Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6603 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 28/02/2022, (ud. 15/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6603

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al 27263/2020 proposto da:

ASCIT – Servizi Ambientali spa, in persona del legale rappresentante

p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Gianluca Baldacci, con

domicilio eletto in Roma, piazza dell’Emporio, n. 16/A, presso lo

studio del medesimo;

– ricorrente –

contro

ETRURIA STAR PRODUCTS di B.G.P., rappresentato e

difeso dall’Avv. Michele Lai, elettivamente domiciliata presso il

suo studio sito in Firenze, Via Pacini n. 23;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana n. 35/2020 depositata il 13 dicembre 2020.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 febbraio 2022

dal Consigliere Dott. Mele Maria Elena;

Lette le conclusioni scritte depositata dal Pubblico Ministero, in

persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Salzano Francesco,

che ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Etruria Star products di B. Gianpaolo, la quale svolge attività artigianale di lavorazione del legno, con tre distinti ricorsi impugnava avanti alla Commissione tributaria provinciale di Lucca altrettanti avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti da ASCIT Servizi ambientali per TIA relativa agli anni 2010, 2011 e 2012, chiedendo di escludere da tassazione le superfici ove erano prodotti rifiuti speciali dalla stessa smaltiti in autonomia.

La CTP, con separate pronunce, accoglieva i ricorsi relativi agli anni 2010 e 2011, mentre accoglievo quello relativo al 2012 limitatamente all’IVA che affermava non dovuta sulla TIA.

Sia ASCIT che la Etruria interponevano appello avanti alla Commissione tributaria regionale della Toscana la quale, riuniti i giudizi, rigettava il gravame di ASCIT e accoglieva quello proposto dalla contribuente.

2. Avverso tale decisione, ASCIT ha proposto ricorso per cassazione

affidato a due motivi e assistito da memoria.

La Etruria Star ha resistito con controricorso.

Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento all’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in quanto la CTR avrebbe riconosciuto alla contribuente l’esenzione totale da imposizione senza che la motivazione consenta di comprendere le ragioni di tale decisione, né quelle della inapplicabilità delle sanzioni irrogate a fronte del ritardo con cui la contribuente aveva presentato la dichiarazione di variazione.

2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 21 e 49 e degli artt. 5 e 23 del Regolamento TIA del Comune di Capannori, approvato con Delib. Consiglio comunale 13 aprile 2004, n. 26, nonché degli artt. 2697 e 2712 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 Si deduce, altresì, la violazione e falsa applicazione degli artt. 28 e 38 del Regolamento TIA vigente, nonché del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 63,70 e 76, in relazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Secondo la ricorrente, la CTR avrebbe erroneamente escluso da tassazione le aree destinate a magazzino, nonché le aree destinate ad attività artigianali e le aree produttive in mancanza di prova, da parte della contribuente, dei presupposti dell’esenzione, non potendosi a tal fine ritenere sufficienti i modelli MUD da essa prodotti in giudizio.

In secondo luogo, illegittimamente avrebbe annullato le sanzioni irrogate con gli avvisi di accertamento impugnati per il ritardo nella denuncia di variazione delle superficie detenute. Infatti, con denuncia di variazione presentata il 9 febbraio 2012 la contribuente avrebbe dichiarato di detenere, dal 1 gennaio 2006, superfici in misura superiore a quella di cui alla denuncia originaria. Sicché, per tale omessa dichiarazione spettavano le sanzioni previste dal regolamento comunale in conformità con il D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 70 e 76.

Secondo la ricorrente, inoltre, non ricorrevano i presupposti per l’esclusione dall’imposta in quanto i rifiuti prodotti dalla contribuente erano rifiuti assimilati agli urbani per qualità, rientrando tra quelli di cui alla Delib. comitato interministeriale 27 luglio 1984, art. 1, punto 1.1.1, lett. a). Non rilevava neppure la quantità di rifiuti prodotti, in quanto il Comune, con Delib. n. 28 del 2004, aveva disposto l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a prescindere dalle quantità. In ogni caso la contribuente non aveva dimostrato che la quantità prodotta in concreto fosse superiore a quella che consentirebbe l’esclusione, né la sentenza impugnata considera in alcun modo.

