronea l’interpretazione della norma da parte della Corte del merito,

fronteggiare, come previsto da Accordo Interconfederale del 16.4.1998,
punte di più intensa attività connesse a richieste di mercato derivanti
dall’acquisizione di commesse o dal lancio di nuovi prodotti_
Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 2697 c. c., osservando che era stata disattesa la richiesta prova

relazione alle allegazioni che avevano riguardo all’esigenza posta a
ragione della stipulazione del contratto di fornitura di lavoro temporaneo,
vanificandosi in tal modo ogni tentativo di dimostrare l’effettività della
causale dedotta.
Nel quarto motivo, si censura la decisione per violazione e falsa
applicazione dell’art. 10 I. 196/97 e della I. 1369/1960, osservandosi che
l’art. 10, comma 2, della legge citata, che contiene le norme
sanzionatone, dispone che la mancata erronea o generica indicazione
dei motivi di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo può produrre
solo ed esclusivamente la costituzione del rapporto di lavoro alle
dipendenze della società fornitrice, ma non dell’utilizzatrice, nei confronti
della quale si instaura il rapporto a tempo indeterminato solo in
mancanza della forma scritta del contratto di fornitura.
La ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione della L. n.
196 del 1997, art. 10, sostenendo che, nel caso di ritenuta illegittimità
del contratto di fornitura per uno o più motivi previsti dalla L. n. 196 del
1997, art. 10, comma 1, debba dichiararsi che il datore di lavoro è il
soggetto interponente e non il soggetto interposto, fermo restando, però,
il termine apposto al contratto, che non viene intaccato dalla
surrogazione che consegue alla dichiarata illegittimità.
Con il quinto motivo, viene dedotto l’omesso esame su un punto
decisivo della controversia

e si censura la mancata valutazione

dell’eccezione sull’aliunde perceptum, dolendosi la ricorrente della
circostanza che erano state disattese le istanze con le quali si mirava a
provare che, nel lasso di tempo intercorso tra la cessazione del rapporto
e la instaurazione del giudizio, la controricorrente aveva prestato attività
lavorativa presso altri datori di lavoro, ai fini della detrazione dalla
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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testimoniale, articolata sin dal primo grado e reiterata in appello, in

condanna al pagamento delle retribuzioni maturate di quanto percepito
nel periodo suddetto.
Quanto al primo motivo, come da questa Corte più volte affermato “nel
giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un
unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto

scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per
mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di
tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine,
nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze
significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di
porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo” (v, Casa. 10-1 12008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554,
nonché più di recente, Casa. 18-11-2010 n. 23319, Casa. 11-3-2011 n.
5887, Casa. 4-8-2011 n. 16932, Cass. 28.1.2014n. 1780).
La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a
termine, quindi, “è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso” (v. Casa. 15- 11-2010 n.
23057, Casa. 11-3-2011 n. 5887), mentre “grava sul datore di lavoro”,
che eccepisca tale risoluzione, “l’onere di provare le circostanze dalle
quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Casa. 2-12-2002 n.
17070 e fra le altre, Casa. 1-2-2010 n. 2279).
Tale principio, del tutto conforme al dettato di cui agli artt. 1372 e 1321
c.c., va ribadito anche in questa sede, così confermandosi l’indirizzo
prevalente ormai consolidato, basato in sostanza sulla necessaria
valutazione dei comportamenti e delle circostanze di fatto, idonei ad
integrare una chiara manifestazione consensuale tacita di volontà in
ordine alla risoluzione del rapporto, non essendo all’uopo sufficiente il
semplice trascorrere del tempo e neppure la mera mancanza, seppure
prolungata, di operatività del rapporto e non potendo attribuirsi
significatività alla percezione del tfr senza riserve o a ipotetiche
prestazioni lavorative presso terzi..
kic. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai

