Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6602 del 06/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6602 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: ARIENZO ROSA

ORDINANZA
sul ricorso 22933-2014 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA 97103880585, – Società con socio unico -, in
persona del Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale
rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G.
PARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO
MARESCA, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del
ricorso;

– ricorrente contro
COSCIA BEATRICE, elettivamente domiciliata in ROM viA
NAPOLEONE III 28, presso lo studio dell’avvocato DAN I ELE
1,EPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato AN’IDNIO ROSARIO
BONGARZONE giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

D51

Data pubblicazione: 06/04/2016

avverso la sentenza n. 7448/2013 della CORTE D’APPELLO di
ROMA del 18/09/2013, depositata il 03/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’i 1/02/2016 dal Consigliere Relatorc Dott. ROSA ARIENZO.
Consigliere Relatore Dott. ROSA ARIENZO.

La causa è stata chiamata all’adunanza in camera di consiglio dell’Il
febbraio 2016, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente
relazione, redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:
“Con sentenza del 3.10.2013, la Corte di appello di Roma, rigettando il
gravame della società Poste Italiane, confermava la sentenza di primo
grado che aveva accertato la illegittimità della causale apposta al primo
dei contratti di somministrazione conclusi con la Adecco lnwork e poi
con la E Work in favore di Poste Italiane e dichiarato che tra Coscia
Beatrice e la società Poste Italiane si era instaurato un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato sin dalla data di conclusione del contratto,
condannando la società al pagamento delle retribuzioni maturate dalla
data di messa in mora sino a quella di effettivo ripristino del rapporto,
oltre accessori di legge.
Rilevava la Corte che, con riferimento alle esigenze indicate nei
contratti di somministrazione (ragioni di carattere organizzativo derivanti
dall’implementazione di nuove soluzioni operative e gestionali del
Sistema Gestione Attese per il conseguimento dei programmati livelli di
attività del servizio erogato e, con riferimento al contratto con la E Work,
per ragioni di carattere produttivo e organizzativo derivanti dall’aumento
delle attività nell’ambito degli uffici postali interessati al Progetto
Gestione Cliente) doveva ritenersi idonea l’indicazione in merito
all’incremento di attività previsto nel periodo considerato, così da
rendere ragionevole il ricorso al lavoro somministrato, ma che nessun
onere probatorio era stato assolto dalla società in ordine alla
sussistenza in concreto delle ragioni che avevano determinato
l’utilizzazione della Coscia con contratto di lavoro somministrato, nonche
kic. 2014 n. 22933 sez. MI
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ud. 11-02-2016

FATTO E DIRITTO

in merito alla riconducibilità di tali ragioni alla ipotesi in cui il ricorso a
tale fattispecie era consentita. Rilevava che i testi escussi, come
precisato dal giudice di primo grado, non avevano fatto alcun accenno in
ordine al primo periodo di assunzione dell’appellata per il quale la
causale di assunzione si riferiva al progetto “Gestione Attese”, che

coinvolgimento organizzativo degli uffici ove la lavoratrice aveva operato
nel progetto ed. “Gestione Cliente” e che, in ogni caso, era assorbente
la considerazione per cui non vi era alcuna prova della causale
organizzativa dedotta, con conseguente illegittimità dei contratti
impugnati.
Per la cassazione della decisione ricorre la società Poste Italiane,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste la Coscia, con
controricorso.
Con il primo motivo, la ricorrente denunzia

violazione e falsa

applicazione degli artt. 416 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 3,
c.p.c., rilevando che la parte appellata non aveva elevato contestazioni
se non genericamente, onde quanto riferito da essa società avrebbe
dovuto ritenersi pacifico, e che i giudici del merito avrebbero dovuto
ritenere le generiche contestazioni di controparte inidonee ad inficiare le
circostanze ed i dati contenuti nella memoria difensiva della società.
Con il secondo motivo, la ricorrente si duole della violazione e falsa
applicazione dell’art. 27 d. Igs. 276/2003, rilevando che erroneamente
era stata ravvisata una somministrazione irregolare, sussistendo i
requisiti formali per la valida stipulazione del contratto, e che, in ogni
caso, le conseguenze non potevano essere quelle della costituzione di
un rapporto a tempo indeterminato in capo all’utilizzatore.
Con il terzo motivo, la società lamenta omesso esame circa una fatto
decisivo per il giudizio, rilevando che erano state disattese le istanze
istruttorie volte a dimostrare che la Coscia aveva prestato attività
lavorativa presso altri datori di lavoro nel periodo intercorso tra la
cessazione del rapporto e l’instaurazione del giudizio.

