Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6606 del 06/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6606 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 25891-2014 proposto da:
SVILUPPO ITALIA CAMPANIA SPA IN LIQUIDAZIONE, in
persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO
VISCONTI, 20, presso lo studio PIACCI DE VIVO PETRACCA,
rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA DE VIVO giusta
procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
MONTANINO MARIA, DI LEILA. MARCO, SCOPINO DARIO,
D’AMBROSIO GIUSEPPE, GODONO VALERIA, NOCERINO
MADDALENA, SOMMAI OLO STEFANIA , MORGI I Jf.)
AGOSTINO, PIERINT VINCENZO, M010 GIOVANNI,
FRANZESE GAKTANO, NOTAR() FI ORA, GIANN.ATTASIO

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Data pubblicazione: 06/04/2016

KATIA, MORRA MARIANNA, IODICE ORNELLA, ESPOSITO
NICLA, PIERRO IVANA, elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentati e difesi
dall’avvocato GIUSEPPE MARZIALE e dall’avv. PATRIZIA

– controricorrenti nonchè contro
MONTELLA LUIGIA, VITALE MARIA ROSARIA, D’ANGELO
GIACINTA, VISCA GIOVANNA, DAMA TO SAVERIO,
BALSAMO ANTONIO, BARILE MICHELE, QUARTA BRUNO,
ZANFAGNA MULTA, ARUNDINE C ATIA, GALLO SERGIO,
GALIERO ERSILIA;
– Intimati avverso la sentenza n. 2627/2014 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI del 26/03/2014, depositata il 28/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/02/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO;
udito l’Avvocato Francesco D’Alessio (delega verbale) difensore della
ricorrente che si riporta agli scritti.
FATTO E DIRITTO
La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’il
febbraio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente
relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza depositata il 28.4.2014, la Corte d’appello di Napoli, in
parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stesse sede,
confermava l’esistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato tra la S.p.A. Sviluppo Italia Campania e ciascuno dei
lavoratori, attuali controricorrenti ed intimati, dalle date di stipula della
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TOTARO giusta procura in calce al controricorso;

prima assunzione, con condanna della società a pagare ai lavoratori
l’indennità risarcitoria ex art. 32 I. 183/20110, nella misura di otto,
anziché di dodici mensilità.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la S.p.A. Sviluppo Italia

Resistono, con concontroricorso, i lavoratori epigrafati. Gli altri sono
rimasti intimati.
Con il primo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione del
Digs. n. 276 del 2003, artt. 20, 21, 22 e 27 nella parte in cui
l’impugnata sentenza ha negato la legittimità della causale indicata nei
contratti di somministrazione lavoro intervenuti tra la Adecco Italia S.p.A.
(somministratore) e la società ricorrente (utilizzatore), erroneamente
ritenendo applicabile nel caso di specie la disciplina propria del lavoro a
termine di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001 ed altrettanto erroneamente
reputando necessaria la specificazione della causale, anziché la sua
mera indicazione fra le causali consentite dalla legge anche in relazione
all’ordinaria attività dell’utilizzatore.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del
D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, artt. 2697 e 2729 c.c. e art. 167, 414,
416, 115 e 116 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale ha violato il
principio di non contestazione delle risultanze documentali in riferimento
alle mansioni i lavoratori e alla sussistenza d’un picco di produzione
eziologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività aziendale in
ragione dell’incremento delle domande di finanziamento per
l’autoimpiego e l’imprenditorialità giovanile.
Vanno in questa sede ribadite le considerazioni, qui interamente
condivise, svolte in Cass. 18046/14 su questioni analogamente
prospettate.

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Campania in liquidazione, affidandosi a due motivi.

E’ stato evidenziato che, se pure la somministrazione di lavoro trova nel
D.Lgs n. 276 del 2003, artt. 20 e ss. – e non nel D.Lgs. n. 368 del 2001 la propria specifica disciplina, anche a voler supporre l’astratta validità
della causale indicata nel contratto di somministrazione, comunque essa
non è stata provata, e che, in ogni caso, la mera astratta legittimità della

legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo anche
sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la
concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti
(cfr. Cass. 9.9.13 n. 20598).
Quanto alla contestazione della necessità dell’ esigenza di specificità
che giustifica il ricorso allo specifico strumento contrattuale,
sostenendone la ricorrente la rilevanza solo con riguardo al contratto a
termine “diretto”, è sufficiente osservare che la straordinarietà o
eccezionalità dell’esigenza rispetto alla ordinaria attività dell’utilizzatore
è cosa diversa dalla permanente necessità del carattere temporaneo
dell’esigenza produttiva, che è richiesta anche per tale tipologia
contrattuale.
Non osta a tale ricostruzione – come sottolineato da Cass. I. 8. 2014 n.
17540, seppure a diversi fini – la sentenza della CGUE 11.4.13, Della
Rocca, emessa in sede di rinvio pregiudiziale, che ha escluso che la
direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP
sul lavoro a tempo determinato si applichi anche al contratto a tempo
determinato che si accompagni ad un contratto interinale. Ed invero, tale
inapplicabilità deriva solo dal tenore del preambolo dell’accordo quadro
e dall’esistenza di altra più specifica regolamentazione (la direttiva
2008/104) per il contratto a termine che si accompagni ad un contratto
interinale o di somministrazione e non già da una ritenuta sua
incompatibilità ontologica, a tutti gli effetti, con un puro e semplice
contratto a tempo determinato (cfr, in tali termini Cass. 17540/2014 cit.).
Nella specie, come già precisato, la Corte ha rilevato che la causale,
con specifico riguardo alla prestazione resa presso l’utilizzatrice, non
conteneva alcun riferimento all’effettivo contenuto dell’incremento di
Ric. 2014 n. 25891 sez. ML – ud. 11-02-2016
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causale indicata nel contratto di somministrazione non basta a rendere

attività a partire dal 2004, per effetto della ripresa dei finanziamenti e
delle erogazioni di fondi pubblici, con riguardo in particolare alla
incidenza di tale incremento rispetto ai singoli contratti dei lavoratori
stipulati per vari e differenti periodi di tempo a cavallo tra la metà del
2004 ed il 2008, con conseguente ritenuta irrilevanza ed inammissibilità