Orbene, nella fattispecie la Corte d’Appello non si è discostata dai
principi enunciati reiteratamente affermati, che hanno ritenuto il mero
decorso del tempo privo di significatività ai fini considerati, dovendo
attribuirsi portata neutra al lasso temporale di non attuazione del
rapporto, analogamente che allo svolgimento di attività lavorativa presso

sostentamento quotidiano e non indica la volontà del lavoratore di
rinunciare ai propri diritti verso il precedente datore di lavoro (cfr. Cass.
cit. 12310/2014). Peraltro, quanto alla ripartizione dell’onere probatorio,
questa stessa Corte ha affermato che, nel giudizio instaurato ai fini del
riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per
nullità del termine apposto a successivi contratti, grava sul datore di
lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso dei contratti
succedutisi nel tempo, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa
ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro (principio enunciato da
Cass. 4.8.2011 n. 16932 ai sensi dell’art. 360 bis, comma 1, cod. proc.
civ.).
I principi suddetti, affermati in relazione ad ipotesi di contratto a termine
e di correlativa azione diretta a far valere la nullità del termine, sono
trasponibili nella specifica ipotesi oggetto del presente giudizio, avente
ad oggetto la domanda di costituzione del rapporto a tempo
indeterminato nei confronti dell’utilizzatore.
Il secondo ed il terzo motivo, pur se riferiti alla violazione della I. 196197
e di norme codicistiche, sono connessi e devono essere esaminati
congiuntamente.
In ordine a tali censure, è sufficiente osservare, in conformità a quanto
già affermato da questa Corte, che “in materia di rapporto di lavoro
interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto
intercorrente tra l’impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in
cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai
contratti collettivi dell’impresa utilizzatrice, spezza l’unitarietà della
fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità
Ric. 2014 n, 24200 sei. ML ud. 11-02-2016
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terzi dopo la scadenza del rapporto, che risponde ad esigenze di

dell’offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del
lavoratore e fa venir meno quella presunzione di legittimità del contratto
interinale, che il legislatore fa discendere dall’indicazione nel contratto di
fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso.
La Corte del merito ha correttamente evidenziato che nel caso

fatti riferiti alla normale attività connessa all’acquisizione di commesse,
ma ha omesso di specificare in che termini la realizzazione della tratta
della linea TAV invocata, da eseguire in un lasso temporale prolungato,
avesse trovato effettiva esecuzione e di indicare i riflessi di tale
realizzazione sulla consistenza dell’organico necessario per fronteggiare
l’attività relativa.
Al di là della mancata produzione del CCNL di riferimento – che
contravviene al disposto di cui all’ad 369, comma secondo, n. 4 c.p.c.
che sanziona in termini di improcedibilità il ricorso, il cui deposito non sia
accompagnato pure dal deposito degli atti processuali, dei documenti e
degli accordi collettivi su cui si fonda, in coerenza con la necessità di
adempimento di un duplice onere riferito alla indicazione esatta nel
ricorso della fase processuale e del fascicolo di parte in cui si trovi il
documento ed a quella di trascrizione nel ricorso del suo esatto
contenuto. (2861/14; 2427/14; 2966/11) -, va rilevato che correttamente
è stato evidenziato dalla Corte territoriale che la mancanza di specificità
della causale aveva riflessi anche sull’adempimento dell’onere
probatorio facente capo alla società utilizzatrice, determinando
l’impossibilità di ogni dimostrazione relativa alla necessità di ricorrere
alla fornitura dei lavoro temporaneo per la dedotta mansione di addetta
segreteria 5 0 livello, affidata alla Manca.
Il problema posto dal quarto motivo è, poi, quello di stabilire, a fronte di
un contratto di fornitura illegittimo, quali sanzioni sono previste dalla
legge e nei confronti di quali soggetti. Le legittimità del contratto di
fornitura costituisce il presupposto per la stipulazione di un legittimo
contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. Per scelta legislativa i

