Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6598 del 28/02/2022

Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6598

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15882-2017 proposto da:

B.C., rappresentato e difeso dall’avv. ANDREA BRUMANA e

domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

B.L. e B.E., elettivamente domiciliate in ROMA,

VIA DEI SAVORELLI n. 63, presso lo studio dell’avvocato ISABELLA

NEGRO, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

BO.LO. e C.A., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CIVITAVECCHIA n. 7, presso lo studio dell’avvocato LORENZO

GRISOSTOMI TRAVAGLINI, rappresentati e difesi dall’avvocato MATTIA

BIANCHI;

– controricorrenti –

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CHIUSI n. 31,

presso lo studio dell’avvocato PIO CORTI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LAURA DAMIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2083/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/01/2022 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 7.10.2008, B.C. conveniva in giudizio la madre, T.A., insieme a Bo.Lo. e C.A., innanzi il Tribunale di Como, esponendo: a) di essere figlio di B.C. e T.A., nonché fratello di B.E. e L.; b) che i propri genitori erano comproprietari di un immobile sito in territorio del (OMISSIS); c) che il padre, colpito da ictus nel 1995, era stato ricoverato dal (OMISSIS) presso una casa famiglia; d) che in data (OMISSIS), circa due anni prima di morire, il predetto aveva conferito alla moglie una procura speciale per vendere l’immobile di cui anzidetto, dichiarando di non essere in grado di firmarla per indebolimento delle mani; e) che in data (OMISSIS) T.A., utilizzando tale procura, avrebbe venduto l’immobile a Bo.Lo. e C.A.; f) che in realtà, alla data di conferimento della procura, il B.C. non era soltanto fisicamente impedito, ma anche incapace di intendere e volere.

Su tali premesse, l’attore invocava l’accertamento dell’incapacità di intendere e volere del padre, l’annullamento della procura a vendere, per incapacità del mandante, e la nullità, o inefficacia della vendita del cespite di Locate Varesino.

Si costituiva in giudizio T.A., resistendo alla domanda.

Si costituivano altresì Bo.Lo. e C.A., egualmente resistendo alla domanda e chiedendo, in subordine, per il caso in cui fosse stata annullata la procura conferita dal B.C. alla moglie T.A., dichiararsi comunque l’efficacia della vendita effettuata in loro favore, in virtù della loro condizione di terzi in buona fede.

Il contraddittorio veniva esteso anche nei confronti delle sorelle dell’attore, B.E. e L., le quali si costituivano aderendo alla difesa svolta dalla madre.

Con sentenza n. 967/2014, il Tribunale di Como accoglieva parzialmente la domanda, dichiarando l’incapacità di intendere e volere di B.C. all’atto del rilascio della procura a vendere, che annullava. Il Tribunale faceva tuttavia salvi gli effetti della compravendita in favore dei terzi in buona fede, e condannava quindi la sola T.A. al pagamento, in favore dell’attore e delle due sorelle, della somma di Euro 45.400 oltre interessi dal (OMISSIS) (data della vendita) al saldo.

Interponeva appello avverso detta decisione B.C., insistendo nella domanda di nullità della compravendita del (OMISSIS). Si costituivano in seconde cure le parti appellate, resistendo al gravame. T.A. spiegava altresì appello incidentale in relazione alla statuizione con cui il primo giudice aveva ravvisato la condizione di incapacità di intendere e volere del marito, annullando di conseguenza la procura a vendere da quegli rilasciata in favore della moglie.

Con la sentenza impugnata, n. 2083/2016, la Corte di Appello di Milano rigettava l’impugnazione principale, accogliendo invece quella incidentale.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione B.C., affidandosi a due motivi.

Resistono con autonomi controricorsi: 1) T.A.; 2) Bo.Lo. e C.A.; 3) B.E. e B.L..

Tutte le parti controricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza camerale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato le risultanze istruttorie, ritenendo non provata la condizione di incapacità di intendere e volere di B.C. al momento del conferimento della procura a vendere oggetto di causa.