La mancanza di idonea specificazione delle esigenze impedisce, in
conclusione, al lavoratore prima ed al giudice poi, di verificare la
riferibilità della causale alle ragioni previste dalla legge come legittimanti
il ricorso alla somministrazione di lavoro temporaneo e le
argomentazioni sui punto risultano congrue ed immuni da vizi di
carattere logico-giuridico.
Sostiene, poi, la società ricorrente che tale rispondenza sarebbe invece
emersa dalla mancata contestazione, da parte dei lavoratori, delle
risultanze documentali in base alle quali doveva considerarsi provata, in
riferimento alle mansioni dei lavoratori, la sussistenza d’un picco di
produzione etiologicamente derivante dall’intensificazione dell’attività
aziendale in ragione dell’incremento delle domande di finanziamento per
l’autoimpiego e l’imprenditorialità giovanile. Va, tuttavia, osservato — in
conformità a quanto affermato da Cass. 18046/2014 cit. – che la
doglianza muove da un’errata ricostruzione del principio di non
contestazione che governa il rito speciale e ora, dopo la novella dell’art.
115 c.p.c. ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 45, anche quello
ordinario. Invero, fin dal proprio ricorso introduttivo di lite i lavoratori
avevano già negato che nel proprio caso vi fossero in concreto ragioni
che avrebbero giustificato il ricorso alla somministrazione di lavoro, di
guisa che non dovevano formulare altra specifica contestazione a fronte
delle contrarie allegazioni della società convenuta.
In altre parole, la contestazione da parte del convenuto dei fatti già
affermati o già negati dall’attore nell’atto introduttivo del giudizio non
ribalta sull’attore medesimo l’onere di “contestare la altrui

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della prova testimoniale addotta su tali generiche circostanze.

contestazione”, dal momento che egli ha già esposto la propria
posizione a riguardo. E’ stato osservato che l’onere di contestazione
concerne solo le allegazioni in punto di fatto dell’avversario e non i
documenti da lui prodotti (che è cosa processualmente diversa), rispetto
ai quali esiste solo l’onere di eventuale disconoscimento nei casi e nei

di falso ex art. 221 c.p.c., mentre la loro significatività o valenza
probatoria può essere oggetto di discussione fra le parti in ogni
momento, così come può essere autonomamente valutata dal giudice
(cfr., in tali termini, Cass. 18046/14 cit.).
Da ultimo, non gioverebbe a parte ricorrente neppure intendere il tenore
della doglianza di cui al secondo motivo come sostanziale denuncia di
travisamento delle risultanze processuali e/o di vizio di motivazione,
trattandosi di censure non riconducibili a nessuna di quelle consentite
dal vigente art. 360 c.p.c. nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n.
83, art.54, convertito in L. 7 agosto 2012, n.134. Oggi la nuova
formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (applicabile, ai sensi del
cit. art. 54, comma 3, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno
successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del
decreto, cioè alle sentenze pubblicate dal 12.9.12 e, quindi, anche alla
sentenza della cui impugnazione si discute) rende denunciabile per
cassazione il vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, nei termini in cui
ciò è stato meglio chiarito nella sentenza di questa Corte a s. u. 7 aprile
2014 n. 8053.
Nella vicenda processuale in oggetto è innegabile che il fatto allegato
come ragione giustificativa del ricorso alla somministrazione di lavoro in
relazione alle mansioni assegnate ai lavoratori è stato specificamente
esaminato dalla Corte territoriale, le cui conclusioni restano insindacabili
in sede di legittimità.

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sensi di cui all’art. 214 c.p.c. o quello di proporre – se del caso – querela

Per quanto argomentato, si propone il rigetto del ricorso, ai sensi
dell’ari. 375, n. 5 c.p.c”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio. La società ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.

Il Collegio ritiene di condividere integralmente il contenuto e le
conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del
ricorso, osservando che le singole causali sono state specificamente
esaminate dalla Corte di appello (v. pagg. 15 e 16 della sentenza
impugnata), che ha ritenuto generiche anche le allegazioni in sede
giudiziale relative al dedotto incremento di attività rispetto ai singoli
contratti dei lavoratori, con incidenza sulla stessa ammissibilità e
rilevanza della prova testimoniale articolata. Deve pertanto ritenersi
erroneo il rilievo di motivazione apparentemente fornita e di ingiustificata
mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della società al pagamento,
nei confronti dei lavoratori costituiti, delle spese del presente giudizio di
legittimità, liquidate come da dispositivo. Nulla va statuito nei confronti
delle parti rimaste intimate.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1
quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce
un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è
collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto
oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetta integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione,
muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un
parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario

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ud. 11-02-2016

380 bis c.p.c.

o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua
disposizione (così Cass. Sez. Un. n. 22035/2014).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle
spese del presente giudizio nei confronti dei controricorrenti, liquidate in

accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese generali in
misura del 15%. Nulla nei confronti delle parti rimaste intimate.
Ai sensi dell’art. 13, CO. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 11.2.2016

euro 100,00 per esborsi, euro 8000,00 per compensi professionali, oltre

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