In ogni caso, secondo la ricorrente, la natura di rifiuti speciali non escluderebbe la debenza della parte variabile della TIA, ma soltanto l’esenzione dei locali ove sono prodotti tali rifiuti non assimilati, a patto che sia data la dimostrazione delle dimensioni di quelle aree, D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 62, comma 3.

Secondo ASCIT, non spettava neppure la riduzione della parte variabile della tariffa, non avendo la contribuente assolto all’onere probatorio su di essa gravante, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 14, non avendo prodotto entro il 30 aprile dell’anno successivo a quello in cui si intende beneficiare della riduzione una autocertificazione, il modello MUD e comunque i dati che consentono di calcolare la percentuale di rifiuti avviati al recupero rispetto alla quantità totale di rifiuti assimilati.

3. Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione, formulata dalla controricorrente, con cui si deduce l’inammissibilità del ricorso con riguardo alla sentenza impugnata nella parte avente ad oggetto le annualità 2010 e 2011, essendovi una doppia pronuncia conforme della CTP e della CTR.

L’art. 348 ter c.p.c., u.c., – applicabile al procedimento per essere stato il giudizio d’appello introdotto dopo l’11.9.2012 – stabilisce che le sentenze di secondo grado che confermano la decisione di primo grado (c.d. “doppia conforme “) non sono ricorribili per cassazione soltanto per omesso esame di fatti storici (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e presuppone che nei due gradi di merito le “questioni di fatto” siano state decise in base alle “stesse ragioni” (Cass., sez. 2, n. 29222 del 12/11/2019; sez. 5, n. 30902 del 2019).

Nel caso in esame, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 deducendo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, essendo la motivazione perplessa e incomprensibile, e ravvisando un contrasto tra affermazioni inconciliabili, di tal che non opera la previsione evocata dalla contribuente.

4. Il primo motivo di ricorso è infondato.

L’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (Sez. 6 – 3, n. 22598 del 2018, Rv. 650880-01; Sez. un., n. 8053 del 2014, Rv. 629830-01).

Del pari detto vizio sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Sez. L, n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925 – 02).

La sentenza impugnata non risulta né perplessa, né contraddittoria avendo la CTR dato conto delle ragioni che l’hanno condotta alla decisione adottata. Essa ha infatti affermato che nella specie doveva applicarsi il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, venendo in rilievo la tassazione di superfici ove si producono rifiuti speciali non assimilati e dovendo desumersi tali elementi dal MUD prodotto dalla contribuente.

5. Il secondo motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.

5.1 Gli avvisi di accertamento impugnati hanno ad oggetto la tariffa d’igiene ambientale (TIA) la quale (come affermato da Corte costituzionale con sentenza n. 238 del 2009) costituisce una mera variante della TARSU di cui conserva anche la relativa qualifica di tributo (ex plurimis Cass., sez. 5, n. 5360 del 27/02/2020; Rv. 657343-01; n. 10787 del 25/05/2016, Rv. 639990-01).

Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 (cd. Decreto Ronchi) pone la regola della assoggettabilità all’imposta di tutti i locali esistenti nel territorio comunale in quanto potenzialmente produttivi di rifiuti. Il comma 3 della citata disposizione, infatti, stabilisce che “la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale”.

La tariffa è suddivisa in una quota fissa, concernente le componenti essenziali del servizio (riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti), e in una quota variabile in rapporto alle quantità di rifiuti conferiti al servizio e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio (comma 4).

L’art. 49, comma 14 dispone che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi”.

Da tali dati emerge il carattere “universale” della TIA: ad essa sono soggetti tutti i locali siti nel territorio dell’ente comunale impositore (Cass., sez. 5, n. 5360 del 2020 cit.), salva la riduzione della quota variabile della tariffa in relazione ai rifiuti speciali assimilati a quelli urbani, smaltiti in proprio dal contribuente.

Quanto ai rifiuti speciali non assimilati, trova applicazione il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, dettato in tema di TARSU e applicabile anche alla TIA (Cass., sez. 5, n. 9859 del 2016) il quale dispone che “nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali”. Ne consegue che le superfici interessate da attività che producono rifiuti speciali non assimilati sono escluse dal computo della complessiva superficie tassabile.

