Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6597 del 28/02/2022
Cassazione civile sez. II, 28/02/2022, (ud. 20/01/2022, dep. 28/02/2022), n.6597
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIUSTI Alberto – Presidente –
Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
Dott. MASSAFRA Umberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9331-2017 proposto da:
CENTRO SALUTE BIEN ETRE S.N.C. DI S.A. & C,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA E. FAA’ DI BRUNO n. 4, presso
lo studio dell’avvocato SERGIO NICOLA ALDO SCICCHITANO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALBERTO LUPPI;
– ricorrente –
contro
BRESCIA ENGINEERING S.P.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO GRAMSCI n.
7, presso lo studio dell’avvocato MICHELA CONCETTI, rappresentata e
difesa dagli avvocati MARZIO REMUS e LUIGI REMUS;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 203/2017 della CORTE D’APPELLO DI BRESCIA,
depositata l’08/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/01/2022 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 30.10.2002, Brescia Engineering S.r.l. conveniva in giudizio la società Centro Salute Bien Etre S.n.c. di S.A. innanzi il Tribunale di Brescia, esponendo di aver incorporato per fusione la società Centro Immobiliare Bresciano S.r.l., che aveva venduto alla convenuta alcuni terreni, al prezzo complessivo di Lire 276.000.000, del quale la predetta convenuta aveva corrisposto solo Lire 20.000.000. L’attrice chiedeva quindi dichiararsi la risoluzione del contratto di compravendita, con condanna della convenuta alla restituzione del bene immobile ed al risarcimento del danno, parametrato al canone di locazione dal 1.1.2002 alla riconsegna. In subordine, invocava la condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 132.212,97 anche a titolo di indebito arricchimento.
Si costituiva la Centro Salute Bien Etre S.n.c. di S.A., resistendo alla domanda ed eccependo che il mancato saldo del prezzo fissato per la compravendita era stato causato dal diniego, manifestato dal Comune di Manerba del Garda, alla richiesta finalizzata a realizzare, sui terreni oggetto del negozio intercorso tra le parti, un’attività di rimessaggio di barche e roulotte. La convenuta spiegava, quindi, domanda riconvenzionale per la riduzione del prezzo di compravendita e la condanna della Brescia Engineering S.r.l. al risarcimento del danno. Inoltre, la convenuta evocava in giudizio la società Fata S.p.a., che le aveva trasferito un altro mappale, egualmente vincolato e non idoneo allo svolgimento dell’attività di rimessaggio, estendendo anche nei suoi confronti la domanda riconvenzionale.
Con sentenza n. 2428/2011 il Tribunale riteneva che la società venditrice avesse garantito che il terreno compravenduto avrebbe potuto essere adibito all’attività poi denegata dall’ente locale; rigettava, quindi, la domanda principale, accogliendo quella riconvenzionale subordinata di riduzione del corrispettivo, che rideterminava in Euro 32.261,25 oltre iva. Condannava inoltre Brescia Engineering S.r.l. e Fata S.p.a. al risarcimento del danno cagionato alla Centro Salute Bien Etre S.n.c., determinato, rispettivamente, in Euro 21.424,84 a carico della prima società, ed in Euro 2.062,00 a carico della seconda.
Avverso detta decisione interponeva appello Brescia Engineering S.r.l. e la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, n. 203/2017, emessa nella resistenza di Centro Salute Bien Etre S.n.c., accoglieva il gravame, evidenziando che il certificato di destinazione urbanistica allegato all’atto di compravendita indicava chiaramente l’esistenza dei vincoli preclusivi rispetto all’attività di rimessaggio di barche e roulette.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione Centro Salute Bien Etre S.n.c., affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso Brescia Engineering S.r.l., spiegando a sua volta ricorso incidentale, affidato a due motivi.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambedue le parti hanno depositato memoria.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1325 e 1362 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto che oggetto del contratto di compravendita fossero dei posti macchina, senza considerare che le parti avevano espressamente previsto, nei loro accordi, che detti posti avrebbero potuto essere destinati al ricovero anche di motoveicoli, imbarcazioni, natanti e carrelli. Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe dato rilievo al fatto che, tra le varie pattuizioni contenute nel contratto di compravendita di cui è causa, vi era quella di cui al punto 5 del paragrafo “Patti comuni alle superiori stipulazioni”, in forza della quale la parte venditrice aveva garantito la libertà del cespite da censi, livelli, gravami, pesi, oneri, privilegi per imposte e tasse, diritti di terzi in genere. Ad avviso della società ricorrente, tali accordi dimostrerebbero che le parti non avevano inteso compravendere soltanto un terreno adibito a posti auto, ma un’area utilizzabile per il ricovero di carrelli ed imbarcazioni, nella stagione in cui queste ultime non venivano utilizzate.
