Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6607 del 09/03/2020

Cassazione civile sez. I, 09/03/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 09/03/2020), n.6607

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 4545/2019 proposto da:

I.S., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Lombardi

Baiardini e presso o studio di quest’ultima elettivamente

domiciliato, come da procura in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica,

elettivamente domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Generale dello

Stato in Roma via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 863/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata in data 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/01/2020 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I.S., cittadino nato il (OMISSIS), in (OMISSIS), (OMISSIS), ha formulato domanda per il riconoscimento dello stato di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Firenze, Sezione di Perugia, sezione di Ancona, che veniva rigettata.

2. Il richiedente aveva raccontato di provenire dalla (OMISSIS), (OMISSIS), e che a seguito dell’uccisione del nonno, con il quale conviveva non avendo avuto fin da piccolo notizie dei suoi genitori, perchè ritenuto (il nonno) proprietario di terreni ritenuti eccessivi per una sola persona, era stato costretto a fuggire per il pericolo di essere ucciso quale unico erede del nonno; che, giunto a (OMISSIS), era stato avvicinato da un gruppo di persone seguaci di un Culto che gli avevano chiesto di entrare a fare parte del loro raggruppamento e che dopo essersi allontanato ed essere stato ripreso, per non essere ucciso era scappato rifugiandosi sopra un camion che lo aveva portato in Libia.

3. Il Tribunale di Perugia, adito con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., non riconosceva la chiesta protezione internazionale nelle forme richieste e, con ordinanza del 19 aprile 2018, confermava il provvedimento di diniego della Commissione, compensando le spese fra le parti.

4. Avverso tale provvedimento I.S. proponeva appello affermando la credibilità del racconto e la sussistenza dei presupposti per accedere alla protezione internazionale e la Corte di appello di Ancona, con sentenza emessa il 9 luglio 2018, rigettava l’appello negando la sussistenza dei requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale, anche sussidiaria e umanitaria.

5. I.S. ricorre in cassazione con tre motivi.

6. L’Amministrazione resistente si è costituita con controricorso.

7. Scott I. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo I.S. lamenta la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,5 e 14; al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8 e 32; al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 1.1.; al decreto D.P.R. n. 394 del 1999, art. 28, per non avere valutato il tribunale di Perugia la credibilità sulla base dei parametri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

1.1 Il motivo è inammissibile.

Come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte territoriale ha affermato che le dichiarazioni del richiedente erano generiche, che rispetto alle stesse il richiedente non aveva nemmeno provato a fornire più particolari tali da rendere verosimile il racconto e che le dichiarazioni riguardavano vicende tutte personali.

I giudici di secondo grado, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente che deduce che la Corte di appello non è giunta ad una esplicita ed inequivoca presa di posizione in merito, hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in esito al quale hanno ritenuto inattendibile la narrazione del richiedente, elemento questo significativo poichè secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5” (Cass., 12 giugno 2019, n. 15794).

Con la conseguenza che l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda e con l’ulteriore corollario che il giudice deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.

Ciò nel rispetto dei principi affermati da questa stessa Corte sull’onere della prova in materia di protezione internazionale, materia che non si sottrae ai principio dispositivo, pur nei limiti esposti in relazione al principio della cooperazione istruttoria del giudice, principio quest’ultimo che concerne il versante dell’allegazione e non quello della prova (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27336).

Non si può, quindi, dire omessa alcuna attività da parte del giudice di merito, nè è stato indicato il contenuto delle allegazioni da verificare, quand’anche in via ufficiosa.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e art. 14, lett. a) e b) e al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 25 e agli artt. 2, 3, 4, 5, 9 CEDU.

Ad avviso del ricorrente la Corte ha mancato all’obbligo di effettuare e riportare i dati e gli accertamenti sul paese di origine del ricorrente e non ha citato alcuna fonte di informazione, nè sono state accertate le condizioni del sistema giudiziario e l’effettività della tutela dei diritti soggettivi e di proprietà.

2.1 Il motivo è infondato.

Ed invero, la Corte territoriale ha affermato che dalla narrazione dei fatti del ricorrente non emergeva alcun timore per eventuali condanne a morte o torture e che nella regione dell'(OMISSIS) non si ravvisava la presenza di un conflitto armato interno dal quale potesse derivare una violenza indiscriminata.

