Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6604 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2022, (ud. 15/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6604

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTI Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al 15569/2018 proposto da:

COLORI NUTINI srl, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Lai, elettivamente

domiciliata presso il suo studio in Firenze, via Amendola n. 20;

– ricorrente –

contro

ASCIT – Servizi Ambientali spa, in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Baldacci, con

domicilio eletto in Roma, piazza dell’Emporio, n. 16/A, presso lo

studio del medesimo;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 2632/07/2017 depositata il 20 dicembre 2017.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 febbraio 2022

dal Consigliere Dott. Mele Maria Elena;

Lette le conclusioni scritte depositata dal Pubblico Ministero, in

persona del Sostituto Procuratore generale Salzano Francesco, che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Colori Nutini srl, società di produzione, confezionamento e imballaggio di vernici e solventi con sede nel Comune di Capannori, impugnava gli avvisi di accertamento emessi da ASCIT – Servizi ambientali spa relativi a TIA per gli anni d’imposta dal 2006 al 2009, sostenendo che l’imposta era dovuta unicamente per le superfici destinate ad uffici e servizi, non invece per la maggior superficie destinata al ciclo delle lavorazioni industriali ove si producono rifiuti speciali non assimilabili perché in quantità superiore a quella fissata dal regolamento comunale. Deduceva, altresì, l’illegittimità della pretesa IVA sugli atti di accertamento.

La Commissione tributaria provinciale di Lucca accoglieva il ricorso limitatamente alla censura concernente l’applicazione dell’IVA, respingendolo per il resto in quanto la contribuente non aveva provato che i rifiuti prodotti fossero non assimilabili.

La Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dalla contribuente sulla considerazione che il regolamento del Comune di Capannori aveva disposto l’assimilazione dei rifiuti indipendentemente dalla quantità e che, in ogni caso, la contribuente non aveva dimostrato la produzione dei rifiuti speciali non assimilabili né aveva presentato tempestiva domanda di riduzione della tariffa. Accoglieva invece l’appello incidentale interposto da ASCIT, affermando dovuta l’IVA.

La Colori Nutini ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza affidato a due motivi.

ASCIT ha resistito con controricorso assistito da memoria.

Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si denuncia l’error in judicando, violazione dell’art. 112 c.p.c., violazione dell’art. 2909 c.c., D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21 e art. 49, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 17 del Regolamento comunale di cui alla Delib. 13 aprile 2004, n. 27.

La ricorrente sostiene che erroneamente la CTR avrebbe ritenuto che il Comune di Capannori aveva disposto l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani a prescindere dalla quantità e come nulla in proposito avesse dedotto nell’atto di appello la contribuente, sicché sul punto doveva ritenersi formato il giudicato. In realtà, la Colori Nutini aveva specificamente affermato che il regolamento comunale escludeva l’assimilabilità dei rifiuti se prodotti in quantità eccedente rispetto ai limiti indicati nella Delib. n. 27 del 2004, art. 17. Pertanto, la sentenza impugnata violerebbe la richiamata disposizione.

Inoltre, i giudici d’appello avrebbero violato l’art. 2697 c.c. travisando il contenuto dei modelli MUD prodotti dalla contribuente dai quali emergeva la prova della tipologia e della quantità di rifiuti prodotti.

La CTR avrebbe altresì erroneamente applicato la normativa in materia di rifiuti, confondendo i concetti di esenzione delle superfici imponibili e di riduzione della quota variabile prevista in caso di avvio al recupero dei rifiuti. La domanda di Colori Nutini era infatti rivolta ad ottenere l’esenzione da TIA di quelle superfici ove si producono rifiuti speciali non assimilati (e non già una riduzione della taiffa), avendo documentato la produzione di tali rifiuti.

Con il secondo motivo si censura la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, della L. n. 133 del 1999 e del D.M. 24 ottobre 2000, n. 370, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto la TIA assoggettabile ad IVA.

Il primo motivo è fondato nei termini di seguito precisati.

Gli avvisi di accertamento impugnati hanno ad oggetto la tariffa d’igiene ambientale (TIA) la quale (come affermato da Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 2009) costituisce una mera variante della TARSU di cui conserva anche la relativa qualifica di tributo (ex plurimis Cass., sez. 5, n. 5360 del 27/02/2020; Rv. 657343-01; n. 10787 del 25/05/2016, Rv. 639990-01).

Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (cd. Decreto Ronchi) pone la regola della assoggettabilità all’imposta di tutti i locali esistenti nel territorio comunale in quanto potenzialmente produttivi di rifiuti. Il comma 3 della citata disposizione, infatti, stabilisce che “la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale”.

La tariffa è suddivisa in una quota fissa, concernente le componenti essenziali del servizio (riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti), e in una quota variabile in rapporto alle quantità di rifiuti conferiti al servizio e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio (comma 4).

L’art. 49, comma 14, dispone che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi”.

Da tali dati emerge il carattere “universale” della TIA: ad essa sono soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore (Cass., sez. 5, n. 5360 del 2020 cit.), salva la riduzione della quota variabile della tariffa in relazione ai rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, smaltiti in proprio dal contribuente.

Quanto ai rifiuti speciali non assimilati, trova applicazione il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, dettato in tema di TARSU e applicabile anche alla TIA (Cass., sez. 5, n. 9859 del 2016) il quale dispone che “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali”. Ne consegue che le superfici interessate da attività che producono rifiuti speciali non assimilati sono escluse dal computo della complessiva superficie tassabile.