2014 n. 22933 sez. ML – ud. 11-02-2016
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anche per il periodo successivo non risultava con chiarezza un

Infine, con il quarto motivo, viene denunziata violazione e falsa
applicazione dell’ad. 32, comma 5, L 183/2010, sostenendosi che
erroneamente nulla era stato statuito in ordine all’applicabilità dell’art. 32
1. 183/2010 a giudizio pendente alla data di entrata in vigore della legge,
posta la riferibilità della norma al contratto a tempo determinato ed alla

11 primo motivo è inammissibile prima che infondato.
In concreto è stato ritenuto non assolto l’onere di allegazione e prova
da parte dell’utilizzatrice, non potendo la ragione temporanea dedotta
dirsi provata, senza indicazione alcuna dello stato occupazionale
specifico dell’ufficio con riferimento alla posizione del lavoratore assunto
a termine, alla precisazione dello squilibrio numerico tra personale a
tempo indeterminato assente con diritto alla conservazione del posto e
giornate lavorative svolte del personale somministrato, ed alle esigenze
cui risultava finalizzata l’assunzione della Coscia, oltre che della
temporaneità della causale in relazione al contratto stipulato a termine,
e dovendo ritenersi insufficiente il generico richiamo alla sussistenza
delle esigenze organizzative, che avrebbe necessitato di ulteriori
adattamenti e precisazioni che dovevano sussistere con riferimento al
singolo contratto stipulato.
La motivazione della decisione sui punto non è stata fatto oggetto di
adeguata censura, sicché, dovendo ritenersi corretta la decisione di
ritenere necessario il controllo di effettività, deve ritenersi che la rafia
decidendi non sia stata scalfita da una precisa denunzia che configuri

un vizio della decisione al riguardo.
Peraltro, con riguardo alla specificità della doglianza ed alla connessa
necessità di riscontro sul piano dell’effettività delle esigenze enunciate
anche nel contratto di fornitura, deve osservarsi che in sede di
legittimità è consentita soltanto la facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle
argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via
esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di
assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
Ric. 2014 n. 22933 sez. ML – ud. 11-02-2016
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fattispecie della somministrazione.

concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti
ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro
dei mezzi di prova acquisiti , (cfr., tra le altre, Cass., s. u., 5802/1998;
Cass. nn. 15693/2004, 11936/2003).

merito, non consentita nella presente sede di legittimità, posto che
l’assunto della sussistenza delle esigenze sostitutive presso l’Ufficio di
applicazione della Coscia nel periodo di riferimento poggia sulla
considerazione della inidoneità dell’apprezzamento compiuto dal
giudicante con riguardo alla insussistenza della situazione di fatto che
aveva determinato una situazione di carattere temporaneo non gestibile
con le normali prestazioni lavorative del personale a tempo
indeterminato.
Non è conferente il richiamo alla violazione dell’art. 112 c.p.c., ove si
consideri che la non contestazione deve riferirsi ad un fatto, che in
quanto ritenuto pacifico, vale ad esonerare la controparte dalla relativa
prova. Non si tratta poi di omissione di pronuncia, quanto di motivazione
addotta con riguardo alla valutazione delle prove, che la parte ricorrente
ritiene sia sconfinata rispetto al dato pacifico della non contestazione
delle circostanze asseritamente allegate nella memoria d costituzione.
La censura, dunque, involge in parte valutazioni di merito e, sotto altro
profilo, contravviene all’insegnamento di questa Corte secondo cui la
non contestazione del fatto ad opera della parte che ne abbia l’onere è
irreversibile, ma non impedisce al giudice di acquisire comunque la
prova del fatto non contestato, sicché solo in tale ultima ipotesi resta
superata la questione sulla pregressa non contestazione di quei fatti
che, se ravvisata, avrebbe comportato l’esclusione di essi dal “thema
probandum” (cfr. Cass. 13.3.2012 n. 3951).
In sostanza non può ritenersi precluso pervenire all’accoglimento della
pretesa sulla base del principio di non contestazione, salvo che la prova
comunque espletata non abbia fornito risultanze sfavorevoli alla parte
che ne invochi l’applicazione. Ciò che è avvenuto nel caso considerato,
Ric, 2014 n. 22933 sei. ML – ud. 11-02-2016
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Con i rilievi formulati si tende, invero, a sollecitare una rivisitazione del