RIc, 2014 n. 24200 sez. ML – uct. 11-02-2016
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considerato, nella narrativa “in fatto”, la società ha allegato sicuramente

vizi del contratto commerciale di fornitura tra agenzia interinale e
impresa utilizzatrice si riverberano sul contratto di lavoro.
L’illegittimità del contratto di fornitura comporta le conseguenze previste
dalla legge sul divieto di intermediazione e interposizione nelle
prestazioni di lavoro, e quindi l’instaurazione del rapporto di lavoro con il

l’art. 10, comma 1, collega alle violazioni delle disposizioni di cui all’art.
1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti proprio il
contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste dalla legge
1369 del 1960, consistenti nel fatto che “i prestatori di lavoro sono
considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che
effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”. In tal senso questa
Corte si è espressa, in modo univoco e costante, con una pluralità di
decisioni, a cominciare da Cass. 23 novembre 2010 n. 23684; Casa. 24
giugno 2011 n. 13960; Cass. 5 luglio 2011 n. 14714 alle cui motivazioni
si rinvia per ulteriori approfondimenti).
Le medesime sentenze hanno precisato che alla conversione soggettiva
del rapporto, si aggiunge la conversione dello stesso da lavoro a tempo
determinato in lavoro a tempo indeterminato, per intrinseca carenza dei
requisiti richiesti dal decreto legislativo 368 del 2001 ai finì della
legittimità del lavoro a tempo determinato tra l’utilizzatore ed il lavoratore
(sul punto v. anche: Casa. 6933/2012, Cass. 5.12.2012 n. 21837, Cass.
17.1.2013 n. 1148). L’effetto finale è la conversione del contratto per
prestazioni di lavoro temporaneo in un ordinario contratto di lavoro a
tempo indeterminato tra l’utilizzatore della prestazione, datore di lavoro
effettivo, e il lavoratore. Va, invero, qui ribadito, in conformità a quanto
già affermato da questa Corte, che trova applicazione il disposto di cui
alla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 10 e dunque quanto previsto dalla L.
23 ottobre 1960, n. 1369 art. 1 per cui il contratto di lavoro col fornitore
“interposto” si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore
“interponente” (v. Cass. 24.6.2011 n. 13960; Cass. 5.12.2012 n. 21837,
Casa. 17.1.2013 n.1148 cit.). Si è in presenza di un collegamento
negoziale che costituisce fenomeno incidente direttamente sulla causa
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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fruitore della prestazione, cioè con il datore di lavoro effettivo. Infatti,

dell’operazione contrattuale che viene posta in essere, caratterizzata da
una interdipendenza funzionale dei diversi atti negoziali – il contratto di
fornitura e il contratto per prestazione di lavoro temporaneo quest’ultimo venendo dalla società fornitrice concluso allo scopo, noto
all’utilizzatore, di soddisfare l’interesse di quest’ultimo ad acquisire la

pratica unitaria. Tale collegamento, in particolare, acquisisce autonoma
rilevanza giuridica, tenuto conto che le parti contrattuali, diverse, sono
consapevoli del nesso teleologico tra i più atti negoziali, e lo stesso si
palesa all’esterno proprio in ragione dell’obiettivo della flessibilità. A ciò
consegue, peraltro, che i motivi di cui all’art. 3, comma 3, lett. a), vale a
dire quelli del ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo,
la cui indicazione è richiesta con riguardo al contenuto del contratto
intercorrente tra impresa fornitrice e singolo lavoratore, hanno una
valenza autonoma e concorrono ad integrare il disposto di cui all’art. 1,
comma 2, lett. a), sulla possibilità che il contratto di fornitura tra
l’impresa utilizzatrice e quella fornitrice sia concluso nei casi previsti
dagli accordi collettivi nazionali della categoria di appartenenza
dell’impresa utilizzatrice, il tutto nell’ottica di una visione dei rapporti tra
loro collegati. Conseguenza dell’indicata violazione è l’applicazione del
disposto di cui all’art. 10 e, dunque, di quanto previsto dalla L. n. 1369
del 1960, art. 1, u.c., per cui il contratto di lavoro col fornitore
“interposto” si considera a tutti gli effetti instaurato con l’utilizzatore
“interponente”. É stato, invero, osservato che “diverse sono le ragioni
che inducono a ritenere che la suddetta sanzione si applichi anche
nell’ipotesi generale di cui alla L. n. 196 dei 1997, art. 10, comma 1.
Anzitutto, il richiamo generalizzato ed indifferenziato contenuto in tale
comma alla L. n. 1369 del 1960 sul divieto di intermediazione ed
interposizione nelle prestazioni di lavoro non può avere altro significato,
nell’intenzione dei legislatore, che quello di veder applicate le
conseguenze sanzionatorie di tale disciplina alle ipotesi di violazione
della disposizione di cui alla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a),
vale a dire la violazione alla regola, normativamente contemplata, di
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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disponibilità di prestazioni di lavoro — rivolta a realizzare una finalità

