Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6600 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 01/02/2022, dep. 28/02/2022), n.6600

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17772-2017 proposto da:

CIP COMPAGNIA ITALIANA PARTECIPAZIONI SRL, elettivamente domiciliata

in ROMA, V. DEL BANCO DI SANTO SPIRITO 42, presso lo studio

dell’avvocato GIUSTINO DI CECCO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato LAURA BARTOLI;

– ricorrente –

contro

FIDEURAM INTESA SANPAOLO PRIVATE BANKING SPA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA L. BISSOLATI 76, presso lo studio

dell’avvocato TOMMASO SPINELLI GIORDANO, che la rappresenta e

difende;

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE CARSO 63,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO MARIA FARGIONE, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro

D.S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 262/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/02/2022 dal Consigliere Dott. VARRONE LUCA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Banca Fideuram S.p.A., premesso di essere creditrice nei confronti di D.S.A. della somma di Euro 171.083,28, oggetto del decreto ingiuntivo emesso il 18 aprile 2005 quale saldo del conto corrente allo stesso intestato e che lo stesso D.S., con atto in data 9 luglio 2003, aveva disposto dell’unico bene immobile ricompreso nel proprio patrimonio consistente in un’unità immobiliare sita in (OMISSIS), conveniva in giudizio il D.S. e l’acquirente Compagnia Italiana Partecipazioni (di seguito C.I.P.) chiedendo che fosse accertata la simulazione assoluta del contratto ovvero, in subordine, l’inefficacia nei propri confronti della compravendita ai sensi dell’art. 2901 c.c..

2. L’attrice conveniva in giudizio anche M.G., terzo acquirente del bene con atto del 20 giugno 2006.

3. Il Tribunale di Roma dichiarava la simulazione assoluta del primo contratto e respingeva la domanda in relazione al secondo contratto di compravendita con riferimento all’acquisto di M.G..

3.1 Il giudice di primo grado affermava che non era stata fornita dall’acquirente la prova dell’effettivo pagamento del prezzo corrisposto con modalità diverse da quelle risultanti dagli atti per quanto si riferiva all’utilizzazione del mutuo erogato dalla banca delle Marche per finanziare l’acquisto. Il Tribunale rilevava, inoltre, che quattro soci della società acquirente intrattenevano rapporti di collaborazione professionale con la venditrice e che A. e V.M. erano soci accomandanti della Restauri Costruzioni Generali di D.S.A. s.a.s. di cui D.S. era accomandatario. Il Tribunale rilevava, inoltre, che contrariamente all’obbligazione assunta con la clausola n. 2 della compravendita, il venditore era rimasto nel possesso del bene senza alcun titolo fino a quando era stato stipulato dalle parti un contratto di locazione a distanza di tempo poi consensualmente risolto. Quanto all’inadeguatezza del prestito del prezzo si era accertato che il valore dell’immobile al momento della vendita era di Euro 412.012,00 rispetto al prezzo effettivamente pattuito di Euro 270.000,00.

3.2 Doveva respingersi invece la domanda nei confronti del terzo sub-acquirente M.G. in difetto di qualsiasi elemento dal quale desumere la sua consapevolezza della natura simulata dell’acquisto effettuato dalla propria dante causa.

4. La società C.I.P. proponeva appello avverso la suddetta sentenza. Si costituivano le altre parti. Il D.S. chiedeva la riforma della sentenza e il M. la conferma del passaggio in giudicato del capo con il quale erano state respinte le domande formulate nei suoi confronti in assenza di appello.

5. La Corte d’Appello di Roma accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di simulazione assoluta della compravendita del 9 luglio 2003 mentre accoglieva la domanda subordinata proposta da Banca Fideuram di inefficacia della compravendita ex art. 2901 c.c..

Condannava la C.I.P. a pagare in favore della Banca Fideuram la minor somma tra il residuo importo del credito nei confronti di D.S.A. e la somma di Euro 395.000,00 quale equivalente monetario del bene.

In particolare, la Corte d’Appello evidenziava che non poteva ritenersi simulata la compravendita effettuata da D.S.A. alla società appellata. Risultava pagato il prezzo e i rapporti tra le parti non erano elementi tali da provare la simulazione, unitamente a tutti gli altri elementi considerati dal primo giudice quali la locazione del bene al venditore e il valore il prezzo di vendita.