in relazione al quale il giudice del gravame ha richiamato le deposizioni
dei testi escussi in primi grado ribadendo la correttezza della
valutazione compiutane dal Tribunale.
A ciò deve aggiungersi che il motivo non integra in ogni caso una critica
puntuale, non potendo ritenersi che la ricorrente, attraverso la

criticato specificamente nei termini consentiti la pronuncia del Tribunale
con riguardo alla deduzione di elementi di rilievo e decisività tali da
rendere irragionevole la sentenza impugnata, che peraltro non è scalfita
da rilievi che esulano da un’appropriata ed idonea contestazione dei
criteri di lettura delle risultanze documentali utilizzati dal giudice del
gravame.
Con riguardo al secondo motivo, deve ritenersi che il contratto che si
viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che
essere a tempo indeterminato. Invero, come osservato da questa Corte
(cfr. Cass. 15.7.2011 n. 15610, e, tra le successive, Casa. 8.5.2012 n.
6933), il Digs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, stabilisce
espressamente che, in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori
dei limiti e delle condizioni di cui agli artt. 20 e 21, comma 1, lett. a), b),
e), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a
norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha
utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle
dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione.
Pertanto, la stessa efficacia “ex tune” che la norma in esame ricollega
alla sentenza costitutiva provocata da un tale tipo di ricorso rappresenta
un valido elemento letterale e logico che autorizza a ritenere che, se il
legislatore avesse voluto riferirsi alla costituzione di un rapporto diverso
da quello a tempo indeterminato, non avrebbe certamente avuto ragione
di dover far riferimento ad una costituzione del rapporto con effetto
dall’inizio della somministrazione stessa. Un ulteriore ed insuperabile
argomento sistematico è quello per il quale, diversamente opinando,
verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del
contratto a termine: invero, qualora si volesse sostenere che anche il
Ric, 2014 n. 22933 sez. ML – ucl. 11-02-2016
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trascrizione dell’atto di gravame, abbia fornito la dimostrazione di avere

rapporto che si instaura “ex lege” con l’impresa utilizzatrice debba
essere a termine, ad onta della accertata illegittimità del ricorso alla
tipologia del contratto di somministrazione di lavoro a tempo
determinato, si perverrebbe alla inaccettabile ed assurda situazione per
la quale la violazione così perpetrata consentirebbe all’impresa

preclusa (cfr. Cass. 15610/2011 cit.).
li terzo motivo va ritenuto inammissibile, posto che la ricorrente, a
fronte di una decisione di primo grado che aveva accolto appieno
l’ulteriore domanda risarcitoria, non richiama i motivi di gravame
formulati avverso tale capo della decisione. Ove la pronunzia
impugnata venga confermata, come nel caso di specie, non può che
formarsi la preclusione sulla questione del quantum,

