Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6607 del 06/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6607 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 2985-2015 proposto da:
POSTE F1′.ALIANE SPA 97103880585, – società con socio unico – in
persona dell’Amministratore delegato e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo
studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende
giusta procura a margine del ricorso;
– rkorrenti cali tra

DE FRANCESCO MANUEL, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA COLA 1)I RIENZO 271, presso lo studio dell’avvocato
FRANCESCO BALDASSARRE, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del controricorso;
controricorrente –

Data pubblicazione: 06/04/2016

avverso il decreto n. 1933/2014 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA del 7/01/2014, depositato il 29/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Mario Miceli (delega avvocato Roberto Pessi)

FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’il
febbraio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente
relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
‘il Presidente della Sezione Lavoro con decreto del 7/29.1.2014
dichiarava estinto il processo ai sensi degli artt. 390 e 391 cpc, in
conseguenza della rilevata rinuncia al ricorso da parte della società
Poste Italiane – e della intervenuta adesione alla stessa di controparte —
in relazione al ricorso proposto avverso la sentenza definitiva della
Corte d’appello di Lecce del 19.11.2008 che, in accoglimento del ricorso
dei lavoratori, aveva dichiarato la nullità del termine finale apposto al
contratto, stipulato per il periodo dal 1.3.2000 al 30.6.2000, anche con l’
attuale contro ricorrente, per esigenze eccezionali conseguenti alla fase
di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso ai
sensi dell’art. 8 ccn11994.
Per la revocazione del decreto ricorre la società, rilevando che nessun
accordo transattivo era stato mai sottoscritto da De Francesco Manuel e
che nessun verbale era stato mai allegato o prodotto in giudizio con
riguardo alla posizione di quest’ ultimo. Ritenendo che la pronunzia di
estinzione rivesta natura decisoria e che la stessa costituisca il frutto di
un evidente errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa, la
società insiste per la revocazione del decreto suindicato ai sensi dell’art.
395 n. 4 c.p.c. o comunque per la correzione di errore materiale nella
parte in cui il decreto non specifica la limitazione dell’estinzione solo con
riferimento alle posizioni dei ricorrenti Bruno e Boccarello.

Ric. 2015 n. 02985 sez. ML – ud. 11-02-2016
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difensore del ricorrente che si riporta agli scritti.

Rileva poi che il ricorso nei confronti del De Francesco doveva essere
accolto e che doveva trovare applicazione l’art. 32 comma V della I.
183/2010, riguardando la nuova disciplina anche i contratti a termine già
scaduti oggetto del giudizio.
In primo luogo, va rilevato che non risulta prodotto alcun atto di rinuncia

del principio di autosufficienza del ricorso e con effetto preclusivo di ogni
verifica da parte di questa Corte della concreta rilevanza e decisività
dell’errore lamentato,
Il decreto di estinzione fa riferimento ad un atto di rinuncia e ad una
correlativa adesione della controparte alla stessa, che necessariamente
presuppone l’esistenza di un atto abdicativo della società ricorrente,
ulteriore e diverso dal verbale di conciliazione (asseritamente mai
sottoscritto dal De Francesco) – non idoneo a determinare di per sé i
presupposti per un provvedimento di estinzione del giudizio – sicchè era
onere della società depositare l’atto che si assume come riferito alla
posizione di due soltanto dei controricorrenti. L’errore dedotto riguarda
invero la ritenuta esistenza di un fatto la cui verità si ritiene
incontestabilmente esclusa.
In secondo luogo, oggetto di revocazione e di correzione sono, ai sensi
di quanto previsto dall’art. 391 bis c.p.c., la sentenza o l’ordinanza
pronunciata ai sensi dell’art. 375, primo comma, numeri 4) e 5) dalla

Corte di Cassazione, laddove il provvedimento oggetto della presente
revocazione è il decreto emesso dal Presidente con il quale viene
dichiarata l’estinzione, che, a norma del comma 3 dell’art. 391 c.p.c., ha
efficacia di titolo esecutivo se nessuna delle parti chiede la fissazione
dell’udienza nel termine di dieci giorni dalla comunicazione.
Alla luce della disposizione da ultimo richiamata, quindi, il decreto non
può essere oggetto di revocazione se le parti hanno rinunciato a
chiedere la fissazione dell’udienza e all’emissione di una pronuncia di
forma diversa suscettibile del rimedio impugnatorio azionato nella
presente sede.

kic. 2015 n. 02985 sez. ML ud. 11-02-2016
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della società nei confronti degli altri due controricorrenti, in violazione

Si propone, per quanto detto, la declaratoria di inammissibilità del
ricorso per [evocazione e per correzione dell’errore materiale”.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il

contenuto e le

conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto,
sull’inammissibilità del ricorso per revocazione, osservando che

che il decreto di estinzione non può costituirne l’oggetto.
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza
della società e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione al
difensore dichiaratosi antistatario.
Essendo stato il ricorso proposto in tempo posteriore al 30 gennaio
2013, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per
l’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
Invero, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della
sussistenza o meno dei presupposti per l’applicazione dell’ulteriore
contributo unificato costituisce un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale
pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al
fatto oggettivo – ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa
valutazione – del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per
l’impugnante, dell’impugnazione, muovendosi, nella sostanza, la
previsione normativa nell’ottica di un parziale ristoro dei costi del vano
funzionamento dell’apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur
sempre limitate, risorse a sua disposizione (così Cass., Sez. Un., n.
22035/2014). Nella specie la declaratoria di inammissibilità del ricorso
induce a ritenere la sussistenza degli indicati presupposti.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00
per spese, euro 3500,00 per compensi professionali, oltre accessori
come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del
15%, con attribuzione all’avv. Francesco Baldassarre.

Ric. 2015 n. 02985 sez. ML ud. 11-02-2016
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dirimente ai fini dell’inammissibilità del rimedio esperito è la circostanza

Ai sensi dell’ari. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, in data 11.2.2016

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