5.1 La Corte d’Appello di Roma accoglieva, invece, l’azione revocatoria proposta in via subordinata dall’attrice, ritenuta assorbita dal Tribunale e reiterata ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Quanto all’elemento oggettivo non era contestabile che il D.S., cedendo l’unico bene immobile del suo patrimonio, avesse pregiudicato le ragioni della banca creditrice, tenuto conto del principio assolutamente consolidato secondo il quale anche una variazione meramente quantitativa del patrimonio del debitore legittima il creditore all’azione di cui all’art. 2901 c.c..

Quanto all’elemento soggettivo la Corte rilevava come il debito si fosse formato a seguito dell’apertura di credito da parte della banca, e, dunque, fosse anteriore all’atto di vendita. Ciò premesso, doveva ritenersi provata la consapevolezza in capo alle parti delle conseguenze negative che l’atto poteva determinare per il creditore. Tale consapevolezza, palese per quanto si riferiva al D.S., doveva ravvisarsi anche in capo alla società C.I.P. sulla base dell’inadeguatezza del prezzo rispetto al valore di mercato, circostanza che non poteva sfuggire alla società acquirente, operante nel settore immobiliare. Allo stesso tempo i particolari rapporti di affari tra la C.I.P. il D.S. deponevano per la consapevolezza della lesione delle ragioni creditorie.

6. La società C.I.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.

7. Banca Fideuram e M.G. hanno resistito con controricorso.

8. Con memoria depositata in prossimità dell’udienza Banca Fideuram insisteva nella richiesta di rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 c.c. e 2740 c.c., nonché dell’art. 2727c.c. e art. 2729 c.c.. Nullità della sentenza per error in procedendo, omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio.

La censura attiene alla ritenuta sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’azione revocatoria.

La ricorrente evidenzia che il prezzo non era così distante dal valore di mercato e che la C.I.P., operando nel settore immobiliare, normalmente acquista a prezzi ritenuti convenienti e, inoltre, che il bene è stato acquistato quando era ancora occupato mentre al momento della rivendita ad un prezzo più alto era libero da persone e cose. Inoltre, il locale individuato come cantina, che in realtà era parte dell’appartamento, non aveva ottenuto l’agibilità. Il consulente tecnico aveva definito gli immobili regolari ma certamente le caratteristiche influivano sul valore di stima. Infine costituirebbe un fatto notorio l’andamento dei prezzi del mercato immobiliare. L’immobile pagato nel luglio 2003 Euro 270.003, anni dopo ben poteva valerne Euro 400.000. Infine, l’elemento di conoscenza delle ragioni creditorie derivante dai rapporti con il venditore sarebbe del tutto erroneo e non provato. Si tratterebbe di un mero indizio mentre le presunzioni devono essere gravi precisi e concordanti.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 2901 e 2740 c.c.. Nullità della sentenza per error in procedendo.

La censura attiene alla sussistenza del credito al momento della vendita del cespite immobiliare e del pregiudizio per la banca. La società ricorrente non conosceva i rapporti bancari del venditore mentre l’esposizione debitoria del D.S. riguardava una concessione di scoperto di conto corrente per un importo di lire 870.000.000 a fronte di un impegno di titoli del valore di lire 1.700.000.000. Nel novembre 2003 la banca aveva invitato il D.S. a concordare un incontro per definire la posizione, stante la riduzione del valore della garanzia a causa dell’andamento del mercato finanziario. Dunque, al momento dell’apertura di credito, così come al momento della compravendita in oggetto, quanto dato in pegno dal D.S. garantiva per quasi il doppio l’esposizione. Vi sarebbe quindi un’erronea applicazione degli artt. 2901 e 2740 c.c..

3. I due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Questa Corte, di recente, ha ribadito i seguenti principi di diritto:

– ai fini dell’azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la consapevolezza, del debitore alienante e del terzo acquirente, della diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del primo, non essendo necessaria la collusione tra gli stessi, né occorrendo la conoscenza, da parte del terzo, dello specifico credito per cui è proposta l’azione, invece richiesta qualora quest’ultima abbia ad oggetto un atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito (Sez. 3, Ord. n. 28423 del 2021, in senso conforme Sez. 1, Sent. n. 16825 del 2013);

– nell’azione revocatoria ordinaria, il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore consiste nell’insufficienza dei beni del debitore ad offrire la garanzia patrimoniale, essendo irrilevante una mera diminuzione di detta garanzia; è invece rilevante ogni aggravamento della già esistente insufficienza dei beni del debitore

ad assicurare la garanzia patrimoniale (Sez. 1, Ord. n. 5269 del 2018);

– in tema di revocatoria ordinaria, non essendo richiesta, a fondamento dell’azione, la totale compromissione della consistenza del patrimonio del debitore, ma soltanto il compimento di un atto che renda più incerta o difficile la soddisfazione del credito (quale, nella specie, una transazione traslativa di beni ereditari conclusa dall’erede con un terzo), l’onere di provare l’insussistenza di tale rischio, in ragione di ampie residualità patrimoniali, incombe sul convenuto che eccepisca, per questo motivo, la mancanza dell’eventus damni (Sez. 2, Sent. n. 1902 del 2015).