Peraltro, come chiarito da questa Corte, “grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione prevista per le aree produttive di rifiuti speciali non assimilati, poiché questa regola, già vigente con riferimento alla tassa per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, di cui la TIA rappresenta una mera variante successiva, risulta specificamente desumibile per tale tributo dal regime delineato dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, il quale, dopo aver stabilito, al comma 3, una applicazione generalizzata della tariffa, fa salvo, al comma 14, il riconoscimento di un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” (Cass., sez. 5, 3756 del 09/03/2012, Rv. 621909 – 01; n. 10787 del 25/05/2016, Rv. 639990 – 01).

Il contribuente ha, dunque, l’onere di dimostrare l’effettivo e corretto avviamento al recupero attraverso valida documentazione che dimostri il conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati a detta atttività in base alle norme del D.Lgs. n. 22 del 1997.

In definitiva, mentre la dimostrazione da parte del contribuente dell’effettivo e corretto avviamento al recupero dei rifiuti urbani assimilati determina il diritto ad una riduzione tariffaria quantificata in concreto – a consuntivo – in base a criteri di proporzionalità rispetto alla quantità effettivamente avviata al recupero, la produzione di rifiuti speciali (non assimilabili o non assimilati) comporta la riduzione della superficie tassabile, prevista dal citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3.

5.2. Nella specie, con riguardo alle annualità di imposta 2010 e 2011, il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi ora enunciati.

La sentenza impugnata, infatti, ha affermato che, in applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, devono essere escluse dall’imposta le aree sulle quali la contribuente produce rifiuti speciali non assimilati, smaltiti in proprio mediante il ricorso a soggetti abilitati, ed ha ritenuto che la contribuente avesse fornito la prova della produzione di tali rifiuti mediante la produzione in giudizio del MUD (Modello unico di dichiarazione ambientale) nel quale è indicato il codice rifiuto, la quantità del medesimo e il soggetto che provvede allo smaltimento.

Così argomentando la CTR ha fatto corretta applicazione non solo della disciplina in tema di TIA, ma altresì delle regole di riparto dell’onere probatorio. Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la violazione dell’art. 2697 c.c. ricorre unicamente laddove il giudice di merito inverta la ripartizione degli oneri probatori, gravando una parte della prova di un fatto il cui onere probatorio gravava in realtà su una parte diversa (Sez. 3, n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01; Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01) e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 2020/14980; 3005 del 2021).

La censura è infondata anche con riguardo all’annualità 2012, in relazione alla quale la CTR ha accolto l’appello proposto dalla contribuente avverso la sentenza del giudice di prime cure.

Al riguardo occorre innanzitutto richiamare l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale l’assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani che prescinda dalla quantità dei rifiuti prodotti si pone in contrasto con il disposto di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, dal momento che l’impatto igienico e ambientale di un materiale di scarto non può essere valutato a prescindere dalla sua quantità. Si e’, pertanto, precisato che nel caso in cui la potestà di assimilazione sia stata correttamente esercitata dal Comune, il contribuente non potrà mai beneficiare di una esenzione totale dal tributo, sebbene l’intera superficie imponibile sia produttiva di rifiuti assimilati e si avvalga per l’intero dello smaltimento; in tal caso, infatti, avrà solo diritto ad una riduzione della tariffa, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 14 e del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2.

Nell’ipotesi in cui l’assimilazione non sia stata legittimamente disposta per violazione del criterio qualitativo, o anche per l’omessa previsione dell’ulteriore criterio quantitativo, la delibera comunale risulta illegittima per contrasto con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g) e deve essere disapplicata.

Infatti, potere di disapplicazione trova fondamento normativo nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7 il quale prevede che le Commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente, purché ovviamente investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente (Cass., sez. 5, n. 11408 del 30/04/2019; S.U. n. 6265 del 2006; Cass. n. 5721 del 2007). Tale potere-dovere di disapplicazione degli atti amministrativi costituenti il presupposto dell’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E, dettato dall’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione in giudizio di tali atti solo se, ed in quanto legittimi (Cass., sez. 5, n. 11305 del 2019 cit.).