conclusione del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo
nei casi previsti dai contratti collettivi nazionali della categoria di
appartenenza dell’impresa utilizzatrice, stipulati dai sindacati
comparativamente più rappresentativi”. É stato evidenziato che “non
bisogna, infatti, dimenticare che, allorquando era vigente la L. n. 1369

lavoro a tempo indeterminato, per cui alla sostituzione soggettiva del
reale datore di lavoro interponente, quale effettivo utilizzatore della
prestazione lavorativa oggetto dell’operazione di intermediazione o di
interposizione, al fittizio datore di lavoro interposto si accompagnava
l’instaurazione di un rapporto lavorativo normalmente a tempo
indeterminato, non essendo, ovviamente, possibile costituire un
rapporto a termine che rappresentava all’epoca l’eccezione” e che “non
vale ad escludere una tale interpretazione il fatto che la sanzione della
instaurazione di un rapporto lavorativo a tempo indeterminato è prevista
espressamente dall’art. 10, comma 2, per l’ipotesi della mancanza di
forma scritta dei contratto: invero, è agevole osservare che se una tale
sanzione è prevista per l’ipotesi meno grave del vizio formale della
mancanza della forma scritta dell’accordo, a maggior ragione essa non
può non essere applicata a quella più grave, in quanto ingiustificata,
della violazione sostanziale dell’inosservanza della disposizione di cui
alla L. n. 196 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a), vale a dire della regola
che il contratto di fornitura sia concluso per i casi prefigurati dalla
contrattazione collettiva espressione dei sindacati comparativamente più
rappresentativi”.
É stato, poi, richiamato l’insuperabile argomento sistematico per il
quale, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata
la disciplina limitativa del contratto a termine invero, una volta costituito
con l’impresa fornitrice interposta il contratto a termine, qualora si
volesse sostenere che anche il rapporto che si instaura “ex lege” con
l’impresa utilizzatrice interponente debba essere a termine, ad onta della
accertata illegittimità dell’apposizione dei termine, si perverrebbe alla
inaccettabile ed assurda situazione per la quale la violazione dei divieto
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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del 1960, la normalità era rappresentata dalla figura del contratto di

