Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6602 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 09/12/2021, dep. 28/02/2022), n.6602

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – rel. est. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14294/2016 R.G. proposto da:

B.D., rappresentato e difeso dall’avv. Giuseppe

Iannaccone e dall’avv. Ulisse Corea, con domicilio eletto in Roma,

Via Monte Parioli, 48;

– ricorrente –

contro

SOCIETA’ ITALIANA PER CONDOTTE D’ACQUA S.P.A. e FERROCEMENTO S.R.L.

IN LIQUIDAZIONE, entrambe in persona dei rispettivi rappresentanti

legali p.t., rappresentate e difese dagli avv.ti Rosario Salonia e

Fabio Massimo Cozzolino, con domicilio eletto lege in Roma, Largo L.

Fregoli n. 8;

– controricorrenti – ricorrenti in via incidentale –

e

C.F.;

– intimato –

avverso la sentenza del tribunale di Milano n. 2689/2015, pubblicata

in data 27.2.2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9.12.2021 dal

Consigliere Fortunato Giuseppe.

Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale MISTRI Corrado, che ha chiesto di

respingere il ricorso principale e di accogliere quello incidentale.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con citazione notificata in data 27.9.2010 l’avv. B.D. ha evocato in giudizio C.F., dirigente della Gambogi s.p.a. (società incorporata nella Ferrocemento s.r.l.) dinanzi al tribunale di Milano, chiedendone la condanna al pagamento di Euro 616.686,74 a titolo di compensi professionali, per aver difeso il convenuto in un processo penale per reati di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata all’acquisizione di appalti privati, al compimento di atti di concorrenza violenta e turbativa degli incanti. Ha dedotto che l’attività difensiva si era svolta nell’arco di circa un decennio e che, mentre in primo grado il C. era stato condannato a 5 anni di reclusione, in appello era stato assolto con pronuncia confermata in cassazione il 29.4.2008.

Si è costituito C.F. e ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, chiedendo la chiamata in causa della Ferrocemento s.r.l. e della Società italiana Condotte d’Acqua s.p.a. (cui la Ferrocemento s.r.l. aveva ceduto il ramo di azienda originariamente in titolarità della Gambogi s.p.a.) per essere manlevato.

Si sono costituite le società, proponendo eccezione di litispendenza rispetto all’identica causa proposta nei loro confronti dall’avv. B. dinanzi al tribunale di Roma, instando – in subordine – per la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., o per la riunione alla controversia proposta dal B. nei confronti del C., rubricata con il n. 68631/2010.

Esaurita la trattazione, il tribunale ha accolto la domanda, condannando C.F. al pagamento di Euro 30.000,00, con obbligo della Ferrocemento s.r.l. e della Società italiana per le Condotte d’Acqua s.p.a. di manlevare il convenuto.

La sentenza ha disatteso l’eccezione di litispendenza tra il presente giudizio e la controversia pendente dinanzi al tribunale di Roma, instaurata dal co-difensore A.F. nei confronti della Società italiana per Condotte d’Acqua s.p.a. (r.g. 64200/2009), cui era stato riunito altro giudizio proposto dal B. sempre verso quest’ultima società (r.g. 6420/2009), ritenendo sussistente un’identità soggettiva solo parziale, pur in presenza di una parziale analogia delle questioni. Ha – per le medesime ragioni – negato l’esistenza di un rapporto di continenza tra le suddette controversie, reputando infondata l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle società chiamate in causa.

Dopo la ricognizione di tutta l’attività difensiva svolta dal B., come risultante dall’esame della documentazione digitale prodotta dal ricorrente, il tribunale ha liquidato l’importo di Euro 30.000,00 in applicazione delle tariffe professionali in vigore al momento delle singole prestazioni, respingendo la richiesta di quadruplicare il compenso sulla scorta della ritenuta insussistenza di una particolare complessità della vicenda o di un impegno particolarmente gravoso profuso dal difensore.

Ha – infine – condannato la Ferrocemento s.r.l. e la Società italiana per Condotte d’Acqua s.p.a., succedute nei rapporti facenti capo alla Gambogi s.p.a., a tenere indenne il convenuto dagli effetti della condanna, in applicazione dell’art. 15, comma 4, del CCNL dei dirigenti.

L’appello principale proposto dal B. è stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., non avendo una ragionevole probabilità di accoglimento, mentre il gravame incidentale tardivo della Ferrocemento s.r.l. e della Società Italiana per le Condotte d’acqua s.p.a. è stato dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2.

Avverso la sentenza del tribunale l’avv. B.D. propone ricorso affidato a due motivi, cui resistono la Società Italiana per Condotte d’acqua s.p.a. e la Ferrocemento s.r.l. con controricorso e con ricorso incidentale in cinque motivi.