Inoltre, i giudici di secondo grado, richiamando il documento Un High Commissioner for Refugees UNHCR; Nigeria Situation 1 – 31 marzo 2016), hanno espressamente evidenziato che dagli approfondimenti effettuati tramite la consultazione dei vari siti specializzati è emerso che l’area interessata ai conflitto era quella del Nord Est del Paese, in particolare lo stato di (OMISSIS), mentre la situazione del Sud (OMISSIS) era nettamente diversa tanto che non poteva dirsi presente nell'(OMISSIS) un conflitto armato.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, dev’essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass., 2 ottobre 2019, n. 24647).

Ciò in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea secondo cui i rischi a cui è esposta in generale la popolazione di un paese o di una parte di essa di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definirsi come danno grave, potendo l’esistenza di un conflitto armato interno portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14, lett. c) direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia Europea (Corte di Giustizia, causa C-285/12, Diakitè, sentenza 30 gennaio 2014 e causa C-465/07, Elgafaji, sentenza 17 febbraio 2009).

Alla luce degli enunciati principi, la censura del ricorrente si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in secuito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Cass., 13 agosto 2018, n. 20721).

Ancora, nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato, mediante il ricorso a fonti internazionali attendibili citate in motivazione, secondo quanto richiesto dal recente indirizzo di questa Corte (Cass., 26 aprile 2019, n. 11312) che la zona di provenienza del ricorrente non risultava interessata da una situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, richiesta dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3 e 5; al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3,8 e 32; al D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, commi 1 e 1.1; al D.P.R. n. 394 del 1999, art. 29, nonchè per omesso esame di un fatto decisivo ai fini dei giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ad avviso del ricorrente la Corte di appello di Perugia non aveva considerato le violenze e le persecuzioni subite in patria, prima nella comunità di nascita dove viveva in una situazione di privilegio perchè il nonno era proprietario di numerosi terreni e poi a (OMISSIS) dove era stato minacciato dagli appartenenti ad un Culto; nè erano state prese in considerazioni le dichiarazioni in merito all’accaduto in Libia, dove il ricorrente era stato condotto dall’autista del camion, luogo in cui si era rifugiato per scappare da (OMISSIS) da una persona che lo aveva fatto imprigionare in carcere, dove era maltrattato, lo facevano lavorare e non gli cavano da mangiare.

3.1 Il motivo è infondato.

Ferma restando la non applicabilità nel caso in esame delle norme dettate dal D.L. n. 113 del 2018, convertito dalla L. n. 132 del 2018 (si richiama sul punto la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 13 novembre 2019, n. 29459), va osservato che nel provvedimento impugnato si rinviene una motivazione del rigetto della domanda molto sintetica, ma non apodittica.

La Corte di appello di Perugia ha escluso la sussistenza di una situazione di vulnerabilità perchè ” I.S. non ha mai parlato di vicende particolarmente drammatiche”.

Ed invero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass., 22 febbraio 2019, n. 5358).

Inoltre, “la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, da l’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore”” (Cass., 7 agosto 2019, n. 21123).

Questa Corte, nell’ordinanza richiamata ha precisato che “se è vero che il rigetto della domanda di protezione umanitaria non può conseguire ipso facto al rigetto delle altre domande di protezione umanitaria, è vera anche la reciproca: e cioè che l’accoglimento di essa non può reputarsi una “ruota di scorta” concessa dall’ordinamento a chi non sia riuscito a dimostrare i presupposti del rifugio o della protezione sussidiaria. Se, come è pacifico, i presupposti del rifugia a della protezione sussidiaria non coincidono con quelli della protezione umanitaria, una volta esclusa la sussistenza dei primi, il richiedente asilo, per ottenere la concessione seconda, deve dedurre fatti ulteriori e diversi rispetto a quelli posti a fondamento delle domane non accolte”.

Nel caso di specie, il ricorrente ha posto a fondamento delle richieste di riconoscimento dello stato di rifugiato, di protezione sussidiaria e di protezione umanitaria le medesime circostanze di fatto, nè ha mai assolto, nell’intero ricorso, l’onere di allegare e descrivere quali erano le circostanze di fatto, personali e peculiari, diverse da quelle poste a fondamento delle altre ed infondate domande di protezione, riscontro della sussistenza della condizione di grave violazione dei diritti umani e, per ciò solo, giustificative della richiesta di protezione umanitaria. Anche con riferimento al dedotto omesso esame dei fatti sopra esposti il motivo è infondato.

La Corte d’appello, infatti, non ha omesso di considerare le richiamate circostanze, ma a ritenuto non credibili le dichiarazioni del ricorrente, con la conseguenza che la Corte d’appello non aveva alcun onere di prendere in esame un fatto ritenuto non veridico.

6. Il ricorso va, conclusivamente, rigettato.

Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna I.S. alla rifusione in favore del Ministero dell’Interno delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre accessori e rifusione delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020

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