Con il secondo motivo, la ricorrente principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente escluso l’esistenza di un onere non apparente, dando rilievo alle prescrizioni del P.R.G. dell’ente locale, che escludevano l’utilizzabilità dell’area per rimessaggio di barche e roulotte, senza dare rilievo al fatto che il compratore, di fronte ad un’esplicita garanzia del venditore, aveva confidato senza colpa nella possibilità di destinare l’immobile compravenduto all’uso previsto.
I due motivi, suscettibili di trattazione congiunta, sono infondati.
La Corte di Appello ha valorizzato il fatto che all’atto di compravendita era stato allegato il certificato di destinazione urbanistica del fondo, dal quale risultava che lo stesso aveva destinazione in parte E2 (agricola a coltura specializzata), in parte a strada, ed in parte B2 (residenziale e verde privato – residenziale di completamento). Ha inoltre evidenziato che nel rogito di provenienza era stato precisato che sull’area risultava rilasciata la concessione n. 94/10 per la costruzione di parcheggi pertinenziali (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata).
Sia la prima che la seconda affermazione, non specificamente attinte dalle censure in esame, evidenziano che la Corte territoriale ha ritenuto che le parti avessero inteso negoziare un’area destinata ad essere adibita a parcheggio di autoveicoli. La Corte di Appello, in sostanza, ha dato rilievo al fatto che vi fossero evidenze documentali, facilmente riscontrabili anche dal compratore, circa l’impossibilità di destinare il terreno all’uso che costui si era prefisso, e tale decisivo passaggio motivazionale non viene adeguatamente censurato dai motivi del ricorso principale, i quali, di conseguenza, non colgono per intero la ratio della decisione impugnata.
In aggiunta, va anche evidenziata la differenza esistente tra la nozione di “parcheggio” e quella di “rimessaggio”: la prima, infatti, si risolve nella collocazione di un bene in un determinato spazio fisico, e nella correlata obbligazione di custodia, diversamente declinata a seconda che si tratti di parcheggio libero o a pagamento; la seconda, invece, implica una specifica attività di ricovero, custodia e sorveglianza del bene “rimessato” in luoghi presso i quali, a richiesta dell’interessato, lo stesso può essere sottoposto anche a lavori di manutenzione e riparazione.
Infine, va osservato che i precedenti richiamati dal ricorrente (cfr. pag. 13 del ricorso) non sono pertinenti al caso di specie. Il primo di essi, infatti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10184 del 09/05/2014, Rv. 631009) si riferisce ad una fattispecie in cui non era posta in discussione la destinazione urbanistica dell’area, ma soltanto l’indice di edificabilità ammesso dalla normativa locale. In tale ipotesi, questa Corte ha affermato che “Se il venditore ha espressamente garantito la destinazione edificatoria del suolo compravenduto, specificando l’indice di edificabilità, il compratore, appresa l’esistenza di un vincolo urbanistico che riduca la cubatura realizzabile, può avvalersi della garanzia prevista dall’art. 1489 c.c., in tema di cosa gravata da oneri non apparenti, essendo il vincolo non agevolmente riconoscibile per effetto delle asserzioni del venditore”. Soltanto la garanzia specifica, fornita dal venditore, circa l’esistenza di un determinato indice di edificabilità, esonera, dunque, il compratore dall’onere di verificare la corrispondenza detto indice con le prescrizioni del locale P.R.G. (nello stesso senso, milita il terzo precedente richiamato dal ricorrente, rappresentato da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14226 del 17/12/1999, Rv. 532318).
Il secondo precedente, invece (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 253 del 11/01/1992, Rv. 475277) si limita ad affermare che “Il vincolo di inedificabilità, imposto dagli strumenti urbanistici su un terreno venduto come edificatorio, configura un onere limitativo del godimento del bene, e, pertanto, nel concorso delle condizioni contemplate dall’art. 1489 c.c. (inclusa la non apparenza del vincolo stesso), abilita il compratore alle azioni da tale norma previste”: il che non equivale ad affermare che l’esistenza del vincolo di inedificabilità legittimi tout court il ricorso al rimedio di cui all’art. 1489 c.c., essendo comunque necessario che la parte interessata dimostri il basilare requisito della natura non apparente del vizio. Requisito, quest’ultimo, che nella specie, alla luce dell’accertamento in fatto svolto dalla Corte distrettuale, non sussiste (cfr. ancora pag. 8 della sentenza, passo già citato, nonché pag. 9, ove si richiamano alcuni precedenti di questa Corte, tutti nel senso che i vincoli previsti dalle norme locali, se ritualmente approvati e pubblicati, non costituiscono oneri non apparenti: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5561 del 19/03/2015, Rv. 634977; nonché Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2737 del 23/02/2012, Rv. 621590 e Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4971 del 02/03/2007, Rv. 596261, che affermano l’esistenza di una presunzione legale di conoscenza assoluta di detti vincoli da parte dei destinatari).
Quanto esposto conduce al rigetto del ricorso principale.