B.D. ha proposto controricorso in replica al ricorso incidentale e ha depositato memoria illustrativa.

C.F. non ha svolto difese.

La causa, inizialmente avviata alla trattazione camerale, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza interlocutoria del 6.5.2021.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 156,159 e 161 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c. e art. 6 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che il tribunale abbia liquidato un compenso di gran lunga inferiore a quello spettante al ricorrente alla luce della complessità e gravosità dell’impegno professionale profuso, senza dar conto delle ragioni della decisione e, in particolare, senza indicare la tariffa applicata, le norme di legge, gli importi riconosciuti per ciascuna prestazione e i criteri di calcolo, avendo inoltre – con motivazione meramente apparente – respinto la richiesta di aumento del compenso fino al quadruplo.

Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 116 c.p.c., art. 2729 c.c., art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per aver il tribunale ridotto in misura ingiustificata le competenze del difensore, ritenendo indimostrata gran parte delle attività elencate nella nota specifica, nonostante il deposito in giudizio di un numero rilevantissimo di documenti comprovanti tutta l’attività svolta, e per aver respinto la richiesta di quadruplicare gli onorari per l’asserita carenza dei requisiti di complessità dell’attività difensiva svolta, con una valutazione disancorata dalle risultanze processuali.

Secondo il ricorrente, il giudice di merito avrebbe dovuto riconoscere valenza presuntiva, ai fini della corretta quantificazione del compenso, al fatto che: a) le richieste avanzate dal difensore – fatta salva una lieve riduzione – erano state ritenute congrue dal Consiglio dell’ordine di Milano, con apprezzamento cui doveva riconoscersi valore indiziario; b) la stessa gravità dei reati contestati comprovava la particolare complessità delle questioni e lo sforzo profuso, dovendosi anche tener conto che l’attività difensiva era stata esercitata a Palermo, a notevole distanza dal luogo ove era ubicato lo studio professionale, e si era protratta per circa 10 anni; c) il processo aveva coinvolto molteplici posizioni, aveva richiesto l’assunzione di plurime testimonianze e si era concluso favorevolmente per l’assistito, giustificandosi ampiamente la quadruplicazione delle spettanze.

2. I due motivi di ricorso che, data la loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

La pronuncia ha – anzitutto – ritenuto certo il conferimento del mandato per la difesa nel procedimento penale istaurato dinanzi al tribunale di Palermo (rg. 1120/1997) e poi proseguito dinanzi alla Corte distrettuale (r.g. 509/2003), precisando che non vi era prova che l’avv. B. avesse svolto attività difensiva dinanzi alla Corte di cassazione.

Dalla corposa documentazione prodotta dal ricorrente, il giudice di merito ha poi estratto – indicandole in modo analitico – le prestazioni difensive che ha ritenuto effettivamente svolte (partecipazione a due interrogatori in carcere e ad un incidente probatorio, partecipazione all’udienza preliminare, a cinque udienze dibattimentali di primo grado e a 4 udienze dibattimentali d’appello, con redazione – per due volte – dei motivi di impugnazione, unitamente all’avv. A., e di note difensive), dilungandosi nell’elencazione del consistente numero di udienze in cui il ricorrente era risultato assente.

Ha quindi liquidato gli onorari in applicazione delle tariffe al tempo vigenti, in relazione alla data di svolgimento delle singole prestazioni, riconoscendo – per ciascuna di esse – gli importi tariffari massimi.

Risultano – pertanto – chiaramente indicati in sentenza le ragioni della decisione, gli importi liquidati con riferimento alle singole attività svolte, i criteri applicati e le somme riconosciute per ciascuna prestazione (i massimi della tariffa in vigore).

Non vi era alcuna necessità di una più analitica indicazione dei criteri di liquidazione: l’elencazione delle singole prestazioni professionali con la data del loro espletamento e con il richiamo alle tariffe al tempo vigenti (cfr. pag. 12 della sentenza, pag. 12), consentiva di risalire ai parametri e alla base di calcolo del compenso, quantificato, come detto, in misura pari al massimo tariffario (cfr., sentenza, pag. 11).

Riguardo alla spettanza delle maggiorazioni giustificate dalla gravosità dell’attività professionale, appare invece incensurabile, siccome logicamente motivato, l’apprezzamento in fatto espresso dal giudice di primo grado riguardo all’assenza di particolari aspetti di complessità o di gravosità dell’impegno profuso dal difensore.

2.1. Non sussiste, in definitiva, il denunciato vizio di motivazione: giova ricordare che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, l’obbligo imposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, deve essere coordinato con la riduzione al “minimo costituzionale” del controllo di legittimità sulla motivazione.