poiché non

sottoposta ad impugnazione (così Cass. 19 agosto 2003, n. 12176;
Cass. 25 febbraio 2011, n. 4701). Orbene, nel caso di specie, dallo
stesso ricorso per cassazione si evince che la società, lungi dal
formulare specifici rilievi avverso la statuizione di primo grado relativa al
risarcimento del danno, si era limitata a “reiterare tutte le deduzioni,
argomentazioni ed istanze (anche istruttorie) contenute nella memoria
difensiva e di costituzione relativa al primo grado di giudizio, qui da
intendersi integralmente riportata e trascritta”.
Non vi era stata, sul punto del risarcimento, alcuna chiara
individuazione delle censure in concreto mosse alla motivazione della
sentenza impugnata ed alcuna contrapposizione, alle argomentazioni
svolte, di quelle dell’appellante — che, pertanto, non poteva limitarsi a
richiamare le eccezioni, istanze ed argomentazioni contenute nella
memoria di costituzione di primo grado – volte ad incrinarne il
fondamento logico-giuridico (cfr. ex multis Cass., Sez. Un., 9 novembre
2011, n. 23299).
Quanto appena detto induce a ritenere inammissibile anche il quarto
motivo di gravame.
Non è possibile, invero, dare ingresso allo

ius superveniens,

considerato che, come da questa Corte già da tempo affermato, ove sia
Ric. 2014 n. 22933 sez. ML
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ud. 11-02-2016

utilizzatrice di beneficiare di una prestazione a termine altrimenti

invocata l’applicazione dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, legge n. 183 del
2010 con riguardo alle conseguenze economiche della dichiarazione di
nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro, è
necessario che i motivi del ricorso investano specificamente le
conseguenze patrimoniali dell’accertata nullità del termine, non essendo

motivo di impugnazione (cfr. ex multis Cass. 26 luglio 2011, n. 16299;
Cass. 1 ottobre 2012, n. 16642 e, da ultimo, Cass. 15.4.2015 n. 7632 e
Cass. 8140/2015 ). In particolare, la disciplina dell’art. 32, comma 5,
della legge 4 novembre 2010, n. 183, come interpretata dalla Corte
costituzionale con la sentenza n. 303 del 2011, pur applicabile a tutti i
giudizi pendenti, in ogni stato e grado, non può essere applicata in caso
di ricorso che non rechi come valido e pertinente motivo di
impugnazione la quantificazione dell’indennità in relazione al diniego di
risarcimento statuito con la pronuncia impugnata.
Si propone, pertanto, ai sensi dell’ad. 375, n. 5, cod. proc. civ., il rigetto
del ricorso”.
Sono seguite le rituali comunicazioni e notifica della suddetta relazione,
unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in Camera di
consiglio, Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art.
380 bis c.p.c.
Il Collegio ritiene di condividere integralmente il

contenuto e le

conclusioni della riportata relazione e concorda, pertanto, sul rigetto del
ricorso, osservando che le critiche rivolte dalla ricorrente al rilievo della
preclusione di ogni ulteriore questione sulle conseguenze risarcitorie
sono destituite di giuridico fondamento, attesa la mancanza di ogni
censura in sede di gravame al relativo capo della pronunzia di primo
grado. Peraltro, essendo lo ius superveniens intervenuto nelle more del
giudizio di appello, non si ravvisa alcuna ragione di contrasto con
l’impostazione seguita nell’ordinanza interlocutoria di questa Corte n.
14340/15, di rimessione alle s. u. della questione relativa all’ipotesi di
entrata in vigore dello ius superveniens di cui all’ad. 32 1. 193/10 in
epoca successiva alla pronuncia resa in appello.
Rrc. 2014 n. 22933 sez. ML ud. 11-02-2016
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consentito chiedere l’applicazione diretta della norma al di fuori del

Al rigetta del ricorso consegue la condanna della società al rimborsi
delle spese di lite, liquidate come da dispositivo, con attribuzione in
favore del difensore dichiaratosi antistatario.
La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30
gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1

comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228. Invero, in base al tenore
letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’ulteriore contributo unificato costituisce
un atto dovuto, poiché l’obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è
collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo – ed altrettanto
oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione – del rigetta integrale
o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, dell’impugnazione,
muovendosi, nella sostanza, la previsione normativa nell’ottica di un
parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell’apparato giudiziario
o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua
disposizione (così Casa. Sez. Un. n. 22035/2014).

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 100,00 per
esborsi, euro 4000,00 per compensi professionali, oltre accessori come
per legge, nonché al rimborso delle spese generali in misura del 15%,
con attribuzione all’avv. A. Rosario Bongarzone.
Ai sensi dell’ad. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 11.2.2016

quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nei testo introdotto dall’ad. 1,

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