La Corte distrettuale, infatti, avrebbe affermato che il padre presentava una “alternanza di fasi di compromissione cognitiva rilevante e di fasi di remissione e sostanziale compenso” (cfr. il passaggio della sentenza riportato a pag. 6 del ricorso), dando altresì atto che il C.T.U. aveva a sua volta asserito che, dalle videoregistrazioni risalenti a soli tre mesi prima del rilascio della procura di cui è causa, il B.C. presentava un “gravissimo stato di deficitarietà non solo motoria ma anche espressiva e di uno stato patologico di natura ed entità tale da precludere ogni efficace comunicazione, concludendo che, per tale ragione, il soggetto ripreso nella videoregistrazione deve essere ritenuto totalmente incapace di esprimere valide manifestazioni di volontà e in ragione di ciò deve essere ritenuto incapace di intendere e di volere ai fini di cui ci si occupa” (cfr. il passaggio della sentenza riportato a pag. 7 del ricorso). Ciò nonostante, la Corte di Appello avrebbe erroneamente valorizzato il fatto che il B. risultava affetto, sin dal 2004, da una condizione di alternanza di momenti di presenza e di assenza cognitiva, ed avrebbe quindi ritenuto non decisive le evidenze delle videoregistrazioni, proprio in virtù della condizione di intermittente incapacità in cui si veniva a trovare il B.L.. Ad avviso del ricorrente, invece, la Corte di merito avrebbe dovuto, in tale situazione, presumere l’incapacità, sino alla prova contraria, che avrebbe dovuto essere fornita dall’appellante incidentale T.A..

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per irriducibile contrasto logico tra due passaggi della motivazione della sentenza impugnata. La Corte di Appello avrebbe infatti prima affermato, e poi escluso, l’esistenza di periodi di compromissione cognitiva successivi al (OMISSIS), data di conferimento della procura a vendere di cui è causa.

Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.

La Corte di Appello ha affermato che “… se il B. appare affetto, sin dal 2004, da preesistente infermità, idonea a renderlo genericamente incapace e perciò privato, almeno parzialmente, di quelle piene facoltà di adeguatezza nei rapporti interpersonali e di collocazione di sé nel tempo e nello spazio, è pur vero che dall’esame del diario clinico relativo a periodi posteriori al (OMISSIS) emerge che le condizioni psichiche del B. furono caratterizzate dalla alternanza di fasi di compromissione cognitiva rilevante… e di fasi di remissione e sostanziale compenso” (cfr. pag. 12 della sentenza). Il Giudice di merito ha in tal modo affermato che il B.C., pur essendo infermo dal 2004, aveva tuttavia manifestato, dopo il (OMISSIS) – data in cui era stata rilasciata la procura a vendere alla moglie, una condizione di alternanza tra fasi di incapacità e momenti di remissione e recupero delle facoltà cognitive.

Tale affermazione non si pone in contrasto logico con la successiva, secondo cui “Manca, infatti, la prova idonea che il B. fosse in allora affetto da malattia psichica permanente e che la procura a vendere sia stata rilasciata in un periodo compreso tra due periodi di infermità psichica – v’e’ prova per il periodo precedente, nel (OMISSIS), ma non anche per quello successivo, come emerge dalle risultanze del periodo di ricovero presso la Casa famiglia “(OMISSIS)” di (OMISSIS), nel (OMISSIS), le uniche qui disponibili” (cfr. pagg. 13 e 14 della sentenza).

La Corte di Appello, infatti, ha valorizzato -mediante un giudizio di fatto non implausibile e non utilmente sindacabile in sede di legittimità- le risultanze del diario clinico del B., il quale, dopo il (OMISSIS), era stato ricoverato in una casa famiglia; risultanze dalle quali emergeva un sia pur parziale recupero delle facoltà cognitive del predetto soggetto.

E’ opportuno precisare che, in tema di incapacità naturale, questa Corte insegna che “Al fine dell’invalidità del negozio per incapacità naturale non è necessaria la prova che il soggetto, nel momento del compimento dell’atto, versava in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che tali facoltà erano perturbate al punto da impedire al soggetto una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio, e quindi il formarsi di una volontà cosciente. La prova dell’incapacità naturale può essere data con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi ai fini della sua configurabilità, e il giudice è libero di utilizzare, ai fini del proprio convincimento, anche le prove raccolte in un giudizio intercorso tra le stesse parti o tra altre. L’apprezzamento di tale prova costituisce giudizio riservato al giudice di merito che sfugge al sindacato di legittimità se sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4539 del 28/03/2002, Rv. 553363; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12532 del 08/06/2011, Rv. 618097; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13659 del 30/05/2017, Rv. 644468).

L’accertamento dell’incapacità di intendere e volere, quindi, non postula il totale azzeramento della capacità cognitive del soggetto, ma sussiste anche quando vi sia un perturbamento delle stesse, tale da impedire la completa comprensione, e dunque la consapevolezza, del contenuto e degli effetti degli atti negoziali che vengono compiuti.