Pertanto, è denunciabile in cassazione solo il vizio motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Sono tuttora censurabili la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 8053/14), dovendo evidenziarsi che, per quanto detto, le ragioni della decisione appaiono chiaramente e logicamente enunciate, sia pure in modo sintetico, nella sentenza impugnata.

2.2. Non può fondatamente lamentarsi neppure il mancato apprezzamento della valenza presuntiva della complessità del giudizio, della gravità dell’imputazione del cliente, della durata del processo e della sede di svolgimento, ai fini di un’ulteriore maggiorazione dei compensi massimi liquidati.

La presunzione semplice è affidata alla “prudente” valutazione del decidente (art. 2729 c.c.): spetta al giudice di merito valutare la possibilità di fare ricorso a tale tipo di prova, scegliere i fatti noti da porre a base della presunzione e le regole d’esperienza – tra quelle realmente esistenti nel sapere collettivo della società tramite le quali dedurre il fatto ignoto, valutare la ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge.

Tale apprezzamento è sottratto al sindacato di legittimità se, come nel caso in esame, congruamente motivato (Cass. 8023/2009; Cass. 15737/2003; Cass. 11906/2003; Cass. 3974/2002; Cass. 11530/2002; Cass. 1216/2006; Cass. 5332/2007; Cass. 101/2015; Cass. 1234/2019).

Nessuna valenza vincolante poteva infine riconoscersi alla parcella professionale, avendo anche la Corte d’appello dato atto che le singole voci erano state contestate, essendo quindi onere del difensore provare le attività difensive effettivamente svolte.

3. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione degli artt. 39,106,107 e 269 c.p.c. e art. 2909 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.p., comma 1, nn. 3 e 4, per aver il tribunale respinto l’eccezione di litispendenza tra il presente giudizio e i procedimenti riuniti nn. 64200/2009 e 64201/2009, sull’errato presupposto che la Società per le Condotte d’acqua s.p.a. e la Ferrocemento s.p.a. fossero state evocate in giudizio a titolo di manleva, trascurando che l’azione proposta dal convenuto era stata dichiarata tardiva e che era stato il giudice a disporre la chiamata in causa delle ricorrenti ai sensi dell’art. 107 c.p.c., senza sanare il vizio della domanda.

Le predette società non potevano essere condannate a manlevare il convenuto, stante l’inammissibilità dell’azione proposta nei loro confronti con la comparsa di costituzione, e comunque il tribunale avrebbe dovuto conformarsi alla sentenza n. 1748/2013, passata in giudicato, resa a conclusione del giudizio di opposizione proposto dalla Società Condotte d’acqua avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dagli avv. B. ed A., pronuncia con cui era stata dichiarata l’inapplicabilità dell’art. 15 CCNL dei dirigenti e l’inesistenza di un obbligo di manleva, escludendo infine che la Società Italiana Condotte d’Acqua avesse conferito il mandato professionale.

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 106,112 e 409 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, lamentando che il tribunale abbia accolto la domanda di manleva proposta con la comparsa di costituzione depositata tardivamente, benché neppure la successiva chiamata in causa delle società ricorrenti su ordine del giudice ai sensi dell’art. 107 c.p.c., avesse sanato le preclusioni già maturate a carico del convenuto.

Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1362 c.c. e art. 15 del CCNL dei Dirigenti di aziende, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che il contratto collettivo, nel porre a carico delle società le spese processuali sostenute dai dirigenti, non era applicabile al C., che era stato inquisito nella veste di amministratore della Gambogi s.p.a., e non riguardava il pagamento di somme dovute a titolo di inadempimento del contratto professionale, potendosi disporre solo il rimborso di quanto versato dall’assistito al proprio difensore.

Il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il tribunale, accogliendo l’azione di manleva, avrebbe trascurato che il difensore aveva sostenuto di aver ricevuto l’incarico direttamente dalle società chiamate in giudizio e, poiché la domanda di pagamento rivolta all’assistito era infondata, doveva essere respinta anche quella proposta dal C. verso le società chiamate in causa.

Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1284 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale fatto decorrere gli interessi sulle somme liquidate a titolo di corrispettivo dalla domanda di pagamento, anziché dal momento della liquidazione giudiziale del compenso.

Il ricorso incidentale è inammissibile.

3.1. L’appello incidentale della Società italiana per le Condotte d’acqua s.p.a. e della Ferrocemento s.r.l. era stato proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza di primo grado e – conseguentemente – è stato dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, (quale gravame incidentale tardivo), per effetto della ritenuta inammissibilità dell’appello principale ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c..

Le società appellanti in via incidentale hanno proposto ricorso direttamente avverso la sentenza di primo grado, avvalendosi del disposto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3.