Passando all’esame dei motivi del ricorso incidentale, con il primo di essi la Brescia Engineering S.r.l. lamenta la violazione degli artt. 1218,1223,2041 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non provato il danno del quale la ricorrente incidentale aveva invocato il risarcimento, senza considerare che era stata richiesta una C.T.U. sul punto, ed era stato indicato un parametro di riferimento, rappresentato dal canone di locazione dal 1.1.2002 alla riconsegna dell’immobile compravenduto. Una volta provato l’an del danno, nulla ostava -secondo la ricorrente incidentale – all’ammissione di una C.T.U. per consentire la prova del quantum.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha ritenuto non conseguita la prova dell’an del danno lamentato dalla Brescia Engineering S.r.l., affermando in particolare- che quest’ultima non aveva fornito alcuna prova, “limitandosi a chiedere CTU per stabilire il valore locativo del cespite” (cfr. pag. 10 della sentenza). La censura in esame non supera tale decisivo passaggio della motivazione, poiché la Brescia Engineering S.p.a. non indica alcun elemento in base al quale possa evincersi che la prova, ritenuta assente dalla Corte territoriale, sarebbe in effetti stata fornita, né precisa il momento del giudizio di merito in cui detto elemento sarebbe stato ritualmente introdotto. La ricorrente incidentale, infatti, si limita ad invocare il risarcimento del danno da occupazione, parametrandolo al canone locativo medio della zona in cui ricade l’immobile di cui è causa, ritenendo acquisita la prova dell’an del danno per effetto della pura e semplice indisponibilità del bene. Detta prova, in realtà, è stata espressamente dichiarata non conseguita dalla Corte di Appello (cfr. pag. 10 della sentenza) e la relativa statuizione non è oggetto della censura in esame, con la quale si invoca, in ultima analisi, un mero riesame del complessivo giudizio di fatto svolto dalla Corte territoriale, estraneo alla natura e alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). D’altra parte, va qui richiamato il principio secondo cui, in tema di danno da occupazione sine titulo, il danno può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell’onere probatorio di tale natura non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto (Cass., Sez. Sez. 3, Sentenza n. 13071 del 25/05/2018, Rv. 648709).
Con il secondo motivo, la ricorrente incidentale lamenta la violazione degli artt. 61,112,115,116 e 191 c.p.c., artt. 2041 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte distrettuale avrebbe omesso di esaminare la domanda subordinata di indebito arricchimento.
Anche questo secondo motivo è infondato, poiché difetta l’elemento della residualità che costituisce il presupposto per l’utile esperimento dell’azione generale ex art. 2041 c.c.. La ricorrente incidentale, infatti, aveva a disposizione l’azione tipica, che in effetti ha esercitato, e che è stata rigettata per mancato conseguimento della dimostrazione del danno lamentato. Il ricorso all’azione generale di indebito arricchimento è consentito, per costante giurisprudenza, soltanto a condizione che la parte interessata non abbia a sua disposizione un’azione titolata, poiché “L’azione generale di arricchimento ingiustificato ha natura sussidiaria, potendo essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale possa essere fondato un diritto di credito, con la conseguenza che il giudice, anche d’ufficio, deve accertare che non sussista altra specifica azione, per le restituzioni ovvero per l’indennizzo del pregiudizio subito, contro lo stesso arricchito o contro altra persona” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16594 del 05/08/2005, Rv. 584746; conf. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 26199 del 03/11/2017, Rv. 647016; cfr. anche, ex multis, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3941 del 13/12/1969, Rv. 344362; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1819 del 19/06/1974, Rv. 370019; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5682 del 01/12/1978, Rv. 395469). Ciò vale, a fortiori, quando l’azione titolata, se esistente, sia stata esperita e sia risultata, in concreto, carente di taluno dei suoi requisiti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3897 del 19/06/1980, Rv. 407774), a nulla rilevando che l’interesse sia stato dichiarato decaduto da essa o sia rimasto soccombente in giudizio per ragioni di rito o di merito, purché queste ragioni non attengano proprio all’originaria esercitabilità dell’azione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7285 del 08/08/1996, Rv. 499048). La valutazione circa la sussistenza, o meno, di altre azioni tipiche, dunque, va condotta in astratto, e non in concreto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20747 del 03/10/2007, Rv. 599822), e quindi a prescindere dall’eventuale condotta inerte o malaccorta dell’interessato.
Poiché nel caso di specie il ricorrente incidentale aveva a disposizione l’azione titolata, che peraltro ha anche – in concreto -provveduto ad esercitare, sia pure senza conseguire il risultato auspicato per mancata prova dell’an e del quantum del danno lamentato, il ricorso all’azione residuale di arricchimento senza causa era precluso. Dal che discende il rigetto anche del secondo motivo del ricorso incidentale.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione integrale tra le parti, tanto delle spese del presente giudizio di legittimità, che di quelle della fase incidentale ex art. 373 c.p.c..
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta tanto il ricorso principale che quello incidentale, compensando per intero tra le parti sia le spese del presente giudizio di legittimità, che quelle della fase incidentale ex art. 373 c.p.c..
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della seconda sezione civile, il 20 gennaio 2022.
Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2022