La sentenza della Corte d’Appello di Roma è pienamente aderente ai suddetti principi, avendo accertato l’anteriorità del debito del D.S. nei confronti di Banca Fideuram rispetto alla compravendita in oggetto e la consapevolezza in capo alla ricorrente, sulla base di elementi presuntivi, della conseguente diminuzione della garanzia generica per la riduzione della consistenza patrimoniale del D.S..

D’altra parte, quanto all’anteriorità del debito del D.S. nei confronti della Banca Fideuram, la stessa Società ricorrente, evidenzia che il rapporto era sorto con concessione di scoperto per lire 870.000.000 nel 2000 e che la Banca aveva invitato il D.S. a definire la sua posizione, stante la riduzione, a causa della crisi finanziaria, del valore dei titoli dati in pegno (pag. 19 del ricorso).

Ciò premesso, deve osservarsi che le censure proposte dalla ricorrente si risolvono tutte nella richiesta di una diversa valutazione in fatto della vicenda, al fine di affermare l’insussistenza tanto dell’elemento soggettivo quanto di quello oggettivo dell’azione revocatoria.

L’accertamento che la Corte d’Appello ha effettuato sulla base di un’ampia ed esaustiva motivazione, non può essere sindacato da questa Corte, se non nei limiti della violazione di legge, che nella specie per le ragioni sopra esposte non può ravvisarsi, o per omesso esame di un fatto oggetto di discussione tra le parti e decisivo per il giudizio che, tuttavia, la ricorrente non indica.

In particolare, il valore di mercato del bene è stato accertato mediante CTU, alla quale i giudici del merito hanno aderito. Inoltre, la Corte d’Appello ha evidenziato che l’immobile è stato venduto ad un prezzo molto più alto e che, considerata l’attività della società ricorrente nel settore immobiliare, quest’ultima aveva una sicura conoscenza della inadeguatezza del prezzo di acquisto. Infine, sulla base dei rapporti intercorrenti tra la C.I.P. e il D.S., – due dei quattro soci della C.I.P. erano soci accomandatari della Restauri Costruzioni Generali della quale il D.S. era socio accomandatario – poteva presumersi la conoscenza della situazione debitoria del D.S., e la consapevolezza che la vendita dell’immobile avrebbe comportato una diminuzione della sua garanzia patrimoniale. Infine, ai fini della valutazione di sussistenza della scientia damni, non è necessario che sussista un rapporto di parentela tra i contraenti come sembra adombrare la società ricorrente.

La Corte d’Appello è giunta alle dette conclusioni con corretto apprezzamento di merito, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento. Deve ribadirsi che l’apprezzamento del giudice di merito è insindacabile in cassazione tutte le volte in cui esso costituisca un giudizio di fatto e sia immune da errori logici o giuridici, non essendo, a tal proposito, il giudice di merito tenuto ad analizzare e discutere ogni singolo dato acquisito al processo, ed adempiendo egli, per converso, all’obbligo della motivazione attraverso l’adozione di una decisione fondata su quelle risultanze probatorie ritenute risolutive ai fini della decisione stessa (ex plurimis Sez. 6-2, Ord. n. 12182 del 2020, Sez. 3, Sent. n. 6401 del 2015, Sez. 3, Sent. n. 24799 del 2008, Sez. 2, Sent. n. 11400 del 2002).

In definitiva, non merita alcuna censura la valutazione circa la sussistenza dei presupposti dell’actio pauliana effettuata dalla Corte d’Appello sulla base dell’esame dei fatti e delle prove espletate nel corso del giudizio.

4. Il ricorso è rigettato.

5. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200 più 200 per esborsi in favore di Fideuram Intesa Sanpaolo Private Banking Spa, e di 5000 più 200 in favore di M.G., e distratte nei confronti dell’avv.to Vincenzo Maria Fargione dichiaratosi antistatario;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 1 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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