Quanto al tempo dell’accertamento della incapacità, la regola secondo la quale l’incapacità di intendere e di volere va accertata in riferimento al momento in cui l’atto è stato compiuto non preclude un’indagine sulle condizioni del soggetto anteriori e successive al compimento dell’atto. Alle risultanze che ne derivano è da attribuire un rilievo indiziario, la cui forza è destinata a variare in relazione alla natura e ai caratteri specifici dell’incapacità in questione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1206 del 20/02/1984, Rv. 433355).

Si è così statuito che, in tema di incapacità naturale conseguente ad infermità psichica (nella specie, demenza senile grave), accertata la totale incapacità di un soggetto in due periodi prossimi nel tempo, la sussistenza di tale condizione è presunta, iuris tantum, anche nel periodo intermedio, sicché la parte che sostiene la validità dell’atto compiuto è tenuta a provare che il soggetto ha agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17130 del 09/08/2011, Rv. 618900; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4316 del 04/03/2016, Rv. 639411).

Più in generale, ai fini dell’accertamento della sussistenza dell’incapacità di intendere e di volere, come motivo di invalidità del negozio, al momento in cui questo è stato posto in essere, occorre indagare, nel caso in cui l’infermità sia dovuta a malattia, se questa sia suscettibile di regresso, di stabilità o di miglioramento, come utile elemento di giudizio per stabilire se la malattia, manifestatasi anteriormente o successivamente, possa ritenersi sussistente anche nel momento in cui fu posto in essere l’atto impugnato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1670 del 23/03/1979, Rv. 398024).

A tali principi si è attenuta la Corte territoriale.

Sulla scorta dell’espletata C.T.U., la Corte di Milano ha escluso la sussistenza di una patologia idonea, antecedente e persistente, capace di svolgere i suoi effetti al momento dell’atto, in modo permanentemente menomante; ha sottolineato che dall’esame del diario clinico relativo a periodi posteriori al (OMISSIS) emerge che le condizioni psichiche del B. furono caratterizzate dalla alternanza di fasi di compromissione cognitiva rilevante e di fasi di remissione e di sostanziale compenso, parlando di una “alternanza che non permette di identificare sulla di lui psiche gli effetti menomativi continuativi e permanenti di una patologia pur preesistente e genericamente idonea a determinare incapacità psichica”; ha richiamato gli esiti dell’esame obiettivo neurologico (compiuto nel (OMISSIS) al momento del ricovero presso la Casa famiglia “(OMISSIS)” di (OMISSIS)) che lo descrivono come “vigile”, e della scheda infermieristica (dello stesso mese) che lo indica come “lucido”; ha riportato le conclusioni del C.T.U., secondo cui “non appare comprovabile retrospettivamente e sulla scorta dei dati medico-scientifici disponibili che alla data del (OMISSIS) il sig. B. fosse affetto da una patologia la quale, precedentemente insorta, svolgesse con ragionevole certezza effetti menomativi psichici permanenti e gravi tali da renderlo incapace di intendere e di volere ai fini di cui ci si occupa”.

L’apprezzamento che è stato in concreto svolto dalla Corte distrettuale nel caso di specie è pienamente coerente con i principi appena esposti. Il giudice di merito, infatti, ha evidenziato la presenza, sin dal 2004, in capo al B., di una situazione di preesistente infermità, idonea a renderlo “genericamente” incapace e perciò privato, almeno parzialmente, di quelle piene facoltà di adeguatezza nei rapporti interpersonali e di collocazione di sé nel tempo e nello spazio; per quello successivo, invece, la Corte di Appello ha valorizzato gli intervalli di lucidità risultanti dal diario clinico del paziente, dove è descritto come “orientato personalmente, temporalmente e spazialmente” ed ha pertanto ritenuto non conseguita la prova della sua totale incapacità. La presunzione di incapacità del B. nel periodo in cui la procura a vendere era stata rilasciata, dunque, è stata esclusa in forza del rilievo, frutto di un logico e motivato apprezzamento, della mancanza di “prova idonea che il B. fosse in allora affetto da malattia psichica permanente e che la procura a vendere sia stata rilasciata in un periodo compreso tra due periodi d’infermità psichica”.

Da quanto esposto deriva il rigetto del ricorso.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, o gruppo di controricorrenti, in Euro 5.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 20 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022

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