Disapplicata la delibera, e dunque venuta meno l’assimilazione, dovrà trovare applicazione la pregressa disciplina prevista, in tema di rifiuti speciali, dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 che esclude da tassazione le superfici in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati (Cass., sez. 5, n. 11305 del 2019 cit. Si vedano, altresì, n. 9610 del 2019; n. 1975/2018, Rv. 646900-01; n. 17488 del 2017; n. 22223 del 2016; n. 18018 del 2013; n. 9631 del 2012; n. 30719 del 2011). Graverà peraltro sul contribuente allegare e provare la sussistenza dei presupposti dell’esenzione.

5.3. Nella specie, la CTR, facendo corretta applicazione dei suddetti principi, ha disapplicato la Delib. comunale 13 aprile 2004, n. 28, con cui era stata prevista l’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani in quanto effettuata in mancanza di specifica indicazione delle caratteristiche quantitative dei rifiuti ed ha ritenuto applicabile il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3. Ha quindi affermato che il MUD prodotto dalla contribuente, in quanto corredato della documentazione normativamente prevista, costituiva prova idonea delle dimensioni delle aree destinate alla produzione di rifiuti speciali smaltiti in proprio e quindi non assoggettabili a tariffa. Sicché, sotto tale profilo, la decisione impugnata si sottrae alle critiche mosse dalla ricorrente.

5.4. Diversa conclusione vale con riguardo al profilo di censura concernente le sanzioni irrogate con gli avvisi impugnati.

In tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, vi è l’obbligo del contribuente di denunziare tempestivamente e fedelmente i dati richiesti dalla legge, senza necessità di ripetere la denunzia annualmente, salvo che si verifichino variazioni. Dispone infatti il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70, comma 2 che “la denuncia ha effetto anche per gli anni successivi, qualora le condizioni di tassabilità siano rimaste invariate. In caso contrario l’utente è tenuto a denunciare, nelle medesime forme, ogni variazione relativa ai locali ed aree, alla loro superficie e destinazione che comporti un maggior ammontare della tassa o comunque influisca sull’applicazione e riscossione del tributo in relazione ai dati da indicare nella denuncia”.

L’art. 76 dello stesso decreto stabilisce che “Per l’omessa presentazione della denuncia, anche di variazione, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della tassa o della maggiore tassa dovuta con un minimo di lire centomila. 2. Se la denuncia è infedele si applica la sanzione dal cinquanta al cento per cento della maggiore tassa dovuta”.

In proposito questa Corte ha avuto modo di precisare che ad ogni anno solare corrisponde un’autonoma obbligazione tributaria (art. 64, comma 1); che quindi, se la denunzia fu incompleta o infedele ovvero si verificò, ad un dato momento, una variazione, l’obbligo di formulare una denunzia corretta e completa o di denunziare l’intervenuta variazione si rinnova di anno in anno “con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dall’art. 76 del cit. decreto, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo. D’altro canto, la protratta inottemperanza all’obbligo di presentare la denuncia non provoca la decadenza, per decorso del tempo, del potere del Comune di accertare le superfici non dichiarate che continuino ad essere occupate o detenute, ovvero gli altri elementi costituenti il presupposto della tassa” (Cass., sez. 5, n. 25063 del 08/10/2019, Rv. 655406 – 01; sez. 6 – 5, n. 13486 del 18/05/2019, Rv. 654140 – 01; sez. 5, n. 18122 del 07/08/2009, Rv. 609332 – 01).

Le richiamate disposizioni, benché dettate in relazione alla TARSU, trovano applicazione anche nei confronti della TIA, la quale – come già detto – si pone in rapporto di sostanziale continuità, per natura e caratteri distintivi (v. Cass. 4602 del 2018).

Nella specie risulta dalla stessa sentenza impugnata che la variazione presentata dalla contribuente il 9 febbraio 2012 e nella quale si indicavano superfici maggiori rispetto a quelle originarie, si riferiva ad una modifica risalente all’anno 2006, sicché non vi è dubbio che, avendo la contribuente omesso di presentarla, ricorrevano i presupposti per applicazione della sanzione prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76.

Per le considerazioni esposte, il secondo motivo di ricorso deve essere accolto nei limiti sopra precisati e la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente a tale parte. Non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dei ricorsi originari della contribuente limitatamente alle censure relative alle sanzioni.

Attesa la soccombenza reciproca, deve essere disposta la compensazione delle spese dell’intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo.

Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito rigetta i ricorsi originari della contribuente limitatamente alle sanzioni.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

 

 

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