Peraltro, come chiarito da questa Corte, “grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista per le aree produttive di rifiuti speciali non assimilati, poiché questa regola, già vigente con riferimento alla tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, di cui la TIA rappresenta una mera variante successiva, risulta specificamente desumibile per tale tributo dal regime delineato dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, il quale, dopo aver stabilito, al comma 3, una applicazione generalizzata della tariffa, fa salvo, al comma 14, il riconoscimento di un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” (Cass., sez. 5, 3756 del 09/03/2012, Rv. 621909 – 01; n. 10787 del 25/05/2016, Rv. 639990 – 01).

Il contribuente ha, dunque, l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione che dimostri il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta attività alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997.

In definitiva, mentre la dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo e corretto avviamento al recupero dei rifiuti urbani assimilati determina il diritto ad una riduzione tariffaria quantificata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati) comporta la riduzione della superficie tassabile, prevista dal citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3.

Venendo al caso in esame, il Comune di Capannori, con Delib. 20 aprile 2004, n. 27, art. 16 ha disciplinato i criteri qualitativi per l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, mentre all’art. 17 ha stabilito i criteri quantitativi.

Tuttavia, come risulta dalla sentenza impugnata e come dedotto dalla controricorrente, con la coeva Delib. n. 28 del 2004 il Comune ha disposto l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi indipendentemente dalle quantità prodotte.

Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa Corte la norma regolamentare che prevede l’assimilazione dei rifiuti prescindendo dalla quantità prodotta si pone in contrasto con la sovraordinata norma di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), che ha attribuito all’ente locale la possibilità di assimilare ai rifiuti urbani i rifiuti speciali non pericolosi, mediante approvazione del Regolamento Comunale nel rispetto di principi di qualità e quantità.

L’utilizzo del criterio combinato della qualità e quantità, oltre ad essere espressamente previsto dalla citata disposizione, corrisponde alla ratio legis “da individuarsi sia nella necessità di escludere ogni ipotesi di danno ambientale correlato alla raccolta e allo smaltimento del rifiuto assimilato, sia in quella di assicurare una gestione dei rifiuti urbani da parte dei Comuni ispirata a principi di efficienza, efficacia ed economicità; è evidente che tali finalità possono essere garantite solo predeterminando, almeno astrattamente, la quanti di rifiuto assimilabile conferibile, non essendo ipotizzabile un servizio pubblico di smaltimento di potenzialità illimitata rispetto ad un rifiuto per definizione non uguale a quello urbano, seppure ad esso assimilabile perché non pericoloso” (Cass., sez. 5, n. 11407 del 2019; sez. 5, n. 11305 del 2019 cit.).

Nell’ipotesi in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta per violazione del criterio qualitativo, o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, la delibera comunale risulta illegittima per contrasto con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g) e deve essere disapplicata.

Infatti, potere di disapplicazione trova fondamento normativo nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 il quale prevede che le Commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente, purché ovviamente investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente (Cass., sez. 5, n. 11408 del 30/04/2019; S.U. n. 6265 del 2006; Cass. n. 5721 del 2007). Tale potere-dovere di disapplicazione degli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se, ed in quanto legittimi (Cass., sez. 5, n. 11305 del 2019 cit.).

Disapplicata la delibera, e dunque venuta meno l’assimilazione, dovrà trovare applicazione la pregressa disciplina prevista, in tema di rifiuti speciali, dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 che esclude da tassazione le superfici in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati (Cass., sez. 5, n. 11305 del 2019 cit. Si vedano, altresì, n. 9610 del 2019; n. 1975/2018, Rv. 646900-01; n. 17488 del 2017; n. 22223 del 2016; n. 18018 del 2013; n. 9631 del 2012; n. 30719 del 2011). Graverà peraltro sul contribuente allegare e provare la sussistenza dei presupposti dell’esenzione.

Nella specie, la CTR, in violazione delle richiamate disposizioni, ha applicato la Delib. n. 28 del 2004, ritenendo che i rifiuti prodotti dalla contribuente fossero assimilati a quelli urbani a prescindere dalla loro quantità, senza tuttavia accertare in concreto se il Comune avesse correttamente esercitato il potere di assimilazione. L’esito negativo di tale accertamento, conseguente alla assimilazione disposta con la Delib. n. 28 del 2004 a prescindere dalla quantità dei rifiuti, avrebbe dovuto condurre la CTR a disapplicare tale delibera e a verificare la sussistenza dei presupposti della esenzione invocata dalla contribuente, su cui grava l’onere di dimostrare l’esistenza di aree su cui sono prodotti rifiuti speciali non assimilabili a quelli urbani.

Il secondo motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto che, costituendo il servizio di smaltimento rifiuti una prestazione, il corrispettivo per il suo svolgimento sia soggetto ad IVA.

Questa Corte con innumerevoli pronunce (ex plurimis Cass., Sez. un., n. 5078 del 15/03/2016, Rv. 639013 – 01; Sez. 6-5, n. 4723 del 10/03/2015, Rv. 635064 – 01; Sez. 5, n. 11406 del 30/04/2019) ha chiarito, sulla base di quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 238 del 2009, che la tariffa di igiene ambientale di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997 (cd. TIA 1), ha natura tributaria e, quindi, non è soggetta ad IVA. Questa, infatti, come qualsiasi altra, deve colpire una qualche capacità contributiva la quale si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo e non, invece, quando paga un’imposta, sia pure “mirata” o “di scopo” cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso.

Nella specie è fuori dubbio che gli avvisi di accertamento impugnati si riferivano, sia per gli anni d’imposta considerati, sia per la normativa di riferimento (D.Lgs. n. 22 del 1997) alla TIA 1 la quale non e soggetta ad IVA.

Per le suesposte considerazioni, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata alla CTR della Toscana, in diversa composizione, che provvederà alla luce dei principi enunciati, nonché sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Toscana in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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