Va anzitutto evidenziato che, ai sensi del comma 2 della disposizione, l’ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando, sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale di cui all’art. 333 c.p.c., ricorrono i presupposti di cui all’art. 348-bis, comma 1. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza.

E’ dunque richiesto uno scrutinio di non probabile fondatezza sia dell’impugnazione principale che di quella incidentale tempestiva, prognosi non consentita e non richiesta per l’appello incidentale tardivo, come è reso evidente dal richiamo, contenuto nell’art. 348 ter c.p.c., alla sola impugnazione proposta ai sensi dell’art. 333 c.p.c..

Inoltre, l’ordinanza di inammissibilità non è autonomamente ricorribile, potendo le parti legittimate (appellante principale ed appellante incidentale tempestivo) proporre esclusivamente ricorso avverso la sentenza di primo grado (Cass. s.u. 1914/2016), fatta salva la ricorribilità contro la medesima ordinanza ove affetta da vizi propri, nei limiti precisati dalle Sezioni unite di questa Corte (Cass. s.u. 1914/2016).

Analoga possibilità di proporre ricorso avverso la sentenza di primo grado non è prevista dalle disposizioni di rito in caso di gravame incidentale tardivo e tale opzione pare da escludere sia per ragioni testuali (l’art. 348 ter c.p.c. non richiama l’art. 334 c.p.c.), sia alla luce del fatto che l’efficacia del gravame incidentale tardivo dipende dall’ammissibilità dell’appello principale, come appunto previsto dall’art. 334 c.p.c., comma 2.

In definitiva, la parte che non si avvalga del termine ordinario per impugnare, è esposta al rischio che la propria impugnazione incidentale, proposta tardivamente, perda efficacia in caso di inammissibilità di quella principale e tale conseguenza si produce anche qualora tale inammissibilità sia stata adottata per ragioni di merito, come già chiarito dalle Sezioni unite sebbene con riferimento alla diversa ipotesi ricadente nella previsione dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. s.u. 7155/2017, secondo cui in tema di ricorso per cassazione, lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito).

Va poi considerato che la pronuncia di inefficacia dell’impugnazione tardiva non genera soccombenza in senso tecnico (Cass. 4074/2014, secondo cui in caso di declaratoria di inefficacia ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, la soccombenza va riferita alla sola parte ricorrente in via principale, restando irrilevante se sul ricorso incidentale vi sarebbe stata soccombenza del controricorrente; vedi inoltre Cass. 23469/2014; Cass. 15220/2018; Cass. 1343/2019 nel senso che, nelle ipotesi considerate, la parte che abbia proposto l’impugnazione incidentale tardiva dichiarata inefficace non è tenuta al pagamento del raddoppio del contributo unificato, non essendo la pronuncia equiparabile ad un rigetto nel merito o alla declaratoria di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) e che, come già affermato da questa Corte, in caso di pronuncia di inefficacia ex art. 334 c.p.c., comma 2, non è configurabile un interesse dell’appellante incidentale a ricorrere contro la declaratoria di inammissibilità dell’appello principale (possibilità comunque preclusa nei casi ricadenti nella previsione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3), che abbia comportato l’inefficacia della sua impugnazione (Cass. 14558/2012; Cass. 18273/2006), soluzione che appare da preferire a quella (contraria) condivisa da altre pronunce (Cass. 12947/2015 e Cass. 12292/2008), sempre alla luce del vincolo di dipendenza dell’appello incidentale tardivo dall’ammissibilità di quello principale.

In conclusione, ove, come nella specie, l’appello incidentale tardivo sia stato dichiarato inefficace, la parte che l’abbia proposto non può impugnare la pronuncia di primo grado, né la stessa ordinanza ex art. 348 ter c.p.c., per censurare la correttezza del giudizio prognostico riguardante l’appello principale, neppure al fine di ottenere la dichiarazione di efficacia dell’appello incidentale.

L’inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva, dichiarata ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2, non consente e non implica (a differenza dell’impugnazione incidentale tempestiva) alcuna prognosi di non probabile accoglimento dell’impugnazione stessa e non determina soccombenza della parte, restando impregiudicata la sola possibilità di riproporre al giudice del rinvio le questioni oggetto dell’appello incidentale tardivo in caso di accoglimento del ricorso avverso la sentenza di primo grado proposto dalla parte legittimata (l’appellante principale), atteso che la cassazione con rinvio fa venir meno l’ordinanza di inammissibilità, travolgendo anche l’inefficacia dell’impugnazione incidentale tardiva.

In conclusione, il ricorso principale è respinto, mentre il ricorso incidentale è dichiarato inammissibile, con compensazione delle spese processuali.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso, dichiara inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 9 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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