di interposizione di mano d’opera consentirebbe all’interponente di
beneficiare di una prestazione a termine altrimenti preclusa. Va da sè
che il termine apposto a contratto di lavoro temporaneo col fornitore
interposto può essere salvato, nella imputazione “ex lege” del contratto
all’utilizzatore interponente, solo se il negozio concluso è di per sè
l’utilizzatore fornito la prova, in quanto diversamente sarebbe esclusa in
radice la legittimità del ricorso al contratto di fornitura.
Un avallo alla ricostruzione operata è stato rinvenuto nella sentenza n.
58 del 16 febbraio 2006 della Corte costituzionale che ha dichiarato
incostituzionale, per irragionevolezza e contrarietà al principio di tutela
del lavoro, l’intervento legislativo (L. n. 388 del 2000, art. 117, comma 1)
col quale la trasformazione del contratto prevista dal secondo periodo
della L. n. 196 del 1997, art.10, comma 2 (contratto per prestazioni di
lavoro temporaneo di cui alla L. n. 196 de11997, art.3, mancante della
forma scritta ovvero degli elementi di cui all’art. 3, comma 3, lett. g), era
stata sancita a tempo “determinato” invece che “indeterminato”, (cfr. in
tali termini Cass. 5.12.2012, n. 21837, nonché Cass. 17.1.2013 n. 1148,
Cass. 23.11.2011 n. 23684).
Le argomentazioni svolte inducono al rigetto anche della censura che
vede sulla erroneità della decisione nella parte in cui ha dichiarato a
tempo indeterminato il rapporto instauratosi con l’impresa utilizzatrice.
In ordine alla conseguenze risarcitorie ed alla doglianza espressa con
riguardo alla mancata detrazione dell’aliunde perceptum, è sufficiente
osservare che, come affermato da questa Corte (Cass., n. 3056 del
2012 e da numerose altre successive), Io “ius superveniens” costituito
dalla L. n. 183 del 2010, ex art. 32, commi 5, 6 e 7, (invocato dalla
società già nel giudizio di gravame ed applicato dalla Corte d’appello)
configura, alla luce dell’interpretazione adeguatrice offerta dalla Corte
costituzionale con sentenza n. 303 del 2011, una sorta di penale “ex
lege” a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo;
pertanto, l’importo dell’indennità è liquidato dal giudice, nei limiti e con i
criteri fissati dalla novella, a prescindere dall’intervenuta costituzione in
Ric. 2014 n. 24200 sez. ML – ud. 11-02-2016
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stesso conforme alla disciplina dei lavoro a termine, avendone

mora del datore di lavoro e dalla prova di un danno effettivamente subito
dal lavoratore (senza riguardo, quindi, per l’eventuale “aliunde
perceptum”), trattandosi di indennità “forfetizzata” e “onnicomprensiva”
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo cosiddetto
“intermedio” (dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione).

incidentale della società Ferservizi incentrato sulla violazione dell’art.
1372 c. c..
Per tutto quanto sopra considerato, si propone, ex art. 375 cod. proc.
civ., n. 5, il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio. La ricorrente principale e la Ferservizi s.p.a hanno depositato
memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le
conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto
dei ricorsi, previa riunione degli stessi ai sensi dell’ari. 335 c.p.c..
In particolare, quanto ai rilievi sulla risoluzione per mutuo consenso,
contenuti nelle memorie, osserva che la mancanza di contestazione al
momento della cessazione del contratto, in uno con la accettazione
senza riserva del t.f.r., è circostanza comunque incentrata sulla
complessiva inerzia del lavoratore, mentre la durata del contratto è
circostanza sostanzialmente estranea al comportamento successivo
delle parti. La medesima estraneità sussiste anche con riguardo allo
svolgimento di altra attività lavorativa, per essere la ricerca di un nuovo
lavoro imposta al lavoratore dalla elementare necessità di sopperire
comunque ai bisogni della vita.
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna di ciascuna delle ricorrenti al
pagamento delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in favore della
controricorrente, con attribuzione delle stesse in favore del difensore,
dichiaratosi distrattatici. Nulla va statuito nei confronti della società
rimasta intimata.

Ric, 2014 n. 24200
-13-

sez. ML – ud, 11-02-2016

Le argomentazioni che precedono inducono al rigetto anche del ricorso

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,

comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei

un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è
collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto
oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetto integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione
sia principale che incidentale, muovendosi, nella sostanza, la previsione
normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur
sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass. Sez. Un. n.
2203512014).
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
Condanna ciascuna delle società ricorrenti al pagamento, in favore
della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità,
liquidate in euro 100,00 per esborsi, euro 3500,00 per compensi
professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle
spese generali in misura del 15%, con attribuzione all’avv. Antonino
Dierna.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
principale e della ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per
quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 11.2.2016

presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce

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